Sono un terziario della Fraternità dell’Arcella di Padova. In occasione dell’Anno della Fede, ho regalato alla mia fraternità il  volumetto “Vivere come Francesco”  da me riscritto, di sera, con tantissima fatica in circa tre mesi. Mi piacerebbe che tutti i terziari francescani d’Italia possano averlo, gratuitamente, per celebrare l’Anno della Fede. Vi invio, in allegato, il testo completo del volumetto, non più in commercio, pregandovi di farlo avere a tutte le fraternità della vostra regione. Grazie e tanti sinceri auguri per un nuovo anno ricco di fede. Pace e Bene. Paolo

 

Leonard Foley – Jovian Weigel – Patti Normile
VIVERE COME FRANCESCO
Manuale-guida per l’Ordine francescano secolare
Edizioni Messaggero – Padova
Vivere come Francesco è dedicato alla memoria di padre Leonard Foley, Ofm, e padre Jovian Weigel, Ofm, che hanno colmato di benedizioni l’Ordine francescano secolare e i suoi membri con il loro amore, con il sostegno e la loro saggezza spirituale.
Titolo originale: To live as Francis lived. A guide for secular Franciscans – St. Anthony Messenger Press – 1615 Republic Street – Cincinnati, OH 45210- 1298
ISBN 0-86716-396-8
Traduzione di  Anna Previati
Adattamento e revisione a cura di Luigi Dal Lago
ISBN 88-250-1044-3
Copyright 2002 by P.P.F.M.C. – Messaggero di Sant’Antonio – Editrice – Basilica del Santo – Via Orto Botanico, 11 – 35123 Padova
PRESENTAZIONE
Vivere come Francesco è un testo che intende offrire ai francescani secolari una scaletta di riflessioni sui vari temi della loro spiritualità e vita. La riflessioni proposte dagli autori conducono gradualmente, in modo semplice e convincente, al cuore dell’identità dell’ Ordine francescano secolare (OFS), i cui membri nella secolarità fanno del Cristo, secondo l’esempio di san Francesco d’Assisi, l’ispiratore ed il centro della loro vita con Dio e con gli uomini. Chiamati e sospinti dallo Spirito Santo, essi vivono il Vangelo in comunione fraterna, impegnandosi nella conversione continua e nella formazione permanente, per essere sempre in ascolto della volontà del Signore e per testimoniare a tutto il mondo la bellezza del Vangelo vissuto in fraternità, secondo l’ispirazione di Francesco e quanto prescrive la loro Regola.
Come affermano gli stessi autori, il libro vuole essere prima di tutto un testo di preghiera e di riflessione. Pertanto per le tematiche proposte, credo che possa essere di valido aiuto nel cammino della formazione e nell’approfondimento della vocazione dei francescani secolari. Un cammino che mira a una conoscenza più accurata della stessa natura, identità e missione del loro Ordine nella chiesa e nel mondo.
Tale itinerario potrà essere vero e autentico soltanto se è frutto di una preghiera costante e di una vita pienamente fondata sulla parola di Dio. Così esso diventa esperienza, che, condivisa con gli altri membri della famiglia francescana, si trasforma in testimonianza completa del carisma che Dio ha donato al Povero di Assisi.
“Vivere come Francesco” vuol dire amare Dio, il prossimo e tutto il creato come egli fece. Infatti, aprendoci come Francesco all’amore di Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima, ci mettiamo al servizio del Signore Gesù nella sua chiesa, diventando specchio della vera vocazione cristiana. Per vivere questa meravigliosa esperienza e farla propria, occorre lasciarsi guidare dallo Spirito Santo, che con la sua forza illumina, guida e introduce  alla verità tutta intera.
Ai francescani secolari e agli altri che si sentono attratti dal fascino di Francesco, questo libro indica itinerari concreti per conoscere, amare e seguire Gesù Cristo secondo l’esemplarità di Francesco e di Chiara. In una parola, per passare dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo. Buon cammino! Fr. Ivan Matic, Ofm – assistente generale Ofs.

Nota all’edizione italiana. Si è voluto riprodurre nella sua interezza la prefazione originale di quest’opera che, pur mostrando l’impronta caratteristica americana, testimonia l’universalità del carisma francescano. Vissuto da tante persone, nella vecchia Europa come nel Nuovo Mondo, l’ideale francescano attrae ed unisce ancor oggi chiunque è alla ricerca di semplicità, di amore concreto, di fraternità e di fede. Siamo sicuri che i membri italiani del rinnovato Terzo Ordine  troveranno in queste pagine una guida sicura per vivere la vita di ogni giorno secondo lo stile evangelico di cui Francesco è stato il modello. E siamo lieti di collaborare con la casa editrice St. Anthony Messenger Press di Cincinnati (USA) per la diffusione di quest’opera nel mondo francescano.
L’Ordine Francescano Secolare

Il Signore vi dia la pace!
Cari lettori, avete fra le mani un libro richiesto da molte persone che desiderano vivere, oggi, la loro vita nel medesimo spirito con cui Francesco d’Assisi visse la propria otto secoli fa.  L’essenza di questo volume è il messaggio stesso contenuto in The Third Order Vocation (La vocazione del Terz’Ordine francescano), un’opera che ha catturato i cuori dei francescani e di coloro che desiderano seguire Francesco.
Il nostro scopo è mantenere la semplicità e lo spirito dello stile francescano, espressi dai padri francescani Leonard Foley e Jovian Weigel nel libro The Third Order Vocation, e nello stesso tempo aggiungere nuovi spunti per armonizzare il lavoro con la Regola dell’Ordine francescano secolare (Ofs, nuova denominazione del Tof) approvata da papa Paolo VI nel 1978 e con le Costituzioni Generali rivedute dell’Ordine. Ci auguriamo che questo libro possa parlarvi di un più profondo vivere cristiano attraverso il modo di scrivere stile “sediamoci e parliamone” di padre Leonard affiancato dalla vitale spiritualità francescana di padre Jovian .
Il punto centrale primario di Vivere come Francesco è la formazione dei credenti nello stile di vita francescano, sia come membri dichiarati dell’Ordine francescano secolare sia come amici di Francesco e Chiara. Ciò si può attuare soltanto attraverso la preghiera, la riflessione e l’azione. Questo libro, quindi, è prima di tutto un libro di preghiera. Non si può raggiungere alcuna profonda comprensione di Gesù, e neppure di  Francesco e Chiara, senza la guida di Dio mediante la preghiera. Mentre studierete il testo e le letture supplementari consigliate, mentre leggerete gli articoli della Regola dell’Ordine francescano secolare che appaiono in diversi capitoli, meditate sui problemi riguardanti la riflessione, consideratene l’applicazione pratica alla vita quotidiana e alle preghiere conclusive. Rendete ogni azione parte della vostra vita di preghiera. Chiedete allo Spirito Santo di condurvi non solo alla conoscenza “mentale” di Francesco e Chiara, bensì ad una profonda comprensione spirituale che si concluderà con la vostra conversione.
Nessuna singola pubblicazione può bastare come unico riferimento per una approfondita conoscenza di Francesco e Chiara d’Assisi. Nelle pagine conclusive del volume troverete un ampio elenco degli scritti di Francesco e Chiara nonché delle pubblicazioni su di loro. In questa opera sono presenti talvolta letture tratte da quell’elenco bibliografico. Vivere come Francesco si propone di condurvi verso un nuovo rapporto con Gesù Cristo secondo la maniera di Francesco e Chiara. E questo è possibile sia che siate francescani professi da molti anni, sia che siate semplici principianti alla ricerca di una comprensione spirituale di quegli amatissimi santi.
Vi invitiamo ad entrare in una fase di studio, di preghiera e di azione per apprendere di più sul vivere cristiano nel ventunesimo secolo secondo lo stile di vita seguito da Francesco al suo tempo.
Leonard Foley, Ofm – Jovian Weigel, Ofm – Patti Normile, Sfo

PREGHIERA SEMPLICE

O Signore, fa di me uno strumento della tua pace: dov’è odio, fa ch’io porti amore; dov’è offesa, ch’io porti il perdono; dov’è dubbio, ch’io porti la fede; dov’è errore, ch’io porti la verità; dov’è disperazione, ch’io porti la speranza; dov’è tristezza, ch’io porti la gioia; dove sono le tenebre, ch’io porti la luce. O Maestro, fa ch’io non cerchi tanto di essere consolato, quanto di consolare; di essere compreso, quanto di comprendere; di essere amato, quanto di amare. Poiché è donando che si riceve, perdonando che si è perdonati, morendo che si resuscita a Vita eterna.
(Preghiera attribuita a san Francesco d’Assisi, ma in realtà composta in Francia agli inizi del secolo XX, e pubblicata per la prima volta nel 1912. Oggi è inclusa come preghiera comunitaria nel “Rituale della gioventù francescana”) 

ESORTAZIONE DI SAN FRANCESCO
Fratelli amatissimi e figli benedetti in eterno, ascoltatemi, ascoltate la voce del vostro Padre. Noi abbiamo promesso grandi cose, e cose ancor più grandi ci sono state promesse. Manteniamo le prime, e desideriamo ardentemente le seconde. Il piacere è effimero,la punizione eterna. La sofferenza è lieve, la gloria infinita. Molti vengono chiamati, pochi invece sono scelti. A tutti verrà concessa una ricompensa. (Tommaso da Celano, Vita Prima : FF 778)

INTRODUZIONE
Benvenuti nella famiglia di san Francesco. Un pregio meraviglioso di Francesco era la sua gentilezza. Egli accoglieva tutti coloro che andavano da lui. E allo stesso modo noi accogliamo voi con la vostra richiesta di scoprire lo spirito di san Francesco. Per alcuni di voi la scoperta dello stile di vita francescano è una esperienza nuova. Gesù ha promesso “un nuovo cielo e una nuova terra”. E’ venuto per stabilire il regno del Padre. Proprio a quella novità e a quel compito voi siete chiamati. State per entrare in un nuovo mondo emozionante. Potrete scegliere di divenire un membro della nuova famiglia, la famiglia francescana. Mano a mano che leggerete, studierete e pregherete, diventerete sempre più consapevoli di voi stessi come figli di Dio e fratelli e sorelle di Gesù. Potete sperare che lo Spirito Santo operi in voi in modo nuovo, insieme ai vostri fratelli e alle vostre sorelle nella fede.
…Ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi. (Isaia 40,31).
Vi potranno sorgere dubbi circa il significato di tutto questo. Tuttavia, mentre Gesù vi chiama, vi dice anche: “Non temete. Io sono con voi”.

UN CREDO FRANCESCANO
L’Ordine francescano secolare (precedentemente conosciuto come il Terz’Ordine di san Francesco) esiste già da otto secoli. Nel corso di questo tempo, il Signore ha chiamato molte persone a seguire la via di Francesco e a condividere il suo ideale di vita. Questo ideale è descritto nel seguente credo che si fonda sui lineamenti stabiliti nel 1969 dal Congresso del Terzo Ordine di Assisi:
Ispirati dalla visione di san Francesco, ci affidiamo al Vangelo quale nostra via di vita. La nostra visone del mondo ha come centro Cristo; noi consideriamo Gesù Cristo come il principio, la via e il fine di tutto il creato. Tale visione del mondo ci rivela un Dio che è Padre e una vita che è amore. E questo ci richiede di vivere come fratelli e sorelle del nostro prossimo e di tutto il creato. Siamo pellegrini che cercano di raggiungere il Padre, che cercano di vivere una vita d’amore. Non siamo ancora giunti alla meta; siamo peccatori, ma siamo chiamati a diventare santi. In quanto peccatori, deboli essere umani, dobbiamo sottoporci a continua conversione, ritornare sempre al Padre come figlie e figli prodighi. Cristo era povero e fu crocifisso; noi cerchiamo di condividere la sua povertà e la sua sofferenza. Inoltre, ci impegniamo nel servizio ai poveri. Nel farci strada nella vita, ci lasciamo guidare dalla semplicità, dall’umiltà e dalle piccole cose, anziché dal potere, dal prestigio e dalla classe sociale. Come Cristo, come Francesco, cerchiamo di divenire strumenti di pace, pacificatori. Riconoscendo la presenza illuminante dello Spirito Santo, dichiariamo la nostra fedeltà alla chiesa in un clima di dialogo e di cooperazione con i suoi ministri e pastori. Siamo consapevoli del nostro dovere di partecipare alla vita e alla missione della chiesa. Siamo apostoli laici chiamati da Cristo per continuare la sua opera sulla terra. La nostra vita e la nostra spiritualità, tuttavia, sono caratteristicamente laiche, nel mondo e per il mondo. La gioia ci sostiene e appaga il nostro vivere quotidiano; desideriamo tutto questo anche per gli altri. Ottenere questo risultato è cosa ardua; ecco perché dichiariamo necessario per noi il Cristo eucaristico, e la preghiera personale, comunitaria e liturgica.
Suggerimenti sull’uso di questo libro.
Questo libro è suddiviso in riflessioni, le quali possono essere utilizzate per approfondire un aspetto dello stile francescano ogni settimana, per un anno intero. Attraverso tali riflessioni si apprenderà lo stile di vita francescano. Non è necessario scorrere rapidamente da una riflessione all’altra. Prendetevi i giorni o le settimane che vi occorrono per ciascuna di esse, e scoprirete ciò che il Signore vi sta dicendo. Se scegliete il metodo settimanale, siete invitati a studiare ogni settimana il materiale presentato, a riflettervi nonché a pregarvi sopra.  La via che conduce a Gesù attraverso Francesco e Chiara d’Assisi non è la medesima neppure per due sole persone. Per questo non è necessario cominciare dalla riflessione 1 e procedere progressivamente fino alla 52. Potreste avvertire il bisogno di riflettere su un particolare argomento. In quel caso, cercatelo nell’indice del libro e dedicateci il vostro tempo. Ci auguriamo che prima o poi ciò accada per tutti i temi trattati nei vari capitoli. Dopo aver letto e riflettuto sull’argomento scelto, passate a considerare le domande al termine della lezione che vanno sotto il titolo: “Domande per la riflessione”. Non si tratta di un esame bensì di una opportunità che vi viene offerta per esprimervi (dove state arrivando, dove state maturando). Potrebbe rivelarsi utile trascrivere i pensieri mano a mano che crescete sulla via di Francesco per seguire il Signore. Potreste desiderare di condividere le vostre risposte e i vostri pensieri con qualcuno che vi accompagna nel vostro cammino spirituale. Questa persona potrebbe essere il vostro direttore spirituale, un amico oppure l’assistente ecclesiastico di una fraternità francescana secolare. La condivisione può rendere più chiara la vostra comprensione. E’nostro desiderio che acquistiate completa famigliarità con lo stile di vita francescano, del quale state considerando di entrare a far parte come membri professi o come amici di Francesco e Chiara. In ciascuna lezione troverete le “Connessioni con la Bibbia”, dove viene consigliata una lettura biblica. Tali letture non hanno una connessione particolare con la riflessione che le precede. Ma se siete seriamente impegnati nel “vivere il Vangelo” vorrete conoscere ciò che Gesù disse e ciò che fece e la Scrittura vi aiuterà in questo. Francesco ricevette la sua guida dallo Spirito prendendo molto seriamente la parola di Dio, e leggendola con regolarità. Noi dobbiamo fare lo stesso, in modo che essa possa “dimorare” in noi. Le domande poste nella parte intitolata “Applicazione alla vita quotidiana” sono per la riflessione privata. Rispondetevi con fede, devozione ed onestà, in modo da capire come Francesco stia influenzano sulla vostra vita. L’esercizio suggerito in “Applicazione alla vita quotidiana” è fondamentale poiché lo stile di Francesco non è tanto un modo di pensare quanto uno stile di vita. Dovreste provare  una sensazione di urgenza nel desiderio di seguire la via del Signore, e tuttavia allo stesso tempo dovreste rimanere uomini di pace e di speranza. Ogni riflessione si conclude con una breve preghiera ispirata al tema trattato. La preghiera intende favorire la continuazione del vostro dialogo o tempo di ascolto con il Signore. Vi suggeriamo di tenere un diario. Questo diario deve servire soltanto per il vostro uso personale. Scrivetevi i pensieri più intimi che lo Spirito Santo vi ispira, le preghiere e le idee che vi illuminano. Scoprirete in voi progressi enormi, anche se in quel momento vi possono apparire quasi impercettibili.
Preparate un piano di studio
Avvertirete la necessità di fare un piano di lavoro per darvi una disciplina e mantenervi lontani dal rischio di disperdere energie senza frutto. Ecco il nostro suggerimento: – 1) Stabilite un orario preciso per lo studio settimanale. La domenica pomeriggio? Il mercoledì sera? Oppure ogni pomeriggio alle quattro? – 2) Fate che questo momento di studio abbia una durata precisa. Dieci minuti? Mezz’ora? Un ora? -3) Scrivete quindi: Piano di studio e di lettura. Giorno della settimana… Ora… Fino a che ora?
In ogni capitolo di questo libro sono indicate anche le pagine di alcune opere che vi possono aiutare per approfondire gli argomenti trattati. Vi consigliamo, se potete, di leggere anche queste opere che ogni buon francescano dovrebbe conoscere:
Fonti Francescane (=FF), a cura del Movimento francescano, Messaggero, Padova 2000 (edizione maior oppure minor); il volume contiene gli scritti e le biografie antiche sia di Francesco sia di Chiara di Assisi.
• Fidel Aizpurua, Il cammino di Francesco d’Assisi. Corso base di francescanesimo: vita, scritti e spiritualità di Francesco, Messaggero, Padova 1992.
• Fidel Aizpurua, Il cammino di Chiara d’Assisi, Corso base di francescanesimo: vita, scritti e spiritualità di Chiara, Messaggero, Padova 1993
• Ignacio Larranaga, Nostro fratello di Assisi. Storia di una esperienza di Dio, Messaggero, Padova 2002
• La preghiera del francescano, a cura dell’Ofs di Roma, Messaggero,  Padova 2001. E’ un manuale di preghiera che contiene la Regola e il rituale dell’Ofs, nonché le Lodi e i Vesperi per le quattro settimane dell’Ufficio divino.
Stabilite un tempo per la preghiera
E’ certamente possibile pregare a qualsiasi ora e in qualunque luogo, tuttavia una certa pianificazione è della massima importanza. Crescere sulla via di Francesco vi condurrà a una profonda conoscenza di Gesù, quindi sentirete la necessità di dialogare con lui. Domandatevi: “A quale ora o in quali ore del giorno posso pregare meglio? Quanto tempo posso dedicare alla preghiera?”. Stabilite un’ora precisa per la preghiera. E pregate nel modo che desiderate: con le vostre parole con un libro di preghiere, con la Bibbia, il rosario o qualche forma di “Liturgia delle ore”. Ma seguite un piano! Vi consigliamo di scrivere: Piano di preghiera. Ora quotidiana… Per quanto tempo?

 

 

Per i professi
Le riflessioni possono essere d’aiuto anche ai francescani secolari già impegnati con la professione. Talvolta ce ne scordiamo! C’è sempre bisogno di progredire nello studio e di pregare se desideriamo crescere sulla via del Signore. Lasciate che lo Spirito Santo ravvivi il vostro spirito francescano mediante queste riflessioni.
Una nota particolare
La Regola dell’Ordine francescano secolare, presentata attraverso le pagine di Vivere come Francesco in riquadri posti alla fine di alcuni capitoli è un valido strumento di preghiera e riflessione. Gli articoli della Regola non vengono presentati nell’ordine numerico progressivo,ma appaiono laddove sono in relazione ad un particolare argomento. Tuttavia, la Regola integrale e l’Esortazione a tutti i fedeli scritta da san Francesco stesso sono riportate in appendice alla fine del volume. La Regola fu approvata da papa Paolo VI nel 1978 come guida per i fedeli che vivono nel mondo laico e desiderano seguire Francesco d’Assisi. I francescani secolari non sono francescani ordinati, sebbene sacerdoti diocesani ordinati e diaconi siano invitati a diventare membri dell’Ofs (Ordine francescano secolare). Esistono anche gruppi giovanili affiliati a qualche comunità francescana secolare. Se già non l’avete fatto, e siete desiderosi di di vivere questa esperienza, siete invitati a unirvi a una fraternità francescana secolare per iniziare la vostra formazione. Le fraternità francescane secolari e i gruppi giovanili si possono contattare tramite i francescani residenti nella vostra zona. In appendice a questo libro abbiamo riportato alcuni indirizzi utili per chi desidera ulteriori informazioni.
Nota conclusiva
Stiamo rispondendo alla vostra esigenza di uno stile di vita più vicino al Signore, e al vostro desiderio di ricercare Dio. Durante questo cammino, cercate qualcuno che vi aiuti, che possa discutere con voi le cose che vi disorientano, che vi assista nel superare i punti “accidentati”. Questa persona potrebbe essere l’assistente spirituale della vostra fraternità francescana secolare oppure qualcuno con cui riuscite a condividere il vostro rapporto con il Signore. Tutti noi, lungo il cammino, abbiamo bisogno di sostegno. Dio vi benedica lungo la via che conduce a lui!

 

 

 

 

 

 

 

 

PARTE PRIMA

Il fondamento

Lo stile di vita francescano si fonda su Gesù Cristo e nessun altro. Seguire la via di Francesco significa lottare con tutto il nostro corpo, la nostra mente e il nostro spirito per andare “dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo”. Per cominciare a compiere questo passo, dobbiamo conoscere il Vangelo di Gesù con lo scopo di vivere la vita in armonia con esso. Per conoscere il Vangelo dobbiamo conoscere il Signore. Ecco la direzione verso cui ciascuna delle riflessioni che seguono ci conduce. Noi, che abbiamo seguito Gesù, ora ricominciamo a portare la nostra vita dentro quella del Vangelo, e il Vangelo dentro la nostra vita quotidiana.

Riflessione 1
Ricominciare
Cominciamo a compiere il bene, giacché finora abbiamo fatto poco (Tommaso da Celano, Vita Prima: FF 500)

Francesco pronunciò queste parole quando molta gente lo considerava già un santo. Egli pensava invece che nella vita non c’è un punto culminante, raggiunto il quale uno sente di “avercela fatta”, tanto da poter continuare verso il paradiso per forza d’inerzia da quel momento in avanti. Egli non paragonava il suo amore a quello degli altri uomini, bensì a quello di Cristo; di conseguenza egli vedeva sempre una distesa infinita entro la quale poteva ancora andare avanti, divenendo sempre più come il suo Signore.
Così deve essere per voi, sia che siate francescani secolari professi o candidati desiderosi di divenire tali, oppure persone interessate ad apprendere di più  sul modo di imitare Gesù seguito da Francesco.Dio vi ha già benedetti con la sua vita, vi ha concesso il dono della fede e della fedeltà, forse attraverso molti anni di esperienza. Ma poiché avete scelto di leggere Vivere come Francesco, siete persone che desiderano ricominciare, come fece sempre Francesco.
Ogni volta che ricominciamo da capo, entriamo in una nuova fase di vita che ha per scopo arricchire il nostro rapporto con Dio attraverso l’ispirazione donataci da san Francesco e santa Chiara e dai loro fratelli e sorelle. Non state intraprendendo qualcosa di diverso dalla vita cristiana, né qualcosa di migliore rispetto alla vita degli altri cristiani. State guardando, come Francesco e con Francesco, dentro quell’enorme distesa che è l’amore di Cristo, desiderosi di farne parte più profondamente. La sola cosa “diversa” nella vostra nuova vita cristiana è che essa ora assume  un colore e una direzione particolari grazie a san Francesco e alle tradizioni che hanno avuto origine dalla sua vita e dalle sue parole. State ricominciando, e continuerete a ricominciare per il resto della vostra vita. Congratulazioni!

Nuovi inizi

 Coloro che desiderano diventare membri professi dell’ Ordine francescano secolare hanno bisogno di entrare in contatto con una comunità (fraternità) della loro zona. Il cammino verso la professione di fede inizia con un periodo di ricerca sul significato della vita di una fraternità francescana. Le persone interessate sono quindi invitate a diventare candidate. Segue poi almeno un anno di formazione, che avviene con il direttore o il gruppo di formazione della fraternità. Avete già preso l’impegno davanti a Cristo. E ora lascerete che egli renda più profonda la vostra dedizione seguendo la Regola dell’Ordine francescano secolare. Il periodo della formazione implica solide basi, sia teoriche che pratiche, per una vita cristiana vista attraverso gli occhi di san Francesco. Benché la professione di fede nell’Ordine francescano secolare richieda l’appartenenza alla chiesa cattolica, tuttavia l’Ordine mantiene relazioni amichevoli con i seguaci di Francesco che appartengono ad altre chiese cristiane. Nel corso di questo libro chiameremo questi fedeli amici di Francesco.

 

 

Impegno e formazione

Non dimenticate mai, fintanto che vivrete, che lo scopo ultimo dell’Ordine francescano secolare deve essere quello di aiutarvi ad adempiere il grande comandamento “Amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza…. Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Marco 12,30-21). Il vostro fine, come francescani secolari o come amici di Francesco, è adempiere il compito che Dio vi ha dato: corrispondere al suo amore con l’amore più grandi di cui siete capaci, impegnarvi, consacrarvi, dedicare completamente voi stessi al buon Dio.
“Formazione” è più che semplice istruzione. Chiederete a Diodi portare una nuova “forma” o uno stile nuovo nella vostra vita, attraverso l’influsso e l’ispirazione di san Francesco. La risposta di Dio sarà la vostra stessa trasformazione nell’individuo che siete stati creati per essere. Per arrivare a tanto occorre la vita intera ma lo sforzo compiuto ne vale più che la pena.
I requisiti per l’ammissione all’Ordine francescano secolare sono i seguenti: “… professare la fede cattolica, vivere in comunione con la chiesa, avere un buon livello di moralità e mostrare chiari segni di vocazione” (Costituzioni Generali, articolo 39,2).

 Si può essere “perfetti”? 

Papa Pio XII disse: “Sebbene il Terzo Ordine (il precedente nome dell’Ordine francescano secolare) non sia un corpo di persone già perfette, è soprattutto una scuola di perfezione cristiana impregnata di autentico spirito francescano. Poiché esso fu costituito per questo scopo: soddisfare pienamente i desideri di coloro che devono rimanere nel mondo ma che non vogliono essere del mondo. L’Ordine francescano secolare (il Terzo Ordine) rivolge il suo appello a coloro che ardono dal desiderio di lottare per raggiungere la perfezione nel posto da loro occupato nella vita” (Discorso ai terziari, 1956).
Non interpretare la parola “perfezione” nel modo sbagliato. Non è qualcosa che fate. Non è come quei “termometri” sistemati sul prato di un palazzo di giustizia che indicano quanto manca per raggiungere i trecentomila dollari necessari all’acquisto di nuovi camion dei pompieri. Non potreste, e neppure dovreste mai cercare di “misurare” la vostra perfezione, e tanto meno confrontare il vostro grado e la vostra valutazione con quelli di altri. “Perfezione” significa semplicemente essere come Dio. Non si tratta di un obbligo, bensì di un dono. Non è qualcosa che fate; è ciò che fa Dio. E’ il fine del progetto eterno divino: renderci simili a Dio. Così parla Dio: “Siate perfetti. Siate con me. Amate come amo io. Ma non potete farlo da soli. Il mio Spirito in voi sarà la vostra forza”.
 

La “scuola” ha un suo libro di testo

La “scuola” di cui parlava papa Pio XII è la comunità di uomini e donne mossi dalla condivisa visione di Francesco. Il libro di testo di quella scuola è il Vangelo, immagine della fede ispirata scritta dalla chiesa nel Nuovo Testamento. Ciò è fondamentale. Qualsiasi aggiunta, come per esempio la Regola e la Costituzione, costituisce un semplice tentativo di fornire suggerimenti pratici sul modo di mettere in atto il Vangelo nel ventunesimo secolo. E mentre il Vangelo rappresenta il libro di testo, lo Spirito Santo ne è l’istruttore.

Una scuola ha molte classi

Un albero cresce gradualmente, di circa un millesimo di pollice al giorno (unità di misura inglese, pari a quasi tre centimetri, ndt). Nel corso della vostra vita spirituale vi dovete accontentare di progredire solo per piccoli passi, proprio come l’albero. Normalmente non sarete consapevoli della vostra crescita. Talvolta vi sembrerà addirittura di retrocedere mano a mano che scoprirete le vostre debolezze e i fallimenti. Tuttavia, abbiate fede in Dio. Lasciatevi condurre da Dio, mediante il vostro direttore di formazione, il vostro compagno spirituale, o con l’aiuto delle riflessioni contenute in questo libro, del vostro studio e della preghiera.
 Settimana dopo settimana, rivolgerete l’attenzione da un aspetto della vita spirituale a un altro. E’ un po’ come dipingere un quadro: un tocco qui, una pennellata là, e piano piano il capolavoro esce fuori. C’è una sola differenza. Quando avrete terminato questo anno di riflessione, di studio e di preghiera, sarete soltanto agli esordi di una più profonda e fruttuosa vita con Dio.

Le riunione della fraternità

Per coloro che sono francescani professi o aspiranti tali, la partecipazione alle riunioni della fraternità è fondamentale. E’ in seno alla fraternità che si fa esperienza dell’Ordine francescano secolare come famiglia. Riunirsi insieme costituirà fonte di apprendimento e di ispirazione dal vivo.

I vostri doveri

Potrà sembrare un espressione fredda, ma è necessario usarla comunque: divenendo membri dell’Ordine francescano secolare non vi esponete ad alcun obbligo che vincoli sotto pena di peccato. Si presume, naturalmente, che prendiate seriamente gli ideali e le pratiche dell’Ordine, e che non chiediate di fare la professione di fede senza l’intenzione sincera di vivere secondo lo stile francescano per tutta la vita.

Ricominciare

L’obiettivo da raggiungere quest’anno è la professione nell’Ordine, o forse semplicemente un rinnovato impegno francescano verso Gesù. Sarete i benvenuti alle riunioni della fraternità in qualità di persone che si informano. Se desiderate proporvi come candidati e ottenere l’approvazione dei vostri fratelli e sorelle, dovete promettere di vivere più intensamente e fedelmente la grazia e la consacrazione del vostro battesimo, seguendo Gesù Cristo secondo gli insegnamenti e l’esempio di san Francesco d’Assisi (cf. Rituale OFS, n. 12). Questo periodo di ricerca, in quanto candidati, ha lo scopo di aiutarvi a prepararvi alla decisione finale. Poi, quando avrete fatto professione, ricomincerete (Costituzioni Generali, art. 37-43).

+ Domande per la riflessione. – In che modo sperate di approfondire il vostro amore per Dio? Quali errori commessi in passato vi hanno allontanati da Dio? Quale vostro atteggiamento è stato il maggiore impedimento all’approfondimento dell’amore per Dio? Sentite che in voi si può formare uno spirito migliore?

+ Connessione bibliche e francescane. – La nascita e l’infanzia di Gesù in Luca, capp. 1 e 2, e in Matteo, cap. 1,18-25. Larranaga, Nostro fratello, pp. 24-28.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Sperimentate questa settimana utilizzando nel miglior modo il vostro tempo, per riflettere, studiare e pregare. Fissate un piano secondo le vostre possibilità. Non chiedete troppo a voi stessi.

+ Preghiera. – Signore, hai promesso di rinnovare ogni cosa. In questo tuo progetto ci sono anch’io. Mentre intraprendo questo cammino alla scoperta della via di san Francesco che conduce a te, ti chiedo di iniziare a rinnovare la mia fede, la mia speranza e il mio amore. Amen.

 

 

 

 

 

 

 

Riflessione 2

Natura e fine dell’Ordine francescano secolare

Il Terzo Ordine (francescano secolare) è allo stesso modo per religiosi e laici, per fanciulle, vedove e coniugi. L’intenzione dei Fratelli e Sorelle della penitenza è quella di vivere onestamente nelle proprie dimore, essere solerti nel compiere azioni pie e rifuggire dalle vanità mondane. (Bernardo di Bessa, segretario di san Bonaventura).

Il movimento francescano

Tutto ciò che Francesco voleva, come saprete o apprenderete leggendo la sua vita, era semplicemente seguire il Vangelo alla lettera, umilmente e con tutto il cuore. Altri uomini furono ispirati dal suo esempio e catturati dalla sua visione. In un lasso di tempo relativamente breve, il piccolo gruppo di francescani crebbe fino a diventare migliaia di seguaci bisognosi di essere organizzati. Francesco ebbe cura di ottenere l’approvazione del San Padre a ogni sviluppo del suo Ordine. La Regola originaria, una raccolta di passi evangelici, divenne la Regola ultima e definitiva del 1223 osservata ancora oggi dai francescani del Primo Ordine.
Nel corso di quasi otto secoli l’Ordine ha avuto i suoi alti e bassi. Ci sono stati periodi di grande fervore spirituale, ma anche epoche in cui la visione francescana era in qualche modo tramontata. Oggi esistono tre rami di quello che viene chiamato il “Primo” Ordine di san Francesco: i Frati minori (Ofm), i Cappuccini (Ofmcap) e i Conventuali (Ofmconv). Quando santa Chiara insieme ad altre donne seguì l’esempio di Francesco, fu fondato il “Secondo Ordine”, oggi conosciuto come le Clarisse.
Alcuni membri del “Terzo” Ordine di san Francesco si riuniscono per vivere in comunità, fanno voto di povertà, castità e obbedienza, e osservano una regola approvata dalla Santa Sede. Per questo tali comunità formano il Terzo Ordine “regolare” (Tor), al quale appartengono molti istituti di suore francescane che svolgono un apostolato prezioso in campo educativo e sociale. Nel vostro caso, invece, vi state preparando per entrare nell’Ordine francescano secolare, precedentemente conosciuto come il Terzo ordine secolare, formato cioè da francescani che vivono nel mondo come uomini e donne laici. 

 Le origini del Terzo Ordine

Durante uno dei suoi vagabondaggi, nella città di Poggibonsi Francesco incontrò un mercante di nome Lucchesio. Lucchesio era stato un uomo molto duro, che badava al proprio denaro con grande scrupolo, sebbene fosse stranamente generoso con i poveri, non mancasse mai di ospitare i pellegrini e di offrire aiuto alle vedove e agli orfani. Pare che Francesco non abbia influito nella conversione del mercante, ma abbia dato a lui e a sua moglie, Donna Bona, una regola di vita. Dopo questo incontro, Lucchesio dedicò tutto il suo tempo a opere di carità, specialmente alla cura dei malati negli ospizi. Indossò una rozza tunica da semplice contadino, con una corda legata intorno alla cintola. Quando era a casa, si dava da fare nel piccolo orto che aveva tenuto dopo essersi sbarazzato di tutti gli altri beni e i cui prodotti vendeva. Se questo modo di vivere non gli fruttava abbastanza, egli usciva a mendicare.
Un gruppo di persone animate dallo stesso spirito si raccolse intorno a Lucchesio. Francesco diede a questi seguaci (più tardi chiamati Fratelli e Sorelle nella penitenza, che significa coloro che si sono rivolti a Dio dopo una vita nel peccato e nell’ozio) una regola di vita. Essi cercavano di imitare nel mondo i modi di san Francesco e dei suoi fratelli. Non appena entrati nella fraternità, si impegnavano a restituire tutti i beni acquisiti ingiustamente, il che in molti casi significava cedere ogni cosa, a pagare le decime dovute, a fare testamento in tempo per impedire litigi tra gli eredi, a non portare armi, a non fare giuramenti tranne in casi di eccezionale importanza, a non accettare incarichi pubblici. Indossavano una particolare veste povera, e trascorrevano il loro tempo fra preghiera e gesti di carità. Vivevano generalmente nelle proprie famiglie, anche se talvolta, come nel caso dei frati minori, si ritiravano in solitudine.
A causa dei loro principi, entrarono presto in conflitto con le autorità pubbliche. A faenza, per esempio, i cittadini si erano uniti alla fraternità in gran numero. Il sindaco voleva far fare loro il consueto giuramento di obbedienza, con il quale essi sarebbero stati costretti a impugnare le armi se le autorità lo avessero ordinato. Essi rifiutarono; prendere in mano armi era contro la Regola. La disputa si diffuse presto in tutto Italia. Per punizione, le città assoggettarono i Fratelli nella penitenza al pagamento di tasse speciali per impedire loro di donare ai poveri i propri beni. Il cardinale Ugolino, amico di Francesco, prese le loro difese. Quando divenne papa, ordinò al clero di prendere le parti dei Fratelli nella penitenza e di vegliare affinché non accadesse loro nulla di male.
Il papa volle riunire le fraternità divise in un solo corpo. Verso il 1221, il cardinale Ugolino e Francesco scrissero la prima Regola formale del Terzo Ordine. Oggi non abbiamo quella Regola, ma è certo che essa fu la base della Regola del 1228, tuttora conservata.
Santità nel mondo

  Per quasi otto secoli, questo gruppo di fedeli ha lottato per vivere la vita evangelica nel mondo sotto la direzione dell’Ordine francescano e in conformità alla Regola di san Francesco approvata e adatta dalla chiesa.
Quindi si tratta di: a) una fraternità di fratelli e sorelle laici (sebbene possano farne parti anche ecclesiastici diocesani), b) i quali cercano di vivere la vita evangelica “nel mondo”, secondo le circostanze ordinarie della vita dei laici, a casa e a scuola, in fabbrica e in ufficio, c) seguendo una Regola o uno stile di vita, d) con il sostegno spirituale di altri rami della famiglia francescana o di persone qualificate, e) approvati e adattati dalla chiesa. Chiunque fosse Francesco, era prima di tutto un cattolico, seriamente preoccupato di ottenere l’approvazione della chiesa, in un epoca in cui molti riformatori, in buona o mala fede, stavano cercando di riformare la chiesa, abbattendone i pilastri o allontanandosene completamente.

Un Ordine vero e proprio

L’Ordine francescano secolare si distingue dalle altre associazioni laiche in seno alla chiesa perché il suo scopo primario è nell’impegno a vivere la vita evangelica. Anche altri gruppi possono avere scopi specifici. Per esempio, la Confraternita della dottrina cristiana fu istituita con lo scopo preciso di promuovere l’istruzione religiosa. Come Ordine laico, l’Ordine francescano secolare pone in rilievo la vita della fraternità, la ricerca della santità personale e dell’apostolato sia personale che della fraternità come stile di vita per la giustizia sociale e la pace fra tutti gli uomini.

+ Domande per la riflessione – Qual è lo scopo primario dell’Ordine francescano secolare? Quali altri scopi persegue?

+ Connessioni bibliche e francescane – L’inizio della vita pubblica di Gesù in Luca, capp. 3-4 e in Giovanni, cap. 1,19-51 e cap. 2. Larranaga, Nostro fratello, pp. 104-108

+ Applicazione alla vita quotidiana – L’appartenenza a un Ordine laico richiede cambiamenti nella vostra vita? Che disciplina di vita è necessario assumere divenendo un francescano secolare? Pregate ogni giorno affinché lo stile di san Francesco possa pervadere tutta la vostra vita, sì che possiate davvero essere santi vivendo nel mondo.

+ Preghiera. – Grazie, Signore, per i fedeli che ti hanno seguito sulla via di san Francesco attraverso i secoli. Spalanca il mio cuore e la mia mente perché io possa distinguere se lo stile di vita francescano è la mia chiamata alla vita spirituale. Amen

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

1 – Tra le famiglie spirituali, suscitate dalla Spirito Santo nella chiesa (cf. Lumen gentium, 43), quella francescana riunisce tutti quei membri del popolo di Dio – laici, religiosi e sacerdoti – che si riconoscono chiamati alla sequela di Cristo sulle orme di san Francesco d’Assisi. In modi diversi e forme diverse, ma in comunione vitale reciproca, essi intendono rendere presente il carisma del loro comune Padre Serafico nella vita e nella missione della chiesa. (cf. Apostolicam actuositatem, 4,8).

 

 

 

 

 

 

 

Riflessione 3

La missione dell’Ordine francescano secolare è vivere la vita evangelica

Dopo che il Signore mi diede dei fratelli, nessuno mi mostrò che cosa dovevo fare, ma l’Altissimo stesso mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Feci scrivere tutto questo in modo semplice e con poche parole e il Papa lo confermò per me. (San Francesco, Testamento: FF 116)

Il fondamento della vita francescana

E’ impossibile catturare Francesco entro un’analisi o un riassunto. Laddove c’è la grazia, c’è mistero. Ma se, con mezzi umani, proviamo ad elencare gli elementi del mistero, dobbiamo collocare il Vangelo in cima a quell’elenco. Nella sua deliziosa e persino emozionante adesione, Francesco dichiarava candidamente: “Ecco la parola viva di Dio. Egli ci sta parlando oggi. Di quale altra “regola” abbiamo bisogno?”.
Ciò che Francesco intendeva per “Vangelo” era Gesù, la parola vivente di Dio fatto carne viva che vive con noi oggi. “Fratelli, conosco la Parola sacra, conosco il Cristo povero”, egli diceva. L’ultima cosa che Francesco voleva era essere ”speciale” o fondare un gruppo di persone che si sarebbe distinto per superiorità. Egli desiderava semplicemente che un numero il più grande possibile di persone si lasciasse guidare dallo Spirito Santo a vivere il Vangelo di Gesù, concedendo al Signore di trasformare la loro vita. Essere francescano, quindi, significa cercare di essere un cristiano, un discepolo.
Come abbiamo detto, qualcosa di “diverso” di certo accadde: san Francesco. Perciò i francescani oggi sono “diversi” (sebbene Francesco non gradirebbe questa espressione!) nel cercare di essere cristiani con la particolare ispirazione e tradizione di san Francesco. Ciò nonostante, la spinta fondamentale è sempre la vita evangelica. Uno stile di vita è un insieme di valori, uno spirito che pervade tutta l’esistenza,un atteggiamento che penetra in ogni pensiero che facciamo, in ogni emozione che proviamo, in ciò che diciamo e in ogni azione quotidiana. Il cristianesimo è lo stile di vita che Dio stesso ci ha benevolmente donato. La nostra tradizione dice: “Poiché Cristo è la via, la verità e la vita, i francescani secolari dovrebbero essere profondamente convinti che, per mezzo del battesimo e della professione di fede, devono diventare simili a Cristo crocifisso, e seguirne il Vangelo come regola di vita. Mentre vivono la loro vita nel mondo, sono pervasi dal pensiero e dallo spirito di Cristo”.

Il Vangelo è la buona novella

Non riusciremo mai a dare sufficiente enfasi al fatto che “Vangelo” significa “buona novella”. E’ proprio una delle idee chiave nella vita di san Francesco. Egli si emozionava nello scoprire la bellezza e la semplicità di quest’idea: la buona novella che è Dio è nostro Padre e nostra Madre! Dio ci ama! Cristo è nostro fratello. Noi siamo i figli di Dio, che possiedono veramente la vita spirituale. Siamo fratelli e sorelle di Cristo, e gli uni degli altri. Lo spirito dell’amore di Dio vive in noi. La nostra vita è santa e fiduciosa in Cristo.  Cristo e il suo Vangelo furono, perciò, il perno della vita di san Francesco. Devono essere il perno anche della vita francescana secolare. Siamo tenuti a vivere il Vangelo, vale a dire, vivere secondo la buona novella! Vivere come figli di Dio, fratelli e sorelle di Cristo, templi dello Spirito Santo. Praticamente ogni dettaglio di questa vita è stato “modellato” per noi durante la vita terrena di Gesù.

Definiamoci in dettaglio

1 – La Bibbia – Poiché la parola di Dio era vitale per Francesco, leggere e pregare con la Scrittura è una pratica fondamentale nella nostra vita. Di questo argomento parleremo più dettagliatamente in un altro capitolo.

2 – La Regola – La prima Regola di Francesco, approvata verbalmente nel 1209, era composta per la maggior parte da passi tratti dalla Sacra Scrittura. Nel 1221, papa Onorio III collocò i Fratelli e Sorelle della penitenza nei pressi di Rimini, in Italia, sotto la protezione del vescovo. Quello stesso anno, papa Onorio III approvò il Terzo Ordine. Papa Niccolò IV emanò una Regola uniforme nel 1289. Regola che fu seguita fino al 1883, quando papa Leone XIII la adattò alle condizioni moderne pur conservandone l’essenza. Nel 1957, la Sacra congregazione dei religiosi emanò le Costituzioni Generali del Terzo Ordine. Oggi, i francescani secolari di tutto il mondo seguono la Regola approvata e confermata da papa Paolo VI il 24 giugno 1978.
La Regola non è un elenco di cose da fare e da non fare. (Una parte di essa deve necessariamente essere strettamente “legale”,per esempio le direttive riguardanti l’organizzazione e le procedure). Ma la Regola resta principalmente una guida sicura per il vivere cristiano. La chiesa afferma, per così dire: “La vostra… Regola e le Costituzioni vi mostrano la vita evangelica. Se compirete un generoso sforzo per seguirle, allora starete vivendo il Vangelo.

3 – Lo spirito della Regola – Alcuni punti chiave del Vangelo ai quali Francesco diede rilievo saranno sottolineati anche in questo libro: uno spirito di intimità con il Signore, uno spirito di amore fraterno, uno spirito di servizio verso il prossimo, uno spirito di semplicità e di costante cambiamento del cuore.

Uno spirito generoso

La vita francescana è una chiamata verso l’alto. Ma se Dio ci ha fatto dono di questa vocazione, ci concederà anche la grazia di adempierla. E’ necessaria un’importante qualità: uno spirito di speranza e di generosità. Questa è la lezione che ci ha dato san Francesco con la sua vita: uno spirito di fiducia nel Padre celeste pari a quello di un bambino, nonché la fede nel suo potere, nella sua saggezza e nel suo amore. Accanto al Padre, non c’è nulla da temere. Niente può ferirci. Non c’è problema che non si possa risolvere con la saggezza e la grazia di Dio.

+  Domande per la riflessione – Che cos’è uno stile di vita? Che cosa aggiunge l’Ordine francescano secolare allo stile di vita cristiano? Cos’è la buona novella? In che modo ci viene detto come vivere il Vangelo?

+ Connessioni bibliche e francescane – Il primo ministero di Cristo in Giovanni, capp. 3-4, capp. 5-6. Larranaga, Nostro fratello, pp. 100-102

+ Applicazione alla vita quotidiana – Credete che la vostra vita sia improntata all’osservanza del Vangelo? Perché san Francesco era così preoccupato di osservare la vita “evangelica”? Condividete la “buona novella” con gli altri? Se il Vangelo è la “buona novella” la religione dovrebbe essere contenta o triste? Mentre leggete il Vangelo, la Regola e le Costituzioni, cercate di pensare a dei modi pratici di applicare il Vangelo alla vostra vita quotidiana a casa, nel lavoro, con gli amici.

+ Preghiera – Io ti lodo, Signore, per la buona novella, il tuo Vangelo di verità che può gidarmi alla grande verità della vita. Conservami fedele ai tuoi insegnamenti. Amen.

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

2 – In seno alla famiglia francescana, ha una sua specifica collocazione l’Ordine francescano secolare. Questo si configura come una unione organica di tutte le fraternità cattoliche sparse nel mondo e aperte a ogni ceto di fedeli, nelle quali i fratelli e le sorelle, spinti dallo Spirito a raggiungere la perfezione della carità nel proprio stato secolare, con la professione si impegnano a vivere il Vangelo alla maniera di san Francesco e mediante questa Regola autenticata dalla chiesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

Riflessione 4

La spiritualità francescana

Altissimo, Onnipotente, bon Signore, tue so le laude, la gloria e l’onore e onne benedizione. A te solo, Altissimo, se confano e nullo omo è digno te mentovare (….). Laudate e benedicite mi Signore, e rengraziate e serviteli cun grande umiltate. (San Francesco, Cantico delle creature: FF 263)

Che cos’è la “spiritualità”?

La spiritualità consiste in un particolare modo, o una particolare enfasi, nel seguire Cristo. Naturalmente molti elementi sono comuni a tutti i cristiani, e questi sono più importanti degli interessi di ogni singolo gruppo cristiano: l’amore secondo Cristo, il perdono, la comunità, la preghiera personale e collettiva, la celebrazione della vita sacramentale della chiesa, l’obbedienza alle autorità legittime, l’amore per la Scrittura e l’interesse per la giustizia e la pace, per citarne alcuni. Non sono diversi i nostri obiettivi, i nostri modi e i nostri mezzi. Ma una distinzione ci può essere solo in ciò che possiamo definire come enfasi, cioè una accentuazione di determinati aspetti della vita cristiana. Si parla di una spiritualità benedettina, domenicana, francescana. C’è una spiritualità propria dei laici, in confronto con quella dei sacerdoti, delle suore e dei frati.
Forse l’idea può essere illustrata meglio con un esempio concreto. Band musicali diverse possono suonare lo stesso pezzo. Ma l’effetto di un gruppo rock che suona non è lo stesso che si ottiene dall’ascolto dell’emittente radio pubblica! O ancora, diversi cantanti possono cantare “The Star Spangled Banner” (inno nazionale degli Stati Uniti, ndt) durante le partite di baseball nelle varie parti del Paese con suoni talmente differenti da indurre a chiedersi se si tratti dello stesso inno nazionale. Oppure, alcuni scrittori possono descrivere lo stesso evento o le stesse persone; ma se si va a leggere un resoconto della Rivoluzione americana scritto da un punto di vista britannico e uno scritto da un punto di vista americano il tono sarà completamente diverso!

La via di Francesco

Le diverse spiritualità sono dovute soprattutto alle personalità dei fondatori e alle epoche in cui le comunità religiose si svilupparono. Papa Pio XII le descrive con queste parole: “La spiritualità di ciascun santo è il suo modo particolare di immaginare Dio, di parlargli, di avvicinarsi a lui. Ogni santo vede gli attributi di Dio alla luce di ciò che egli valuta di più, di ciò che lo pervade più profondamente, di ciò che lo attrae e lo conquista. Per ciascun santo, una particolare virtù di Cristo rappresenta l’ideale verso cui dover tendere. E comunque tutti i santi – invero tutta la chiesa – si sforzano di imitare Cristo nella sua interezza”.

San Francesco, “speciale”?

Uno scrittore francescano ha detto: “Se qualcosa di particolare si può osservare di san Francesco, è la sua grande preoccupazione a non desiderare nulla di particolare”. La spiritualità di Francesco consisteva semplicemente nell’ “osservare il Vangelo”. E dunque, poiché egli fu una personalità unica e avvincente, la chiesa guadagnò un carisma unico chiamato spiritualità francescana. Pio XII, inoltre, dichiarò: “Esiste, poi, una dottrina francescana secondo la quale Dio è santo, è grande, e soprattutto è buono, davvero il Dio supremo. Infatti, in questa dottrina, Dio è amore. Egli vive d’amore, crea per amore, diventa carne e ci redime, vale a dire, salva e rende santi, per amore. C’è inoltre un modo francescano di contemplare Gesù… nel suo amore umano”. Ogni cristiano è convinto di questo, naturalmente. I francescani scelgono di dare particolare importanza a questi aspetti, come fece san Francesco.

 

 

 

I francescani sono “superiori”?

Se san Francesco in paradiso potesse arrossire, proverebbe imbarazzo a ogni accenno al fatto che il suo Ordine, il suo stile, o la sua spiritualità pongono lui e i suoi amici “al di sopra” di chiunque altro. In realtà, uno degli elementi principali della sua spiritualità consisteva nell’essere “inferiore” e nel volere che i suoi seguaci fossero fratelli e sorelle “inferiori”, “minori”.
Nessuna spiritualità è superiore all’altra; è semplicemente diversa. Uno si sente commosso all’idea del Calvario, un altro è toccato nel cuore da Betlemme. Alcuni sentono che il giudizio e la vigilanza dovrebbero essere la nostra maggior preoccupazione; altri mettono in rilievo la pazienza e la misericordia di Dio. Nessuno di noi è migliore; siamo ciò che siamo. Esiste qualcosa che rende uno spagnolo diverso da un irlandese, non migliore, solo diverso.
Elementi di spiritualità francescana

Questo libro è un tentativo di esprimere nel loro complesso sia la spiritualità cristiana sia quella francescana. Elenchiamo questi elementi in un breve schema.
Vivere il Vangelo secondo lo spirito di san Francesco:
– In comunione con Cristo, povero e crocifisso,
– Nell’amore di Dio,
– In unione fraterna con tutti gli esseri umani e con tutto il creato,
– Partecipando alla vita e alla missione della chiesa,
– Nella costante conversione,
– In una vita di preghiera, liturgica, personale, collettiva,
– Come strumento di pace.

+ Domande per la riflessione.- Qual è la differenza fra le diverse spiritualità? Che immagine avete di Dio? Che cosa rende unica la spiritualità francescana? Perché vi attrae la spiritualità francescana?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Il discorso della montagna in Matteo, capp. 5-7. Larranaga, Nostro Fratello, pp. 151-153; Aizpurua, Il cammino di Francesco, pp. 119-122.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Come si applica il concetto “Dio è amore” alle vostre preoccupazioni, alla vostra preghiera, al vostro lavoro,alla vostra vita familiare e nei rapporti con il prossimo? Il fatto di sentirvi attratti dallo stile francescano indica qualcosa di particolare circa la vostra personalità? Questa settimana cercate di richiamare alla mente, tutte le volte che potete, il fatto che “Dio è amore”.

+ Preghiera. – Signore, invito il tuo Spirito a guidarmi lungo le tue vie, nel tuo amore. Cercherò di seguirti tutti i giorni della mia vita. Amen.

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

4 – La regola e la vita dei francescani secolari è questa: osservare il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo secondo l’esempio di san Francesco d’Assisi, il quale del Cristo fece l’ispiratore e il centro della sua vita con Dio e con gli uomini.
Cristo, dono dell’amore del Padre, è la via che conduce a lui, è la verità nella quale lo Spirito Santo ci introduce, è la vita che egli è venuto a donare in sovrabbondanza.
I francescani secolari si impegnino inoltre a una assidua lettura del Vangelo, passando dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo.

 

 

 

 

 

Riflessione 5

Dio è amore

San Francesco non si stancava mai di parlare della bontà di Dio. Non trovava nomi abbastanza meravigliosi per nominarlo. Leggete lentamente questa selezione tratta dalla sua Prima Regola:

Con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente,/con tutta la nostra capacità e fortezza/ con tutta l’intelligenza, con tutte le forze/ con tutto lo slancio,/ con tutto l’affetto, con tutti i sentimenti più profondi,/ con tutto il desiderio e la volontà/ amiamo tutti il Signore Dio/ il quale a noi ha dato e dà/ tutto il corpo, tutta l’anima e la vita intera./ (…). Nient’altro dunque si desideri,/ nient’altro si voglia,/ nient’altro ci piaccia e ci soddisfi/ se non il Creatore, Redentore e Salvatore nostro,/ solo vero Dio,/ che è pienezza di bene,/ tutto il bene, ogni bene, il vero e supremo bene,/ che solo è buono,/ misericordioso e mite, soave e dolce,/ che solo è santo, giusto, vero e retto,/ che solo è benigno, innocente e puro./ (…). Dovunque noi siamo,/ in ogni luogo, in ogni ora,/ in ogni momento, in ogni giorno,/
senza cessare, crediamo veramente/ umilmente conserviamo e teniamo nel cuore,/ e amiamo, onoriamo, adoriamo, serviamo/ lodiamo e benediciamo,/glorifichiamo ed esaltiamo,/ magnifichiamo e ringraziamo/ l’altissimo e sommo eterno Dio,/ Trino e Uno,/ Padre, Figlio e Spirito Santo,/ Creatore di tutte le cose./ Salvatore di chi opera e crede in Lui.
(San Francesco, Regola non bollata, 23: FF69-71)
 
Dio è il nostro Padre amoroso

Sopra ogni cosa, Francesco pensava a Dio come al suo buon Padre. Nella vita moderna possiamo vedere Dio come un genitore premuroso con le caratteristiche di un padre e di una madre pieni di amore. (Spesse volte in questo libro ci si riferisce a Dio come al Padre, come faceva Francesco. Ciò non è indice di una mancanza di rispetto verso l’immagine materna di Dio, oggi giustamente rivalutata). Nella sua riscoperta di Cristo nel Vangelo, Francesco apprese che Cristo si appellava continuamente al Padre, compiendo ogni gesto per amore del Padre. Cristo ci fa suoi fratelli e sorelle. Egli ci dà il suo stesso Padre come il più amoroso dei padri!

Dio è buono

La bontà di Dio incarna il principio fondamentale della spiritualità francescana. E’ questa la causa di tutta l’attività spirituale, la risposta prima e ultima a tutti i problemi. E’ questa l’idea che deve spingere all’azione di un francescano prima di qualsiasi altra. E’ vero, naturalmente che Dio è onnipotente, onnisciente e ogni saggezza. Egli è il giudice che ricompensa e punisce. Tuttavia, la spiritualità francescana sceglie di mettere in rilievo il suo amore e la sua bontà. Dio possiede tutta la bontà, la bellezza, la felicità che la mente umana può immaginare, e infinitamente di più di quanto si riesca a concepire. Dio è infinitamente, eternamente, inimmaginabilmente buono. Dio è amore infinito. E vuole che anche noi partecipiamo alla sua bontà!

Che cos’è l’amore?

E’ opportuno fermarsi un momento a considerare la parola “amore”. L’amore è il bene più prezioso sia in cielo che sulla terra. L’amore è la vera essenza di Dio, nonché il primo comandamento della vita umana. Ma che cos’è?
Le definizioni sono sempre terribilmente poco romantiche, tuttavia cerchia modi darne una: amare qualcuno è volere, desiderare fortemente,tutto ciò che è bene per lui o per lei. Diciamo “volere” e “desiderare” anziché “dare” perché in effetti si può non essere in grado di dare a qualcuno ciò che si vorrebbe. Una madre non può ridare la salute al suo bambino morente; un amico non può davvero dare il dono della fede a qualcun altro; talvolta non possiamo elargire denaro perché non ne disponiamo noi stessi. Ma in tutti questi casi c’è alla base un amore profondo e generoso: vogliamo che le persone amate abbiano quei doni.
Non sempre possiamo dare alle persone ciò che desiderano. Dobbiamo formulare un giudizio circa ciò che è realmente buono. Una mamma non lascia che il suo bambino mangi un chilo di gelato semplicemente perché lui vuole ingozzarsi. Un amico non compra cocaina di ottima qualità per qualcuno, né gli trova una prostituta. Il vero amore, tuttavia, non consiste in una “disciplinare” e autoritaria imposizione di valori agli altri.

 

L’ amore dà ciò di cui l’altro abbisogna: fisicamente, emotivamente, spiritualmente, umanamente. Amare è essere attenti e preoccupati dei bisogni altrui, è essere generosi e altruisti nel soddisfarli.
Anche l’amore più grande ha dei limiti. Nella sua vita terrena, Gesù non poteva essere ovunque in ogni momento. Poté soltanto trattare con le persone in base al tempo materiale a disposizione. Ciascuno di noi ha dei limiti fisici, emotivi, intellettuali e umani. Non è mancanza di amore regolare le vostre forze così da poter servire il prossimo per molti giorni, anziché esaurire tutte le risorse il primo giorno. Siamo limitati dai doveri che già abbiamo. Una moglie non può passare tutto il tempo a prendersi cura della gente per la strada, quando la sua stessa famiglia ha bisogno di lei. Un padre non può non presentarsi al lavoro perché il suo bambino vuole giocare a pallone con lui.

Madre Teresa di Calcutta

Madre Teresa di Calcutta raccontò come un giorno portò del cibo a una famiglia che stava morendo di fame. La mamma si scusò e si assentò per un breve momento. Al suo ritorno, madre Teresa le chiese cosa aveva fatto. La donna rispose che aveva donato metà del cibo a un’altra famiglia affamata.
Mentre noi dobbiamo discutere su questi banali dettagli circa l’amore, c’è qualcosa di esso che sfugge dalla forma in cui cerchiamo di porlo. L’amore è condivisione nello Spirito stesso di Dio. In esso c’è qualcosa di misterioso perché è divino. L’amore si manifesta in una miriade di modi che notiamo quando abbiamo spirito di osservazione.
Dio non è costretto entro limitazioni. Ne deriva che la “volontà di bene” della Trinità è illimitata, infinita, totale. L’amore di Dio è un torrente infinito più ampio dell’universo, che scorre entro la comunità chiamata Padre, Figlio e Spirito, che poi si riversa sul mondo intero.
Gesù è il segno di questo amore, catturato e riversato entro un corso e uno spirito umani. Il suo amore era divino (ci donò tutto ciò che possedeva, persino la sua stessa vita). Eppure, il suo amore fu anche umano (anche Gesù dovette giudicare per decidere cosa dare, quando darlo, che cosa non fare, che cosa era saggio fare oggi e che cosa domani). Egli dovette considerare quali erano i reali bisogni del suo prossimo e qual’era il modo migliore per soddisfarli.
Ma l’amore si diffonde come il fuoco , a meno che l’egoismo non lo soffochi. L’amore semplicemente deve espandersi, diffondere la sua luce e il suo calore in ogni direzione. Più felici siamo, più desideriamo comunicarlo agli altri per condividere con loro quella felicità. Anche Dio, che è in se stesso amore, ha voluto condividere la sua bontà con gli altri. Dio non era “obbligato” a condividere la sua bontà; Dio lo ha voluto! Dio ha voluto essere nostro Padre, donarci la vita divina, la bontà e la felicità.

Il più grande dono dell’amore di Dio

La più grande cosa che Dio poteva donarci era la vita (non soltanto la vita umana ma anche una parte della sua stessa vita divina). Questo mistero si chiama grazia. La grazia ci penetra fino alle radici del nostro essere. Diventiamo creature nuove come lo eravamo il giorno in cui siamo nati. Tuttavia, questa novità di vita non è qualche cosa di “aggiunto” o steso sopra quello che già siamo. Imbeve la nostra natura, permea il nostro essere, se noi glielo permettiamo. Ciò significa che la medesima forza mediante la quale Dio ama è la nostra forza. La stessa saggezza e intelligenza con le quali Dio ama sono le nostre. L’autentico donare e lo spendersi per gli altri, la generosità eil sentimento sono tutti nostri, poiché ciò che è in Dio è in noi, non per una specie di imitazione da lontano ma per il nostro prendere parte alla vita di Dio.
Gesù ci indica questa vita di grazia che è l’amore di Dio. Egli ha conquistato per noi la nostra nuova creazione per mezzo del suo Spirito, così che noi potessimo vivere la vita di Dio in forma umana, come egli fece. Dio non ci dà soltanto Gesù – un uomo vissuto duemila anni fa – come fosse qualcuno “al di fuori” di noi stessi o il Cristo risorto “lassù” sull’altare. Dio ci dona se stesso, ci dona Gesù, ci dona il suo Spirito dentro di noi come il fuoco è dentro la legna senza essere la legna stessa.
Se lo permettiamo, pur con i nostri limiti umani, possiamo fare esperienza di questa nuova creazione del nostro vero essere. Nessuna forza trasformatrice supera la forza dell’amore. Un uomo o una donna innamorati sono persone nuove. Così siamo anche noi, se ci lasciamo permeare del dono benigno che Dio ci fa della sua stessa vita.

 

 

 

 

Il cuore francescano

Abbiamo detto che la prima cosa rilevante della spiritualità francescana è la consapevolezza che Dio è amore. La seconda è che Cristo è nostro fratello nell’amore di Dio e noi siamo tutti fratelli e sorelle in Cristo. Francesco riscoprì la semplice verità dei Vangeli: Cristo non è solo Dio; egli è umano. E’ un uomo in carne e ossa, con un corpo reale, una mente reale, una volontà reale, e i sentimenti reali proprio come i suoi fratelli e sorelle; egli è un uomo in tutto tranne nel peccato e nelle sue conseguenze sulle persone. Gesù nostro fratello, è venuto affinché noi potessimo avere la vita eterna accanto a Dio nostro Padre.
Vivere il Vangelo è semplicemente amare come ha amato Gesù, cioè come un uomo, sapendo che è l’amore di Dio che vibra dentro di noi. La vita evangelica è amare la gente, non “la gente” in generale, bensì quella “gente”, quelli che incontriamo, quelli con cui viviamo o lavoriamo, quelli che ci possono trovare difficoltà o sofferenza, così come quelli che ci procurano gioia. L’Ordine francescano secolare ci offre una particolare comunità di persone tra le quali possiamo essere aiutati a fare esperienza e a portare testimonianza dell’amore di Francesco e di Cristo.

Dio è amore

Non dimentichiamo mai il tema principale: dietro ogni cosa, in ogni cosa, attraverso ogni cosa, c’è Dio che è amore. La nostra risposta nell’ambito di tutte le risposte quotidiane della vita di ogni giorno è questa: Sia benedetto Iddio perché è buono.

+ Domande per la riflessione – Che cosa significa “amare”? Vi pare che vi sia nell’amore sia mistero che la semplicità quotidiana? Qual è il dono più grande che Dio ci ha fatto?

+ Connessioni bibliche e francescane – Gli insegnamenti di Gesù e varie reazioni in Luca, capp. 7-8. Larranaga, Nostro Fratello, pp. 43-44
 
+ Applicazione alla vita quotidiana – Che idea avete dell’amore? Vi ricordate le persone che hanno instillato in voi l’idea dell’amore? Che cosa può significare l’amore paterno di Dio nella vostra vita? Quale deve essere la qualità più importante in un genitore amorevole? Avete mai pensato a Cristo come a un fratello? In che modo potete amarlo di più? Provate a comprendere e a ripetere spesso: “Dio è amore. Dio è il mio genitore amorevole. Cristo è mio fratello. Voglio amarli e ricambiarli con la bontà”.

+ Preghiera – Tu sei santo, Signore Dio solo,/ che compi prodigi./ Tu sei forte; sei grande; sei l’Altissimo;/ sei il Re Onnipotente,/ tu, Padre santo, Re del cielo e della terra./ Tu sei trino e uno, Signore  Dio degli dei./ Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene,/ Signore, Dio, vivo e vero./ Tu sei amore, carità./ Tu sei sapienza, sei umiltà, sei pazienza;/ Tu sei bellezza; sei mitezza; sei sicurezza;/ sei la pace interiore; sei la gioia;/ sei la nostra speranza e la nostra gioia;/ Tu sei giustizia; sei moderazione; sei ogni nostra ricchezza;/ Tu sei bellezza; sei mitezza;/ sei il nostro protettore./ Sei il nostro custode e difensore;/ Tu sei fortezza; sei rifugio./ Sei la nostra speranza; la nostra fede; la nostra carità;/ Tu sei tutta la nostra dolcezza;/  sei la nostra vita eterna:/ grande e meraviglioso Signore,/ Dio onnipotente, misericordioso Salvatore. (San Francesco, Lodi di Dio altissimo: FF 261)

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

Nel Nome del Signore!

Di quelli che fanno penitenza.

Tutti coloro che amano il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima e la mente, con tutte le forze (cf. Marco 12,30),e amano il loro prossimo come se stessi (cf. Matteo 22,39), e hanno in odio i loro corpi con i vizi e peccati, e ricevono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e fanno frutti degni di penitenza.

Oh quanto sono beati e benedetti quelli e quelle che fanno tali cose e perseverano in esse! Infatti riposerà su di loro lo spirito del Signore (cf. Isaia 11,2) ed egli farà la sua abitazione e dimora in essi (cf. Giovanni 14,23); e sono figli del Padre celeste (cf. Matteo 5,45), del quale compiono le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo (cf. Matteo 12,50).

Siamo suoi sposi quando l’anima fedele si unisce al Signore nostro Gesù Cristo per virtù di Spirito Santo. Siamo suoi fratelli quando facciamo la volontà del Padre che è nei cieli (cf. Matteo 12,50)

Gli siamo madri quando lo portiamo nel cuore e nel corpo nostro (cf. I Corinzi 6,20) per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza; e lo generiamo attraverso le opere sante, che devono splendere di esempio agli altri (cf. Matteo 5,16).

Oh come è glorioso, santo e grande avere un Padre nei cieli! Com’è santo, consolante, bello e ammirabile avere un tale sposo! 

Quanto sacro e caro, piacevole, umile, pacificante e dolce, amabile e desiderabile sopra ogni cosa, avere un tale fratello e un tale figlio: il Signore nostro Gesù Cristo, il quale ha offerto la vita per le sue pecore (cf. Giovanni 10,15) e ha pregato il Padre dicendo:
“Padre santo, custodisci nel tuo nome (cf. Giovanni 17,11) quelli che mi hai dato nel mondo; erano tuoi e li hai dati a me. Le parole che hai dato a me io le ho date a loro; essi le hanno accolte e hanno creduto veramente che sono uscito da te e hanno conosciuto che tu mi hai mandato. Io prego per loro e non per il mondo (cf. Giovanni 17,9). Benedicili e santificali; e per loro io consacro me stesso. Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me attraverso la loro parola (cf. Giovanni 17,11). E voglio, Padre, che dove sono io siano anch’essi con me, perché contemplino la mia gloria nel tuo regno. Amen” (cf. Giovanni 17, 6-24)
(Esortazione di san Francesco ai Fratelli e Sorelle della penitenza: cf FF 178/1-3, ed. minor)
 
Riflessione 6

Cristo, il capolavoro progettato dall’eternità

Egli è l’immagine del Dio invisibile,/ generato prima di ogni creatura;/ poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose…/ Egli è prima di tutte le cose. (Colossesi 1,15-17)

Immaginate il Dio eterno capace di esprimere tutto il suo amore in un unico dono: vita e amore infiniti, eterni, indicibili, concentrati in un solo essere. Quel dono è Gesù.
Dio “aveva”, noi diciamo, un progetto eterno. Dare se stesso a degli esseri intelligenti, liberi e capaci di amare, che egli avrebbe creato non solo come esseri in qualche modo “simili” a lui perché in grado di pensare, amare e agire, bensì come persone che amano con la forza dell’amore divino, che giudicano con la sapienza divina, che possono amare non solo umanamente, ma anche con la parte divina insita nel loro essere.

Cristo, il capolavoro eterno

Il progetto di Dio è centrato su Gesù. Gesù è il modello eterno di tutti i figli di Dio. Dio concepì lui per primo, come il cuore di tutto il creato.
Dopo aver “pensato” Gesù, la vita divina sarebbe stata concessa ai suoi fratelli e sorelle. Egli è la sorgente attraverso la quale la vita divina vive in un corpo umano e di lì scorre in ogni essere umano sulla terra. Tutte le cose sono state create in lui, attraverso lui, e per lui. Egli è il primo Adoratore, il Bambino perfetto, la creatura Modello, il “primogenito di tutto il creato” e il primogenito di molti fratelli e sorelle.
Il Dio Figlio eterno, a un certo momento nel tempo, divenne Dio fatto uomo. Ma ogni creatura prima e dopo di lui, dal primo uomo e dalla prima donna sulla terra fino agli ultimi, furono creati a sua immagine, destinati a essere da lui salvati, tratti a Dio attraverso di lui. Egli è “il punto d’incontro dell’amore creato e increato”.

Immagini del capolavoro

Cristo è l’immagine di Dio, ma Dio aveva in mente infinite immagini di Cristo. Maria, la futura Madre era la prima di queste. Poi vennero tutti gli altri fratelli e sorelle di Cristo, cioè ogni essere umano sulla terra. Sia che un uomo o una donna conoscano Cristo oppure che non ne sentano mai parlare nella loro vita, essi sono da Cristo salvati, amati, e a lui chiamati. Se i nostri genitori terreni sono con Dio, è perché essi sono stati salvati dalla morte e risurrezione di Cristo.

Il dramma del peccato

In tutta la storia dell’umanità ci fu soltanto una vera calamità: il peccato, con il quale l’uomo si è tagliato fuori dal progetto divino. Il genere umano gettò al vento il proprio rapporto con Dio e divenne autosufficiente, egocentrico, sempre alla ricerca della redenzione al di fuori del progetto divino.

Cristo redentore

I figli del genere umano, di conseguenza, nascono come membri della razza umana che ha abbandonato Dio, e che diventa popolo alienato. Eppure, il rimedio a questo dramma avvolge già ogni bimbo che nasce, poiché il progetto di Dio vi si posa sopra delicatamente.
La grazia redentrice di Cristo viene offerta a ogni essere umano sulla terra poiché tutti appartengono a Cristo. Ciascuno è chiamato a essere guarito e innalzato per condividere la vita e la vittoria di Gesù primo uomo. Il Capolavoro, mente e fonte della creazione, ne è il Redentore. Il modello di tutti gli uomini è il modello di coloro destinati a subire nella propria vita l’influsso malefico del peccato. Gesù svuotò se stesso per entrare nella nostra vita corrotta dal peccato. Senza la realtà del peccato, e senza le relative conseguenze morali, egli non avrebbe mai fatto esperienza della condizione di peccato in cui il mondo si trova. Infine, fu ucciso dalla forza del male, ma poiché perdonò i peccati e confidò nel Padre celeste, Gesù risorse a nuova vita eterna. Egli ora può donare quella vita ai suoi fratelli e sorelle con una forza che non può essere arrestata. Il suo Spirito vive in noi. Perciò siamo capaci di vincere il peccato e la morte con quella forza.

Cristo re

Per mezzo del “fallimento” della sua morte, Gesù diviene l’irresistibile distruttore del peccato e il datore di vita. Egli possiede forza: gentile ma infinita, divina ma trasmessa umanamente. Egli è il Re. La sua legge è lo Spirito in noi. Il suo regno è la grazia. La sua punizione è il perdono. Il suo potere è l’umiltà. Il suo tesoro è l’amore. San Francesco rimase entusiasmato da questa semplice, grande idea del Cristo al centro della creazione, non solo come Dio, ma come l’uomo divenuto vittima, sacerdote e re del mondo. La grande vittoria rappresentata dalla risurrezione significa che il male è stato distrutto per sempre e che la morte ha perduto il suo vigore. Francesco vedeva se stesso come “l’araldo del grande Re”. L’araldo è qualcuno che porta un messaggio da parte del re. Francesco arrivò cantando la buona novella mandato dal Re dei re: Dio è amore; Cristo è nostro fratello e ci dona la vita, ci salva, e ci porta al regno del buon Dio. Ogni azione che compiamo, quindi, deve essere in un modo o nell’altro un atto di amore leale per il Re.

+ Domande per la riflessione. – Perché Dio volle la creazione del mondo? Chi è il Capolavoro eterno di Dio? Perché lo è? Chi rappresentano le immagini del Capolavoro? Come si definiva san Francesco?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Gesù è il Pane della vita in Matteo, cap. 13; Marco, cap. 6; Giovanni, cap. 6. Larranaga, Nostro fratello, pp. 133-135.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Se Cristo è il cuore e il significato di tutte le cose, potete applicare questa verità alla vita quotidiana? Per esempio: dovreste andare a vedere quel film al cinema oppure no? Dovreste sposarvi con quella persona oppure no? Dovreste dire quello che state pensando oppure no? Tutto dipende da “ciò che nostro Signore vorrebbe in quella situazione”. Devozione al Re significa: lealtà, generosità, coraggio nelle faccende della vita quotidiana, in ciò che si pensa e che si ama. Ogni momento di vita quotidiana fa riferimento a Cristo. Meditate spesso su questo. Pregate ogni giorno: “Benedetto colui che viene come re, nel nome del Signore! Pace in cielo, e gloria all’Altissimo”.

+ Preghiera. – Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, qui e in tutte le chiese del mondo, e ti benediciamo, perché per mezzo della tua santa croce hai redento il mondo. Amen. (San Francesco, Testamento: FF 111)

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

5 – I Francescani secolari, perciò, dovrebbero cercare di incontrare Cristo in persona, vivente e attivo, nei loro fratelli e nelle loro sorelle, nella Sacra Scrittura, nella chiesa, e nell’attività liturgica. La fede di san Francesco, il quale spesso diceva: “Non vedo nulla di corporeo, in questo mondo, che appartenga all’altissimo Figlio di Dio tranne il suo santissimo corpo e sangue”,dovrebbe costituire l’ispirazione e l’esempio per la loro vita eucaristica.

Riflessione 7

La Grazia di Cristo

Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. (Giovanni 10,10)

Un tipo di vita diverso

San Pietro percorse una strada lunga. Era un amico di Gesù, impulsivo, inattendibile e incapace di capire, ma divenne un apostolo che scrisse una delle frasi più stupefacenti e misteriose della letteratura di tutti i tempi: “Dio ci ha donato i beni grandissimi e preziosi che erano stati promessi, perché diventaste per  loro mezzo partecipi della natura divina, essendo sfuggiti alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza” (2Pietro 1,4).
E’ facile usare un linguaggio tecnico nel parlare della grazia, come se fosse “qualcosa” che si può analizzare, al pari del calcio delle ossa o dei globuli rossi del sangue. Si cade facilmente nel gergo del mondo degli affari quando si parla di “avere” la grazia, come se fosse un articolo di merce di un magazzino o il possesso di un appartamento nel centro città. Si parla anche di “ottenere più grazia”, come se fossimo scoiattoli che raccolgono noccioline per il lungo inverno.
Tale linguaggio è comprensibile, ma ciò nonostante è fuorviante. Non lo usiamo nella vita ordinaria perché questa inesattezza risulterebbe subito evidente. Una moglie non cucina una torta speciale per “ottenere più grazia” dal marito. E (a meno che non si tratti di una misera unione) il marito non considera la sua “condizione di sposato” come un qualcosa di puramente ufficiale, una sistemazione una volta per tutte, qualcosa di statico come una statua e solo un tantino più vivo.

La grazia è gratuita

“Grazia” significa gratuità, qualcosa che non si compra. In un certo senso, possiamo dire che tutto ciò che Dio ci dà è dono gratuito, poiché noi di certo non possiamo guadagnarlo. Ma la particolare”gratuità” della grazia consiste nel fatto che essa è particolare in un modo che noi non avremmo neppure potuto concepire.
Se Dio crea un  albero, è naturale per noi aspettarci che ci saranno anche il suolo, la luce del sole e la pioggia. Tutto ciò è conseguente all’albero. Così anche quando guardiamo alla natura umana, è ovvio per noi aspettarci che se l’uomo pensa deve anche essere dotato di qualcosa con cui farlo. Se egli è libero, deve possedere la forza di prendere delle decisioni. Se ha un corpo fisico, deve avere anche ciò di cui il corpo fisico necessita per vivere, cioè le funzioni del corpo. Manon ci si aspetta che l’albero o l’uomo possiedano nulla al di fuori di ciò che è vegetale e umano. Non ci aspettiamo che l’albero sia in grado di camminare fino all’ufficio postale, così come non ci aspettiamo che un cavallino delle Shetland componga una sinfonia.
Che cosa non ci aspettiamo da un essere umano, neppure con la più fervida immaginazione? Che cosa sarebbe impensabile per l’uomo, come lo è un albero che vuole pregare, o una cane che decide di rinunciare al cibo in quaresima?
Il dono inatteso è la grazia di vivere sul piano di Dio: non essere Dio, bensì avere la vita di Dio; non solo vita umana gloriosa, intelligente, libera, bensì decidere in sintonia con Dio, amare incondizionatamente come Dio, e vivere secondo il modo di Dio.

Il nostro bisogno di grazia

Un cane, indipendentemente da quanto fedele sia, non può comunicare con l’uomo in nessuno dei modi con cui una donna comunica con il proprio marito (sebbene ciò da alcune mogli sia messo in discussione). Allo stesso modo, nonostante tutti i nostri meravigliosi doni umani, noi potremmo guardare il volto di Dio, comunicare con lui in modo diretto, avere gli stessi suoi pensieri, amare dello stesso amore perfetto, tanto quanto il cane più “intelligente” del mondo potrebbe scrivere un sonetto a un altro cane.
Questi sono, forse,paragoni terreni troppo grossolani. Ma è necessario rimanere impressionati dal dono divino che il Padre nostro ci ha fatto in Gesù. Alla nostra natura – vale a dire tutto ciò che ci si aspetta appartenga a un normale essere umano – Dio unisce la sua stessa vita. E’ questo l’atto più “grazioso” che esista, il più gratuito di tutti i doni gratuiti.
In realtà, non sono mai esistiti un uomo o una donna “naturali”. Infatti, dall’eternità Dio progettò di crearci suoi veri figli mettendo in noi il suo soffio di vita, non solo la vita naturale. E’ forse proprio perché abbiamo avuto questa speciale chiamata che talvolta il soffio divino ci spetti di diritto, come fosse parte della nostra natura.
Bisogna fare le opportune distinzioni. Quando cerchiamo di capire che cos’è questo dono benigno, faremmo meglio ad usare le parole di Gesù: “… perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me ed io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio… Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e noi verremo alui e prenderemo dimora presso di lui” (Giovanni 14,19-21.23). “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me ed io in lui, fa molto frutto” (Giovanni 15,5). “Se dunque voi… sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!” (Luca 11,13).

La grazia e il progetto divino

Ora incominciamo a capire che la grazia è proprio ciò di cui ci parla la Bibbia: tutto quello che Dio volle darci in eterno, la ragione per cui Cristo si fece uomo, e lo scopo del mandare il suo Spirito in noi. Dio ci eleva a sé e noi siamo suoi amici.
La grazia, allora, si riferisce al rapporto d’amore fra Dio e i suoi figli. Essa è “qualcosa” nel senso che quando Dio ci ricrea veniamo cambiati fino alle radici del nostro essere. E’ come se Dio dovesse fare una statua dal nulla e poi dovesse ricrearla trasformandola in un meraviglioso essere umano.
La grazia non è “qualcosa” nel senso di una frittella fatta cadere sopra un’altra (un modo inappropriato di illustrare il fatto che “la grazia si fonda sulla natura”). Nella nostra vita c’è la grazia. Essa possiede una qualità divina postavi da Dio.
Dio cerca sempre di arricchire e rendere più profonda quella qualità in noi. Egli costantemente ci chiama a essere aperti alla sua presenza, così che noi possiamo sempre più essere pervasi dalla sua stessa visione del mondo, con l’amore illimitato che egli riserva a tutte le sue creature, con la forza alla quale nessun’altra forza può resistere.

La grazia e la vita quotidiana

Le grazie singole non sono in realtà separate da quest’unica grande relazione di Dio sebbene sempre si parli di grazia “attuale”, la grazie per agire. Ciò significa che la stessa vita divina che permea il nostro essere può essere presente nelle azioni individuali mediante le quali viviamo quella vita. Davvero questa grazia “attuale” può essere donata prima di ricevere la pienezza della vita divina (cioè la grazia “abituale”), come quando un peccatore comincia il cammino verso la conversione e accetta l’amore di Dio.
“Tutto è grazia!”, diceva san Paolo. Dobbiamo costantemente cercare di comprendere il nostro rapporto con Dio come cuore stesso della nostra vita. Se, da un lato, la grazia non è una specie di biglietto automatico per il paradiso sistemato da qualche parte in fondo all’anima, dall’altro lato non è nemmeno un espediente che ci permetterà di entrare in paradiso senza passare attraverso la nostra coscienza, le nostre decisioni, e ogni nostra azione quotidiana.
Quando Michelangelo terminò la sua famosa statua di Mosè, essa sembrava talmente viva che l’artista fu tentato di gridarle: “parla!”. Ciò che Michelangelo non poté fare, Dio lo può. Egli prese una parte della sua terra e disse “Gesù!”. E Gesù, avendo restituito al Padre la sua parte umana affidandosi a lui nella morte, ora dice a tutti i suoi fratelli e sorelle “Svegliatevi! Credete nella buona novella Io sono la vita”.

+ Domande per la riflessione – Che cosa dice san Pietro sulla vita cristiana? Che cosa significa letteralmente “grazia”? Qual è il modo migliore di descrivere la grazia? Che cosa direste al posto di “avere più grazia”?

+ Connessioni bibliche e francescane – La sofferenza che verrà, la trasfigurazione, e l’amore di Dio in Luca, capp. 9-10: Marco, cap. 9. Larranaga, Nostro fratello, pp. 43-44

+ Applicazione alla vita quotidiana – Milioni di persone possono compiere gesti simili, ma cosa rende le loro azioni uniche? La vita è movimento. Noi ci muoviamo con la forza di Cristo. Alcuni però scelgono di muoversi solo con le proprie forze. Cercate di essere consapevoli della forza santificante di Dio nella vostra vita. Santificare significa rendere santo, rendere sacro, consacrare. Quale differenza dovrebbe operare la grazia santificante nel vostro lavoro o nel tempo libero, nell’incontro con gli altri, nella vita coniugale o da singoli, nella sofferenza? Nient’altro conta veramente nella vita tranne il fatto di crescere nell’amore di Dio. Ringraziamo Dio per questo dono.

+ Preghiera – O Dio, mi sento sopraffatto al pensiero che tu vivi in me. Quale Dio maestoso sei per venire da uno come me. Rendimi capace di rinunciare alla mia volontà in favore della tua grazia in ogni momento della mia vita. Amen.

 

Riflessione 8

Gesù visibile oggi

La chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano. (Lumen gentium, n. 1)

La chiesa ha la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile, ma dotata di realtà invisibili,  fervente nell’azione e tuttavia dedita alla contemplazione,  presente nel mondo e tuttavia pellegrina. (Sacrosantum Concilium, n. 2)

La Parola fatta carne

Gesù è la parola fatta carne. Egli è il Dio visibile. Egli è Dio che si mostra in forma umana. Prendendo a prestito le parole che formano il titolo di un famoso libro, egli è “il sacramento dell’incontro con Dio”.
Dio si adattò al nostro modo di comunicare, vale a dire mediante la vista, l’udito, il tatto, il gusto e l’olfatto. Gesù fu qualcosa che la gente poteva “toccare con mano” come dice san Giovanni. La gente poteva vederlo, sentirlo, toccarlo. Se Gesù vi ha parlato, ha parlato Dio. Se vi ha perdonato, Dio lo ha fatto. Egli perciò è un sacramento; anzi, il sacramento di Dio.
Ora, la comunicazione che Dio fa di stesso doveva proseguire dopo la morte dopo la morte di Gesù. Ma il Gesù risorto non è più visibile, udibile, palpabile. Quindi, egli ha lasciato un altro sacramento simile a se stesso. Non solo un corpo singolo, bensì un Corpo formato da molti corpi, da molte persone, da tutti i seguaci di Cristo. Fino alla fine dei tempi la chiesa sarà il “segno”, il “sacramento” o l’”essere visibile” di Cristo. La chiesa porta il grave fardello e la gloria di dire al mondo: “Se volete vedere e sentire l’amore e il perdono di Gesù, guardateci, ascoltateci”.
Gesù oggi opera attraverso quel fragile e stupefacente, glorioso e umiliato “Corpo”. “Non molti di voi erano saggi o nobili quando furono chiamati la prima volta” disse san Paolo ai suoi fedeli di Corinto. Eppure è questo che Dio sceglie di usare per continuare la sua auto comunicazione: la costante opera di redenzione di Gesù fino alla fine dei tempi.
L’umanità sembra sempre avere il desiderio sfrenato di una specie di super-chiesa: pura, completamente “spirituale”, non toccata da alcuna struttura organizzativa, esente da ogni debolezza umana, libera da limitazioni, dalla fragilità e dal peccato. Ma un simile sogno irreale non tiene conto della natura dell’uomo. Siamo esseri corporei. E siamo umani solo nella nostra interezza: spirito che si esprime attraverso il corpo.
Dio non solo svuotò se stesso nel farsi uomo. Egli continua a “celare” la sua gloria sotto l’improbabile forma di un corpo di persone chiamate cristiani, unite dal suo Spirito e diverse nel temperamento, nella cultura e nella storia personale.   
All’epoca in cui visse san Francesco esistevano molti riformatori, ognuno dei quali aveva qualche fondato motivo per lamentarsi. Molti uomini di chiesa non erano degli del nome che portavano. La ricchezza, nella vita della chiesa, era un elemento molto più rilevante di quanto Gesù avesse mai voluto. La chiesa aveva davvero bisogno di una riforma dei suoi “capi”, nel clero, se non addirittura nel suo capo supremo, il papa. Molte di quelle riforme naufragarono sugli scogli della loro stessa ribellione. Erano tentativi di imporre alla chiesa una riforma dall’esterno. Avrebbero guarito la chiesa, anche se per farlo avessero dovuto annientarla. Ma Francesco – che avrebbe Individuato a colpo d’occhio un prete avido o un vescovo ipocrita o qualunque altro personaggio di quel genere – mantenne un vero e proprio rispetto per tutti i sacerdoti e una leale obbedienza al papa che molti oggi definirebbero “poco illuminata”. Se Dio avesse avuto intenzione di fare del bene alla sua chiesa mediante Francesco, Francesco era convinto che lo avrebbe fatto all’interno della struttura ecclesiastica.
Francesco vedeva il mistero della chiesa: vino novello che richiede otri nuovi, vita divina che pulsa attraverso arterie talvolta ostruite da colesterolo spirituale, la sua opera risanatrice del mondo intralciata perché le sue mani erano diventate deboli o artritiche.
Tuttavia è questa la chiesa che esiste nella realtà; un corpo di persone unite in Gesù, che infondono il suo amore nel mondo, che perpetuano la sua morte e risurrezione, ma con i gloriosi e ingloriosi alti e bassi della vita umana quotidiana.

 

 

Il Corpo mistico di Cristo

I difetti della chiesa sono evidenti. Ciò che ci occorre è il ricordo costante della gloria divina esistente al suo interno. San Paolo paragonò la chiesa al corpo umano: “Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo,così anche Cristo… Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte” (1Corinzi 12,12.27).
San Paolo mette in rilievo soprattutto l’unità del corpo nell’essere e nella carità, mediante il dono dell’unico Spirito. Ciò che risulta fondamentale è l’essere una cosa sola nella carità e nella verità. La pluralità dei doni, il pluralismo nelle opinioni e nelle cose pratiche, sono possibili soltanto nell’unità di carità in Cristo la quale si esprime fedelmente entro la struttura imperfetta del corpo visibile.
Gesù in persona parlò della vite e dei tralci. C’è una vite, una sorgente di vita. Una radice e un tronco permettono la vita e il frutto di tutti i rami: noi, le molte membra che sono state innestate dal dono gratuito della grazia di Dio.
I membri di qualunque forma organizzata in seno alla chiesa devono sempre far sì che il gruppo e i suoi scopi siano totalmente subordinati alla vita e alla missione della chiesa. Essere francescani è seguire Francesco nel tentativo di condurre la vita evangelica laddove la visse lui stesso: in seno alla chiesa, come un povero pellegrino che a stento percorre la via della croce e tuttavia già vive della vita di Cristo risorto.

+ Domande per la riflessione- In che modo Gesù è u “sacramento” di Dio? In che modo la chiesa stessa è un sacramento? Come può essere risanatrice la tensione fra lo “spirito” della chiesa e la sua struttura visibile? Il corpo mistico di Cristo sarà un giorno, nella storia futura, ideale? Cercate di spiegare.

+ Connessione bibliche e francescane – L’amore di Dio e l’ipocrisia umana in Matteo, cap. 10; Luca, capp. 11-12. Larranaga, Nostro fratello, pp. 157-174

+ Applicazione alla vita quotidiana –In che modo credete di essere importanti quali membri del Corpo mistico di Cristo? Perché ciascuno di voi è necessario? Che cosa potete fare per rendere la struttura della chiesa più credibile e più bella, nella vostra parrocchia? Che attrazione provate verso una chiesa o una fraternità puramente “spirituali”? Pensate a tre cose particolari che potete fare con mezzi regolari a beneficio dell’intero corpo di Cristo.

+ Preghiera. – Signore Gesù, come membro del corpo di Cristo, posso diventare la tua mano nell’aiutare un fratello, la tua voce nel lodare Dio, il tuo cuore nell’amore verso tutta la chiesa. Ti lodo, Gesù, per avermi reso parte del tuo corpo. Ti prego di mostrarmi come far uso di questo dono prezioso affinché io possa aiutare “la venuta del tuo regno”. Amen.

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

3 – La presente Regola, dopo il “Memoriale Propositi” (1221) e dopo le regole approvate dai sommi pontefici Niccolò IV e Leone XIII, adatta l’Ordine francescano secolare alle esigenze e alle attese della santa chiesa nelle mutate condizioni dei tempi. La sua interpretazione spetta alla Santa Sede, e l’applicazione sarà fatta dalle costituzioni generali e dagli statuti particolari.

 

 

 

 

 

 

Riflessione 9

Il Cristo reale

O Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti prego che tu mi faccia innanzi che io muoia: la prima, che in vita mia io senta, nell’anima e nel corpo, per quanto è possibile quel dolore che tu, dolce Gesù,  sostenesti nell’ora della tua acerbissima passione, e la seconda si è che io senta nel cuore mio, per quanto è possibile, quell’eccessivo amore dal quale tu,  Figlio di Dio, eri acceso così da sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori. (San Francesco, Considerazioni sulle stimmate, III: FF 1919)

I due amori di san Francesco

Di fronte all’altare della cappella del convento francescano di Greccio, in Italia, si può ancora vedere la grande pietra, con sopra una cavità a forma di “V”, che san Francesco utilizzò come mangiatoia quando costruì il primo presepio, cosa da cui si diffuse la devozione popolare che ancora oggi esiste.
Il presepio e la croce furono i due amori della vita di Francesco, cioè il mistero dell’incarnazione del Dio eterno e il mistero della rinuncia alla sua vita.

Vero uomo

I cristiani sono stati così occupati a dimostrare che Gesù è Dio, da mettere talvolta in secondo piano il fatto che egli è anche uomo, realmente umano, e con tutti i sentimenti e le esperienze, le gioie e i dolori della vita umana. Quando diciamo che egli è senza peccato e senza alcuna delle sue conseguenze, in qualche modo abbiamo l’impressione che egli sia immune da emozioni, tentazioni, limitazioni e problemi.
Il bimbo nella mangiatoia di Betlemme è la dichiarazione della bontà della vita umana. “Dio non fa stupidaggini”, recita il vecchio detto. E’ come se Dio dicesse: “Dubitate della bontà di ciò che ho creato? Entrerò in esso così com’è. Non solo perché è danneggiato dal peccato, ma perché è umano.
Il bimbo che Francesco vedeva nella mangiatoia sarebbe cresciuto come qualunque altro neonato, dal momento che Cristo non sarebbe stato un vero essere umano senza trovarsi di fronte al bisogno di dipendere dalle cure altrui, di formare la sua mente, di scegliere liberamente, o di intraprendere una strada anziché un’altra quando entrambe sembravano buone. Quando pregava, le sue ginocchia percepivano la durezza del suolo sotto le ossa come quelle di chiunque altro. Quando beveva del vino, il suo corpo e il suo spirito ne rimanevano stimolati come quelli di chiunque altro. Egli conosceva il coraggio e la disciplina che occorrono per alzarsi e recarsi al lavoro ogni giorno. Quando lungo la sua strada s’imbatteva nella delusione o nel fallimento, doveva esercitare la pazienza come chiunque altro. La gente lo ignorò, lo giudicò male, lo calunniò e infine lo uccise. Tutte queste cose gli costarono il medesimo sforzo di coraggio, di fede nel Padre e di perdono che costano a noi ogni giorno.
Egli percepiva chi era, ma questa consapevolezza non fu subito precisa e chiara. Fu nominato Messia dall’eternità, ma il ragazzo ebreo e il giovane uomo dovettero imparare, con la preghiera e l’apertura verso la volontà di Dio, che la vera via del Messia era quella del servo sofferente di Isaia. Quando affrontò la morte, gridò di terrore proprio come faremmo noi. E quando mise la sua vita nelle mani del Padre suo, il dono fu fatto nell’oscurità. Certamente il Padre aveva detto che lo avrebbe innalzato: egli dice lo stesso a noi. Ma il suo abbandonarsi nelle mani del Padre suo fu, nonostante tutto, un atto di fiducia compiuto al buio.
Gesù non ci assegna nessun nuovo compito da fare. Semplicemente ci rivela il regno di Dio dentro la vita così com’è: una meravigliosa vita umana che cresce, spera, ama e perdona.

L’unica santità

Il Vaticano II ha messo in rilievo il fatto che siamo tutti chiamati alla santità, sia che siamo preti o agenti di commercio, adolescenti o suore anziane, baristi o monaci trappisti, presidenti o donne senzatetto. Questa santità risulta dal fatto di ricevere la vita di Dio nella nostra vita così com’è, mediante la fede e l’amore.
Tutta la bontà del mondo è la bontà di Dio. O per meglio dire, il mondo è pieno della bontà di Dio. Il nostro compito è di scorgere dove essa splende, di lasciare che prenda possesso in noi, di custodirla gelosamente e condividerne la visione con gli altri.
La croce

L’altro aspetto della fede cristiana a cui Francesco dette grande importanza nella sua vita fu il Cristo crocifisso. Le sofferenza fisiche patite realmente da Cristo furono un oggetto costante delle sue meditazioni. Questo poeta della mente pura vedeva le cose nella loro dura realtà: è ciò che si mette a repentaglio che dimostra quanto si vuol bene a una persona. Gesù non si risparmiò nulla. Egli di proposito andò a Gerusalemme, sapendo che cosa gli sarebbe successo. Non sperimentò il rapido, facile tuffo nell’incoscienza di un colpo di spada, bensì la lunga agonia della croce. Gesù volle inghiottire, per così dire, tutta la sofferenza portata nel mondo dal peccato. Si lascò invadere e possedere da essa nello stesso modo in cui lui voleva possedere gli uomini con l’amore. Lasciò che rovinasse i suoi progetti, che facesse fuggire i suoi amici per la paura e, infine, che lo distruggesse.
Ma i peccatori non avevano contato su una cosa: l’essere perdonati. Gesù distrusse la forza degli uomini peccatori perdonandoli. Quando essi facevano del loro peggio, egli faceva del suo meglio. Nel cuore della salvezza ci sono tre parole: “Padre perdona loro”.
La contemplazione della nascita e della crocifissione di Gesù, condusse Francesco ai confini della gioia e della tristezza. Francesco rimaneva talmente rallegrato davanti alla bellezza dell’incarnazione, che prendeva due pezzi di legno e fingeva di suonare il violino, lodando Dio con un canto.
Meditare sulla dolorosa sofferenza della crocifissione di Gesù, invece, causava a Francesco lacrime vivide di compassione per il suo Salvatore sofferente.

La vita cristiana

Seguiamo Francesco nei divini “alti e bassi” della vita. Ogni giorno è “alto”: lasciare che la visione della fede contempli la bellezza dell’amore di Dio che salva il mondo, permettere a Dio di rivelarci il mondo del Cristo umano. Ogni giorno è “basso”: smettere di usare in modo egoistico quel mondo, diventando estranei all’egoismo in tutte le sue forme, diventando estranei alla vendetta e all’avidità, alla crudeltà e alla lussuria, alla pigrizia e alla prepotenza. Perciò si torna a vivere un altro “alto”: un altro risorgere con Cristo a una più ricca, più profonda, più gioiosa amicizia con lui. Ogni giorno la morte e la risurrezione sono prosaiche come Nazareth, dolorose come il Calvario, gloriose come il mattino di Pasqua.

+ Domande per la riflessione. – Se Gesù camminasse oggi sulla terra con un corpo fisico, di quali particolari attività della vostra vita lo vedreste fare esperienza? Se nella chiesa c’è una sola santità, qual è la differenza fra le persone? Che cos’è il morire e risorgere quotidiano?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Penitenza e perdono in Luca, capp. 13-15; Giovanni, cap. 10. Larranaga, Nostro fratello, pp. 275-281.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Pensate a voi stessi come persone che prendono parte alla santità di Dio. In che modo questa immagine di voi stessi influisce sulle vostre scelte e sull’attività quotidiana? Scegliete ogni giorno tre azioni da compiere deliberatamente e gioiosamente in unione con Cristo. Immaginatevi mentre camminate e parlate con Gesù, nel momento in cui compite quelle azioni.

+ Preghiera. – Aiutami, Signore, a cercarti in ogni evento della mia vita, a lodarti nei momenti buoni e in quelli difficili. Rendimi capace di portare le croci della mia vita, come tu portasti le tue: con coraggio e fede. Amen

 

 

 

 

Riflessione 10

Il dono dello Spirito

Poi entrò nella città di Assisi e cominciò, come fosse stato ebbro di Spirito Santo, a lodare Dio a gran voce per le strade e nelle piazze. (Leggenda dei tre compagni, 21: FF 1420)

La più antica biografia descrive così il comportamento di Francesco, dopo che si era liberato di ogni bene terreno, persino del vestiario che aveva posato ai piedi del padre infuriato e sconvolto. Ora era libero, e lo Spirito entrato in lui non trovò alcun ostacolo a impedirgli il completo possesso dell’anima.
Un altro antico biografo descrive la reazione di Francesco quando, durante una messa, sentì le parole di Gesù: non si doveva possedere né oro né argento, né bisaccia né pane, né scarpe e neppure due vestiti. Francesco, racconta il biografo, fu “afferrato” dallo Spirito Santo e gridò con gioia: “Questo è ciò che voglio; questo è ciò che cerco; e questo farò con tutto il mio cuore!”.

Il dono pieno: la Pentecoste

Nella santità cristiana lo Spirito Santo non rappresenta un “extra”. Al contrario, l’invio dello Spirito fu il completamento dello stupendo progetto di Dio, che voleva condividere la sua vita con noi. Gesù, la seconda persona della Trinità, “svuotò” se stesso e assunse la nostra natura umana. In qualità di nostro fratello, si lasciò possedere pienamente dallo Spirito. Lo Spirito lo riempì della sua forza durante una vita umana come la nostra, e lo portò al sacrificio d’amore della morte. Poiché Gesù svuotò se stesso completamente con fede e amore, fu resuscitato ed entrò come vincitore nella gloria eterna condivisa con il Padre e con lo Spirito. Ma ora – e solo ora, dopo la sua morte – l’uomo-Dio Salvatore poteva mandare il suo Spirito, lo Spirito del Padre, a completare la sua opera sulla terra.
Lo Spirito, quindi, prende il posto di Gesù “assente”. Noi sappiamo molto bene che Gesù non è veramente “assente”. La parola si riferisce al fatto che sola la sua vita visibile e mortale è finita. Tutto ciò che egli è venuto a compiere, può ora essere a disposizione di tutti gli uomini mediante il suo Spirito. Lo Spirito si effonde sul mondo intero, scaturendo, per così dire, dal cuore trafitto di Cristo.
Soltanto perché ha patito dolore, Gesù poté donarci lo Spirito in questo modo. “… perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore” (Giovanni 16,7). “… se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Giovanni 3,5)

Il Dono

Il rito della confermazione, nel presente conferimento del sacramento, recita queste parole: “Ricevi il sigillo dello Spirito Santo, che ti è dato in dono”. Non potremo mai sottolineare abbastanza il fatto che lo Spirito è il dono che Dio ha voluto farci dall’eternità. Tutto ciò che viene detto sulla grazia, sull’amore divino, sul progetto eterno di Dio è riassunto nello Spirito – dono di Dio – stesso. Non esiste che una sola rivelazione, o un auto-comunicarsi, di Dio. Essa viene dal Padre attraverso il Figlio ed è resa perfetta dallo Spirito per la gloria del Padre e del Figlio.
Questi sono misteri imperscrutabili. Non possiamo sperare  di vedere tali misteriosi atti divini chiaramente stampati  in frasi umane. Ma non dobbiamo neppure limitare la nostra mente e il nostro cuore nel provare il più possibile l’infinitamente tenera venuta di Dio per mezzo dello Spirito. Dio è amore, e lo Spirito è l’amore divino a noi donato.

Sono venuto affinché possiate avere la vita

Lo Spirito ci rende vivi, realmente vivi, pienamente vivi come Dio voleva che fossimo. Aprendoci all’offerta che Dio ci fa di sé – la nostra capacità di risposta è essa stessa un suo dono – il nostro essere ne viene poco a poco trasformato. Se lasciamo che lo Spirito ci pervada, il modo di amare divino diventa anche il nostro. Il modo di vedere di Dio diventa lo stesso della nostra mente, a meno che non permettiamo all’egoismo di oscurarla. Siamo stimolati a una comprensione più profonda delle vie di Dio, a fare maggiore esperienza della sua amorevole presenza e della sua forza nella nostra vita, perché ”l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Romani 5,5). L’intero corpo visibile della chiesa, così come il nostro corpo individuale, è il tempio dello Spirito. Invece della sofferenza, della stanchezza, dei problemi, delle tentazioni e perfino degli errori quotidiani, lo Spirito produce in noi la convinzione della sua presenza e forza. Se glielo consentiamo, facciamo esperienza della forza del suo agire in noi. E, gradualmente, ci rendiamo conto che l’immersione nell’acqua battesimale, è stata per noi l’immersione nella vita di Dio. Insomma, sappiamo quando siamo in Cristo, perché è allora che ci lasciamo possedere dalla verità e dall’amore. Ci rendiamo conto che questo modo di essere è il modo di Dio.

I doni dello Spirito

Soltanto come persone possedute dallo Spirito, possiamo valutarne correttamente i doni individuali. Siamo stati creati per rendere gloria a Dio come suoi figli radunati insieme. Ogni dono dello Spirito è elargito a questo scopo: la nostra capacità di pregare, amare e perdonare, di lavorare e aspettare, di sopportare pazientemente la sofferenza e combattere valorosamente, di camminare  lungo la valle dell’oscurità o saltare sulle cime dei monti.
C’è un particolare tipo di dono che lo Spirito fa alla sua chiesa per renderla visibile e credibile come “popolo di Dio”, e completare in questo modo il lavoro fatto dai suoi ministri. Le forme prese da quei “carismi” non si possono prevedere (sapienza, conoscenza, miracoli, discernimento di anime, il dono del ministero, della profezia, delle lingue), ma devono essere continuamente riscoperte e accettate con gratitudine. “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Giovanni 3,8). Il concilio Vaticano II ha detto: “I doni straordinari non si devono ricercare avventatamente, e nemmeno ci si deve attendere presuntuosamente da essi i frutti dell’opera apostolica” (Lumen gentium, n. 12). Nello stesso tempo, dice ancora il concilio, dovremmo ricordarci che esistono i doni “più semplici e più largamente diffusi” (ivi) da ricevere con rendimento di grazie e consolazione. La nostra stessa vita è dono. Tutto ciò che siamo capaci di fare implica il dono della grazia. Il nostro compito è essere il più aperti e trasparenti possibile verso qualunque cosa lo Spirito desideri operare in noi.

Il carisma francescano

Il movimento verso la povertà evangelica, che si verificò nel Medioevo, fu un esempio del carisma, o dono particolare, dello Spirito a una chiesa sempre bisognosa di rinnovamento. San Francesco fu dotato del particolare carisma di essere parte importante nel rinnovamento della chiesa dei suoi giorni. Oggi, noi ci apriamo a tutto ciò che lo Spirito desidera fare per la chiesa attraverso la continuazione dello spirito di Francesco.
Siamo chiamati a essere una comunità di fratelli e sorelle con un solo Padre, legati insieme per amore di Cristo e tramite il suo amore, fratelli e sorelle nello Spirito.
San Francesco volle fare un’aggiunta alla Regola definitiva del 1223. Desiderava dire che lo Spirito Santo è il vero “Ministro Generale” o “Superiore” di tutto l’Ordine. I legali del diritto canonico gli spiegarono pazientemente che una volta che il papa aveva approvato la Regola, non si potevano apportare modifiche.
Ciò nonostante, lo Spirito è il nostro primo “Superiore”.

+ Domande per la riflessione. – Quale frase o parola esprimono meglio la vostra esperienza di Spirito Santo? Che effetti dovrebbe produrre lo Spirito sulla vostra vita? In che modo riconoscere i doni dello Spirito nella vostra vita?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Il dono dello Spirito, in particolar il dono dell’amore in 1Corinzi, capp. 12-14. Larranaga, Nostro fratello, pp. 175-179

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Nella vostra vita, qual è l’ostacolo maggiore che vi impedisce di essere aperti allo Spirito? Quali sono i bisogni del prossimo che lo Spirito vi chiama a riconoscere e soddisfare? Nella chiesa e nel mondo odierni, quali frutti dello Spirito vedete? Provate, ogni giorno, a prestare deliberatamente attenzione allo Spirito in una preghiera, in una conversazione, in un lavoro.

+ Preghiera. – Spirito del Dio vivente, io ti appartengo. Riempimi con i tuoi mirabili doni di amore, bontà e saggezza. Fammi essere testimone della tua presenza nel piccolo angolo di mondo in cui mi trovo. Amen.

 

 

 

Riflessione 11

Maria, nostra madre e nostro modello

Ti saluto, o Signora! Santa Regina (…). Ti saluto, suo palazzo! – Ti saluto, sua tenda! Ti saluto, sua dimora! – Ti saluto, suo vestimento! Ti saluto, sua ancella! – Ti saluto, sua Madre! (San Francesco, Saluto alla Vergine: FF 259)

Maria e Cristo

Maria diede alla luce Gesù di Betlemme. Ma non appena Gesù cominciò a vivere sulla terra , anche il suo Corpo mistico cominciò a vivere (la vite e i tralci). Maria disse il suo “si” con gioia alla venuta di Cristo, e perciò alla venuta del
Corpo mistico. E’ la madre di tutti coloro che vogliono vivere in Cristo.
Cristo ci ha dato Maria per madre. Ed ella si sottomise volontariamente e con serenità alla sequela di pene necessarie
Ad aprire la casa del Padre per noi. Quando pronunciò il suo consenso nuziale a Dio, elle disse: “Sia fatto di me secondo la tua Parola”. In quel momento acconsentì anche di diventare la madre di tutti i figli di Dio in quel misterioso regno eterno di cui le parlò l’angelo. Maria, come madre, rappresenta l’immagine più comprensibile di ciò! che è l’amore di Dio per noi. Se ogni madre ama il proprio figlio, con quanto calore la Madre perfetta deve amare suo Figlio e tutti gli altri figli! E questo amore non può che essere soltanto un riflesso dell’amore infinito del Padre per i suoi figli.

L’amore francescano per Maria

L’amore profondo e duraturo per Maria, madre di Cristo e nostra madre spirituale, è un segno caratteristico dell’Ordine francescano. La devozione di san Francesco si concentrava su un fatto: Maria ci diede nostro fratello, Cristo, e condivise la sua povertà. Ella doveva sempre essere una speciale sostenitrice e protettrice dell’Ordine. Le Costituzioni fissano questa devozione nella vita dell’Ordine francescano dichiarando: “Maria, Madre di Gesù, è il modello di ascolto della Parola e di fedeltà alla vocazione: noi, come Francesco, vediamo realizzate in lei tutte le virtù evangeliche… I francescani secolari e le loro fraternità dovrebbero cercare di vivere l’esperienza di Francesco, che fece della Vergine la guida delle sue attività. Con lei, come i discepoli nella Pentecoste, essi dovrebbero accogliere di buon grado lo Spirito per creare una comunità d’amore” (Articolo 16).
San Francesco stesso le dedicava una preghiera prima di ogni ora dell’Ufficio: Santa Vergine Maria, non c’è alcuna nata fra le donne che sia come te, figlia e ancella dell’Altissimo Re, il Padre celeste! Madre di nostro santissimo Signore Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo, prega per noi con san Michele Arcangelo e con tutte le virtù dei cieli e con tutti i santi, presso il tuo santissimo Figlio diletto, nostro Signore e Maestro. Amen. (Ufficio della Passione: FF  281)

Madre dell’Ordine francescano

La culla dell’Ordine francescano fu la Porziuncola (“piccola porzione”), la povera chiesetta fuori Assisi dedicata a Nostra Signora degli Angeli. Non fu un caso che la più grande di tutte le madri dovesse stare ancora dinanzi a una povera culla. Agli occhi di Francesco la Porziuncola era un castello reale, come l’altro a Betlemme, poiché la povertà era l’emblema dei nobili figli di Dio. Egli diceva: “La povertà è la regina delle virtù, perché la si vede brillare così fulgida nel Re dei re e nella Regina sua madre” (San Bonaventura, Leggenda Maggiore, cap. 7,1: FF 1118; cf. Tommaso da Celano, Vita Seconda, 200: FF 788).

Maria, nostra maestra

Come tutte le buone madri, Maria è anche una maestra. Sopra ogni cosa ci insegna l’umiltà. L’umiltà, sorella della povertà nella mente di san Francesco, da nessuna parte è più stupendamente espressa che nel Magnificat, il canto di Maria. E’ la beatitudine che dà inizio al discorso della montagna e ne costituisce il pensiero centrale: “Beati i poveri in spirito”. Maria fu umile per aver riconosciuto la sua completa indegnità davanti a Dio. Si abbandonò con fiducia all’amore perfetto di Dio, sempre desideroso di elevare le sue creature all’infanzia divina e alla gioia perfetta.

La Corona francescana

Un modo che i francescani secolari hanno di onorare Maria è la recita della Corona delle sette gioie (il rosario francescano). Il grande accento posto da Francesco sulla gioia si riflette in questa devozione cui diede vita uno dei suoi seguaci. Siamo tutti in una “valle di lacrime”. Abbiamo bisogno di prendere parte alla gioia di Maria. I pensieri che riportiamo di seguito, sulle sette gioie, forse ci saranno di aiuto quando reciteremo quel rosario.
1. L’annunciazione. La gioia di Maria sorge dalla sua profonda umiltà. “Egli ha guardato l’umiltà della sua ancella”. “Avvenga di me secondo la tua Parola”.
2.  La visitazione. La gioia della carità di Maria sboccia mentre si affretta ad aiutare Elisabetta. Non appena entra in possesso di Cristo ella inizia a condividerlo con gli altri.
3. La nascita di nostro Signore. La gioia di Maria per la ricchezza divina discesa dal cielo, che ora è posseduta anche dai poveri esseri umani sulla terra. La gioia della povertà sta nel saper vedere dove risiede la vera ricchezza.
4. L’adorazione dei Magi. La gioia di Maria si estende anche ai pagani (noi stessi!) che diventeranno i figli di Dio adottati per ultimi.
5. Il ritrovamento nel Tempio. Maria prova la gioia di ritrovare Cristo, lei nell’innocenza e noi nella penitenza, tutti in preghiera e carità.
6. Cristo appare a Maria dopo la risurrezione. La gioia della fede di Maria fiorisce quando viene ricompensata la grande fede da lei dimostrata sul Calvario.
7. L’assunzione e l’incoronazione. La gioia della sua speranza si compie oltre ogni sua aspettativa. “L’occhio non ha veduto, né orecchio ha sentito…”.

L’aiuto di Maria

Maria ci aiuta a crescere in Cristo: 1) perché ella è un’immagine perfetta dell’amore di Dio; 2) perché ci ama come una vera madre; 3) perché ci guida sulla via dell’umiltà; 4) perché ci incoraggia nella preghiera, mediante la sua gioia persino nella sofferenza.

+ Domande per la riflessione. – In che modo Maria è nostra Madre? Perché Maria è la madre dell’Ordine francescano? Quali virtù in particolare ella ci insegna? Che cos’è la Corona francescana?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Il regno diviene più manifesto in Luca, capp. 17-18; Giovanni, cap. 11. Larranaga, Nostro Fratello, pp 58-61.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Imparare a riconoscere il valore di una profonda devozione a Maria, nella vostra vita personale. Molti dei vostri problemi scompariranno. Per esempio, la gioia in Maria viveva accanto alla sofferenza. In che modo si può trovare gioia anche nelle sofferenze e nei problemi della vita quotidiana? Durante questa settimana recitate almeno una volta la Corona francescana. Pregate con venerazione. Decidete se la Corona, per voi, potrà diventare o meno una pratica quotidiana o settimanale.

+ Preghiera. – Santa Maria, Madre di Dio, tu confidasti in Dio con tutta te stessa quando dicesti “Ciò sia fatto di me”. Mostraci come dar vita a Gesù in un mondo così bisognoso del suo amore e del suo perdono. Amen.

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

9 – La Vergine Maria, umile serva del Signore, disponibile alla sua parola e a tutti i suoi appelli, fu circondata da Francesco di indicibile amore, e fu designata protettrice e avvocata della sua famiglia. I francescani secolari testimonino a lei il loro ardente amore, con l’imitazione della sua incondizionata disponibilità e nella effusione di una fiduciosa e costante preghiera.

 

 

PARTE SECONDA

LA CONVERSIONE

Se vogliamo rivolgere le nostre vite a Dio dobbiamo cambiare. Il cambiamento può essere difficile e doloroso. Abbandonare il vecchio modo di agire è impegnativo, specialmente quando abbiamo ritenuto giusto “il modo in cui abbiamo sempre fatto”. Il processo verso il cambiamento spirituale è la conversione. Per conversione non si intende un’esperienza fatta una volta per tutte. Ma è piuttosto qualcosa che si compie quotidianamente per tutta la vita, poiché mentre respiriamo ancora, non raggiungiamo quella perfezione spirituale alla quale Dio ci chiama. Le riflessioni che seguono vi invitano a convertirvi ancora e ancora e ancora…

Riflessione 12

Penitenza: rivolgersi a Dio e allontanarsi dal peccato

Temete Dio, amate Dio, convertitevi dal male al bene (J. Joergensen, San Francesco d’Assisi, p. 165)

Possiamo reagire in due modi alle stupende verità che abbiamo fin qui studiato. Primo, possiamo provare un profondo senso di gioia e di certezza nel sapere che Dio, nostro Padre e Madre, ci ama più di quanto qualunque padre o madre abbiano mai amato il proprio figlio; nel sapere che Cristo, nostro Fratello, continua la sua vita umano-divina nella nostra vita umana trasformata dalla grazia; e che lo Spirito d’amore dimora in noi per essere nostra forza, nostra consolazione e nostra luce.
Possiamo reagire, nello stesso tempo, con un sincero e genuino senso di dolore per l’indifferenza, l’egoismo e l’atteggiamento peccaminoso con cui, sia nel passato che anche nel presente, abbiamo ripagato l’amore di Dio. Anche se non abbiamo voltato completamente le spalle a Dio con il peccato mortale, ci siamo comunque resi colpevoli per aver persistito in atteggiamenti di trascuratezza e di egocentrismo. Abbiamo dimostrato una certa mancanza di volontà di amare Dio “con tutte le nostre forze”. Ne è derivato l’egoismo verso il prossimo.
Entrambi gli atteggiamenti, di dolore e di gioia, fanno parte della virtù cristiana della penitenza.

Che cos’è la penitenza?

La parola “penitenza” è usata con diversi significati che dovremmo distinguere chiaramente. Il primo significato del termine si riferisce alla totale dedizione a Dio mediante un basilare atto di fede, di dolore e di amore, il quale diventa il nostro stile di vita. E’ a questo che si riferiva nostro Signore nelle sue prime parole pronunciate pubblicamente: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (cf. Matteo 4,17). Noi ci riferiamo a questo genere di penitenza inteso come conversione. La sola via che ciascuno di noi ha per abbandonare il male e scegliere il bene passa attraverso la comprensione dell’amore di Dio, il quale ci chiama così fortemente a vivere nella consapevolezza della sua amorevole presenza che il male per noi non ha alcuna attrattiva, poiché in esso non troviamo più nulla che abbia a che fare con Dio. Nel ricambiare l’amore di Dio, possiamo scegliere soltanto le vie che sono di Dio.
In un secondo significato, la parola “penitenza” si riferisce alle pratiche di autodisciplina e autocontrollo: cose come rinunciare ai dolciumi o alle sigarette durante la quaresima, alzarsi per andare regolarmente a messa, imporsi l’abitudine della moderazione nel cibo, nelle bevande, nei divertimenti, e in generale dire “no” a determinate cose non strettamente necessarie, e “si” a certe altre quando non sono strettamente richieste. Queste penitenze ci rendono capaci di dire “no” e “si” quando dobbiamo veramente farlo.
Dovrebbe essere cosa ovvia che il valore di questo genere di penitenza dipende molto da quanto siamo riusciti a penetrare nel primo tipo di penitenza. Chiameremo questo secondo genere di penitenza autodisciplina. 
Un terzo genere di penitenza è quello che vede il danno fatto dal peccato e la perfetta espiazione compiuta da Cristo con la sua vita, morte e risurrezione. Esso si unisce alla riparazione di Cristo, nella consapevolezza che non c’è un altro modo concepibile di “riconciliarsi” con il  passato, Chiameremo questa penitenza espiazione cristiana
Infine c’è la “penitenza” che fa parte del sacramento della riconciliazione. Essa può comprendere in sé tutti e tre i generi appena descritti.

Penitenza come conversione

San Francesco parla di un tempo in cui “egli era ancora nel peccato”. Si riferisce al periodo della sua vita prima della “comprensione” di tutto ciò che significava vivere da cristiano. Come tanti altri – e davvero dovrebbe succedere a tutti noi – egli passò attraverso la “conversione”. La parola qui significa una totale inversione di rotta, un cambiamento a 360 gradi, una totale donazione di sé a Cristo, un consapevole, incondizionato abbandono alla grazia.
Risulta subito evidente che si può avere una conversione da una vita di peccato e di totale estraniazione da Dio – questo sarebbe stato il primo scopo di nostro Signore – o da una presunta vita cristiana superficiale e piuttosto spensierata. In questo caso si parla talvolta di vita cristiana “di nome”. Vale a dire, essere cristiani di nome ma non di fatto. Non possiamo altri che noi stessi. Molte persone possono essere profondamente convertite, mentre all’apparenza conducono quella che ci appare un’esistenza piuttosto normale; e altre che sono “febbrilmente” religiose possono non essere affatto devote a Cristo in modo approfondito.
I cattolici, che ricevono il battesimo da neonati, talvolta trovano la fede in modo così graduale da non provare mai la drammatica esperienza della conversione. Eppure, essi sono davvero interamente “convertiti” a Cristo. Dall’altro lato, è possibile che qualcuno possa sviluppare le pratiche esteriori della fede senza una profonda, personale relazione con Cristo. Ognuno di noi farebbe meglio a guardarsi dentro, nel cuore, e ad affrontare la realtà. Forse, abbiamo vissuto tutta la vita ad un livello superficiale, compiendo gesti. Forse, cosa più probabile, siamo stati capaci di addentraci nella vita cristiana con sincerità e fedeltà per mezzo della grazia divina. In un momento drammatico, o durante un lungo periodo di crescita, siamo giunti ad amare Dio con tutto il nostro cuore, la nostra mente e il nostro spirito.
Con tutto? Ciascuno di noi deve ammettere che, mentre il nostro amore per Dio può essere basilare e fondamentale, non è mai “completo”. C’è sempre una parte della nostra vita che abbiamo paura di donare a Dio. Possiamo chiamare “peccaminoso” questo atteggiamento esitante?
A ogni modo, dobbiamo tutti ammettere che la nostra conversione non è completa. Parlando senza mezzi termini, la vita di un cristiano è una vita di conversione continua e senza fine. C’è davvero un rivolgersi a Dio una volta per sempre, mediante il quale viviamo nella sua grazia. Tuttavia, possiamo dire tutti con Francesco: “Cominciamo a fare del bene, poiché finora non abbiamo fatto nulla”.

Positivo e negativo

Positivamente, conversione e conversione continua significano permettere alla grazia di Dio di aprirci interamente alla sua volontà. Ci liberiamo di ogni costrizione tranne della delicata pressione dell’amore di Dio. Ogni giorno consentiamo a Dio di schiuderci, per farci uscire dalla nostra limitatezza e rigidità verso la libertà della sua vita stessa. O, più realisticamente, ogni giorno lasciamo che Dio ci apra ancora e ancora e ancora.
Negativamente, si fa rifermento alla conversione e alla conversione continua con queste parole di Cristo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Matteo 16,24-25). “Rinnegare se stesso” qui non significa rinunciare ai dolciumi in tempo di quaresima. Significa rinunciare a ogni pretesa della nostra volontà, a ogni affermazione di indipendenza, a ogni grammo di autosufficienza. Significa assumere la croce di Cristo nella totale, assoluta obbedienza al Padre sia in vita che in morte.
Rinnegare se stessi significa morire e risorgere con Cristo una volta per sempre. Significa morire ogni giorno, forse ogni ora, al pressante impulso dell’egoismo, dell’ostinazione, del fare “a modo mio”, e risorgere a una consapevole e deliberata accettazione della salutare forza di Dio che dà la vita.

Una vocazione per tutta la vita

Quindi, la penitenza non è altro che l’intera vita cristiana, un gioioso-doloroso rifiuto di tutto ciò che non può promuovere la gloria di Dio, e una pacifica accettazione della costante e discreta offerta di amicizia da parte di Dio. Se non c’è questa “penitenza conversione” tutte le altre penitenze sono inutili.

+ Domande per la riflessione. – Quali sono i quattro tipi di penitenza che si possono distinguere? Qual è la duplice definizione di penitenza in generale? Qual è l’aspetto più importante della penitenza?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Il Corpo mistico, la vita cristiana, la casa cristiana in Lettera ai galati, capp. 5-6; Lettera agli efesini, capp. 1-2, 4-6. Larranaga, Nostro Fratello, pp. 41-44

+ Applicazione alla vita quotidiana. – La penitenza è positiva o negativa? Vi ricordate di un momento o un periodo della vostra vita in cui vi siete “convertiti”? In che modo, nella vostra vita, ci sarà sempre posto per la conversione? Nella preghiera quotidiana e durante la messa, se possibile, pregate sinceramente per vostra immediata e continua conversione.

+ Preghiera. – A volte compio la tua volontà, Signore, e ti ringrazio perché in quei momenti mi guidi. Ma ci sono altre volte in cui oppongo resistenza e mi allontano da te con caparbietà egoistica e ostinata. Sono veramente addolorato per essere inferiore alle tue aspettative. Fammi cambiare, Signore, fammi cambiare… Amen.

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

7 – Quali “Fratelli e Sorelle della penitenza”, in virtù della loro vocazione, sospinti dalla dinamica del Vangelo, conformino il loro modo di pensare e di agire a quello di Cristo mediante un radicale mutamento interiore che il Vangelo stesso designa con il nome di “conversione”, la quale, per l’umana fragilità, deve essere attuata ogni giorno.

 

Riflessione 13

Le conseguenze della penitenza

Francesco, devi disprezzare e detestare tutto ciò che il tuo corpo ha amato e desiderato fino a oggi, se vuoi riconoscere la mia volontà. Una volta che avrai cominciato, scoprirai che tutto ciò che ti appariva gradevole e dolce diventerà insopportabile amarezza, ma le cose che in precedenza ti facevano rabbrividire ti daranno pace e gioia. (cf. Larranaga, Nostro fratello, p. 42) 

Penitenza come autodisciplina

Dopo che san Francesco sentì, durante la preghiera, le parole sopra citate di Gesù incontrò un lebbroso. Fino a quel momento aveva guardato a quel genere di persone con grande ripugnanza. Ma ora vinse la sua avversione, scese da cavallo, diede una moneta al lebbroso e gli baciò la mano. E il lebbroso gli restituì il bacio della pace. Poi Francesco risalì a cavallo e proseguì per la sua strada. Fu uno dei grandi gesti simbolici della sua vita, che lo avrebbe condotto verso la conversione.
La Regola di san Francesco era relativamente moderata per quanto concerneva il digiuno e altre pratiche penitenziali. Giunto alla fine della sua vita, egli si scusò con il proprio “fratello corpo” per la severa penitenza cui lo aveva sottoposto. Ma in realtà, san Francesco e i suoi frati praticavano la penitenza più dura nel suo secondo significato, descritto nella riflessione 12.

Le cose sono diverse oggi?

Vivendo in una società opulenta, la nostra cultura sembra dare per scontato che il piacere, gli agi, le comodità, la mitezza, siano quasi l’essenza e lo scopo di tutto nella vita. Abbiamo ceduto alla filosofia dell’edonismo, pretendendo tutto ciò che gratifica il corpo? E’ vero che la vera disciplina spartana, oggi, si può trovare soltanto in una scuola di danza per professionisti o in una palestra di pugilato per pesi massimi?
Di fronte a tutto questo,è bene ricordare le parole contenute nella Costituzione apostolica sulla penitenza di papa Paolo VI: “La chiesa insiste anzitutto perché si eserciti la virtù della penitenza nella fedeltà perseverante ai doveri del proprio stato, nell’accettazione delle difficoltà provenienti dal proprio lavoro quotidiano e dalla convivenza umana, nella paziente sopportazione delle prove della vita terrena e della profonda insicurezza che la pervade” (Cost. ap. Paenitemi, 17 febbraio 1966, in Enchridion Vaticanum, vol. II, n. 639).
La chiesa esorta tutti i fedeli a tener fede al divino comandamento della penitenza, castigando il proprio corpo con alcuni atti di mortificazione, al di là dei disagi e dei fastidi della vita quotidiana.
Parlare di “castigare il corpo” e di “atti di mortificazione” oggi, a noi, può suonare come una cosa aspra e strana. E lo stesso si può dire delle parole di san Francesco: “Ci sono molti che, mentre peccano o ricevano un ingiuria, spesso incolpano il nemico e il prossimo. Ma non è così poiché ognuno ha in sua potestà il nemico, cioè il corpo, per mezzo del quale pecca. Perciò è beato quel servo, che terrà sempre prigioniero il nemico affidato alla sua potestà e sapientemente si custodirà dal medesimo; poiché, finché farà questo, nessun altro nemico visibile o invisibile gli potrà nuocere” (Ammonizione 10: FF 159). San Paolo mette la questione in questi termini: “… tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato” (1Corinzi 9,27).

Che cosa dobbiamo fare?

E’ difficile classificare san Paolo, papa Paolo VI e san Francesco come dei pessimisti “anticorpo”. Non si tratta di idealisti greci, che pensano al corpo come a uno sfortunato fardello che dobbiamo portare finché la nostra anima non viene liberata da quella prigione. Tutti costoro parlano dell’impulso che alberga in tutte le persone, fatti come siamo di corpo-spirito. Nessuno, al riguardo, ha bisogno di chiedere informazioni agli altri. Noi tutti abbiamo provato la spinta all’eccesso, la tendenza ad afferrare e a inghiottire il piacere in modo spensierato e senza ritegno, nel cibo, nel bere, nel sesso o nelle droghe, oppure con l’immaginazione, l’emozione, la rabbia, la ricerca affannosa di tutto ciò che ci attrae. La pratica dell’autodisciplina non è un contributo tipicamente cristiano alla vita umana. E’ buon senso pratico che appartiene perfino ai pagani, i quali si rendono conto che se le loro facoltà umane devono giungere alla più nobile e utile espressione è necessaria la moderazione,  vale a dire, la guida della ragione.
I cristiani conoscono il valore sia terreno che eterno della persona umana. La loro abnegazione non è un dominio severo e orgoglioso del proprio corpo come se fosse una questione di conquista personale. Ma piuttosto è una garanzia dettata dal buon senso contro qualunque cosa minacci il loro rapporto con Cristo, e sono davvero molti i pericoli che possono danneggiare tale rapporto.
Questa penitenza si fonda –come abbiamo detto –sul dire “no”, quando rinunciare a una cosa non è necessario, in modo che si possa rinunciarvi coraggiosamente quando dobbiamo farlo. La penitenza è un “si” messo in pratica per tante cose buone che si sarebbero potuto lasciare da parte, in preparazione dei tanti momenti in cui un gioioso “si” è la risposta che Dio si attende.

In particolare

In un’epoca in cui la maggior parte delle persone nella nostra società sono, in media, in sovrappeso di otto chili; in un epoca in cui organizzazione come Weight Watchers prosperano; in un epoca in cui i cibi e le bevande ipocaloriche ci dimostrano quanto siamo lontani dalla denutrizione, è arrivata di certo l’ora di considerare l’antica pratica del digiuno: l’astinenza dal cibo, da quel cibo o dall’eccesso di cibo. Come gli altri due elementi della triade cristiana delle penitenza – la preghiera e la carità – il digiuno non andrà mai fuori moda.

Penitenza come espiazione

E’ bene essere chiari su un punto fin dall’inizio:non esiste un modo con cui un essere umano può compensare con i propri sforzi il male fatto col peccato. Il peccato genera in noi la morte, totale o parziale. Colui che è stato ucciso può solo essere ricreato da Dio. Non possiamo raccogliere i brandelli dei nostri miseri atti di riparazione, così da poterli portare a Dio e comprarci il suo perdono. Non si può mettere Dio in debito nei nostri confronti.
La sola valida espiazione che un cristiano può considerare è quella di Cristo. Solo lui ci salva. Egli solo può riparare davanti alla bontà e santità di Dio l’offesa e il danno del peccato. Lo può fare per mezzo della sua fede e del suo amore perfetto e innocente per il Padre. In lui, ogni fallimento e ogni rovina della vita umana possono essere riparati, guariti, riconciliati alla vita, “compensati”.
L’espiazione cristiana è lasciarsi riempire dalla potenza dello Spirito Santo. Ciò che gli stava a cuore erano la gloria e l’onore di Dio, non gli importava la sua auto giustificazione e neppure cominciare una nuova vita, in modo che Dio non trovasse nulla più da ridire su di lui. Facendo esperienza del miracolo dell’amore di Dio, un cristiano prova orrore e spavento per la malizia e la sfrontatezza del peccato, per quello personale e per quelli del mondo intero. Perciò unisce il suo cuore e il suo spirito alla perfetta espiazione compiuta da Cristo.
Una volta che si è unito a Cristo, un cristiano può veramente fare espiazione, ma non deve mai ritenerla come qualcosa che un individuo opera con le proprie forze. Siamo totalmente in debito nei confronti di Dio, sia che siamo peccatori o giusti. Dio è la sorgente di ogni bontà. Noi ci limitiamo semplicemente ad accettare che Dio risani ciò che egli stesso ha creato.
Punizione?

Che cosa pensare, allora, delle orribili sofferenze, come per esempio la flagellazione, che talvolta i santi hanno inflitto a se stessi? Possiamo solo dire che se essi erano santi, erano in perfetta unione con Cristo. Le loro pratiche penitenziali erano soltanto la punta di un iceberg. Erano desiderosi di soffrire letteralmente i dolori di Cristo. Volevano essere immersi nella sua reale crocifissione. Se noi ci spingessimo mai così avanti nella via della penitenza, sapremmo anche distinguere ciò che è saggio da ciò che non lo è.
Non dobbiamo mai interpretare qualunque incidente, sofferenza, malattia o sventura come una “punizione” mandata da Dio. Se Dio avesse veramente a che fare con le punizioni, il lavoro sarebbe certamente fatto meglio!
Ciò nonostante,è salutare per noi riconoscere le conseguenze del peccato contenute già nel peccato stesso. Dio non ha bisogno di “aggiungere” punizione al peccato, poiché essa è già presente nel cuore stesso del peccato. Non c’è punizione più grande dell’essere separati da Dio. Se pecchiamo per odio, l’infelicità che avremo nel cuore è la “punizione” del male per aver fatto cattivo uso di una preziosa facoltà.
Per finire, le pratiche penitenziali ci permettono di renderci conto della malizia del peccato. Senza mai perdere il rispetto di noi stessi e il senso di meraviglia per la nostra unione con Dio, possiamo giungere a percepire la gravità dei nostri passati accettando le sofferenze che ci toccano oppure praticando quell’autodisciplina, che ci impedisce di dimenticare che abbiamo davvero macchiato proprio la creazione di Dio, e infine cercando la riconciliazione.

Sommario

La penitenza, dunque, è conversione, autodisciplina e co-espiazione con Cristo. E’ un compito che dura per tutta la vita, senza mai esaurirsi. La penitenza non è una questione di tristezza e scoraggiamento, bensì di speranza, fiducia e gioia temprate dalla onesta ammissione dei peccati passati, e dei pericoli presenti e futuri.

+ Domande per la riflessione. – Oltre alla conversione continua, quali altri due aspetti della penitenza fanno parte della vita quotidiana di un cristiano? La nostra fede cristiana che cosa aggiunge alla consueta pratica dell’ascetismo? In che modo noi possiamo “fare riparazione” del peccato?

+ Connessioni bibliche e francescane. – La vita cristiana,i pericoli, Cristo nostro capo, in Lettera ai Filippesi, capp. 2-3; Lettera ai Colossesi, capp. 1-3 Larranaga, Nostro fratello, pp. 44-48.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – In quale sfera della vostra vita avete più bisogno di disciplina? Che cosa soprattutto necessita di espiazione, riparazione, riconciliazione? Potete decidere di offrire a Dio ciò che vi pesa e le difficoltà quotidiane, oppure qualche rinuncia liberamente scelta, in unione con Cristo.

+ Preghiera. – Caro Gesù, sono consapevole che digiunare significa svuotare me stesso così che il tuo Spirito possa riempirmi fino a farmi traboccare. Svelami quale sacrificio devo compiere per te: nel cibo, nelle bevande, mortificando la cupidigia o la golosità, l’orgoglio o la ricerca del piacere, la tendenza a giudicare o lo spirito di critica… Amen.

 

 

 

 

 

 

 

 

Riflessione 14

Il sacramento della Riconciliazione

Un giorno Francesco disse: “Sono convinto di essere l’uomo più peccatore che esiste al mondo”
(Leggenda Perugina, 23: FF 1570)
   
Un segno da Dio

Dopo che Gesù ebbe fatto la sua fondamentale richiesta di “convertirsi e credere nella buona novella”, ci diede un segno mediante il quale possiamo essere certi che la forza di Dio sta nel nostro pentimento e che la vita di Dio diventa la nostra nuova vita. E’ questo il sacramento del battesimo.
Una persona può allontanarsi da Dio anche dopo aver ricevuto questa intima unione (peccato mortale), o può danneggiare questa relazione fino ad un certo punto (peccato veniale).Il sacramento della riconciliazione è il modo che Dio sceglie per darci il segno di essere veramente riconciliati con lui e con gli altri.

L’aspetto sociale del peccato

Quando noi distruggiamo o mettiamo in crisi la nostra relazione con Dio, un inevitabile effetto ricade anche sul nostro rapporto con il prossimo e viceversa. Non possediamo che un solo spirito il quale influisce su ogni cosa che facciamo, compreso il nostro rapporto con gli altri.
Similmente, se c’è qualcosa di peccaminoso nel nostro atteggiamento verso gli altri, ciò costituisce allo stesso tempo un’offesa contro Dio che ha creato e ama tutti noi. Le due relazioni, quella con Dio e quella con gli altri, non possono essere separate. E’ altrettanto vero che, se c’è qualcosa di peccaminoso nel mio comportamento, non importa quanto “segreto” io credo che sia, l’effetto ricade anche sul prossimo. Se non per altro, io reco danno alle persone attorno a me perché non le amo come avrebbero il diritto di essere amate, secondo il comandamento di Cristo. Il peccato non è mai una faccenda puramente privata. Ciascun peccato è personale, ma ha ramificazioni sociali.
Mettere in rilievo questi due concetti fa concentrare la pratica ecclesiastica del sacramento della riconciliazione sulla nostra consapevolezza della natura sociale del peccato, così come della natura sociale del perdono. Quando abbandoniamo Dio, abbandoniamo la sua comunità che è la chiesa. Quando Dio ci riconcilia con se stesso, lo fa attraverso la chiesa. Noi veniamo riconciliati a quel Corpo che è il segno visibile della presenza di Dio nel mondo, sia che lo abbiamo “abbandonato” completamente con il peccato mortale o solo in parte con una colpa minore. Ne consegue che la pratica delle celebrazioni penitenziali “comunitarie” con la possibilità della confessione individuale, è un’ espressione di questa realtà: il peccato è una nostra responsabilità personale, ma influisce su altre persone.
Possiamo riconciliarci con Dio solo se ci siamo riconciliati con il nostro prossimo. Una celebrazione penitenziale comunitaria è il segno adatto a esprimere che l’intera chiesa ci accoglie nel perdono e che noi come membri dell’intera chiesa accogliamo il nostro prossimo allo stesso modo.

Il peccato personale

Il peccato si esprime con parole e azioni esteriori, e specialmente con le omissioni. Ma il peccato va molto più in profondità. Porta lo scompiglio nei nostri atteggiamenti e nella nostra scala di valori. Infine, il peccato intacca il nostro “cuore”, il nostro io più intimo. Da lì, esso tocca e contamina le nostre relazioni, le nostre famiglia, il nostro mondo.

Il difetto prevalente

Ognuno di noi possiede caratteristiche uniche. Se alle cinque persone che ci conoscono più intimamente, da cima a fondo, venisse chiesto di descriverci con due o tre parole, probabilmente esse si troverebbero d’accordo nella sostanza: “spensierato”, “perfezionista”, “prepotente”, “tranquillo e riservato”, “spesso preoccupato e razionale”, e così via. Ora, dovrebbe risultare ovvio che il nostro atteggiamento peccaminoso tenderà ad assumere la “forma” della nostra caratteristica predominante. Se Napoleone commette peccato, non sarà per aver tenuto il broncio o per ipersensibilità. Sarà per il desiderio di schiacciare le persone con il suo potere. Se c’è peccato in un gruppo, sarà per pigrizia, negligenza o mancanza di autodisciplina. Se una persona tutta dedita allo studio pecca, non sarà certo per attivismo o ubriachezza ma semmai per il rifiuto di dare aiuto a qualche bisognoso.
Ciascuno di noi dovrebbe provare a stanare il proprio atteggiamento o la propria caratteristica predominante – evidenti agli occhi di chiunque ci conosca – e accorgersi che sono la fonte dell’immoralità nella nostra vita, indipendentemente da quanto siano varie le loro espressioni.
Ecco che cosa riportiamo, sempre di nuovo, davanti al perdono di Cristo. Ripetutamente collochiamo la nostra debolezza entro la sua forza, riceviamo la certezza del suo perdono, della sua guarigione e della sua costante forza.

Riconciliazione

Quando la chiesa emanò il nuovo rito del sacramento della riconciliazione, esso sembrava contemplare due elementi. Primo, la volontà di creare una celebrazione completa e seria del sacramento che ci riconcilia con il nostro Dio. Ciò potrebbe comportare il controllo del calendario parrocchiale per sapere quando viene celebrato il sacramento della riconciliazione; oppure potremmo fissare un incontro con un sacerdote, preparandoci seriamente mediante la preghiera e la lettura della Sacra Scrittura, forse anche cercando consiglio. Secondo,  il nuovo rito tendeva a dare più rilievo alla celebrazione comunitaria del sacramento, in cui la confessione individuale è relativamente breve a causa del gran numero di persone partecipanti. Questo tipo di confessione potrebbe essere sintetizzato nel modo seguente: “Il mio peccato più grave è un atteggiamento vendicativo, e della mia ultima confessione ho ferito mio marito/mia moglie con la mia indifferenza, i miei figli con punizioni troppo severe, e i miei amici con le mie osservazioni vili, con lo scherno e con l’evitarli”.

La conversione continua

Tutta la nostra vita è una conversione continua, un tentativo di aprirci a Dio sempre più. E’ anche un rinnovare di continuo il nostro distacco dal peccato, questa tendenza contagiosa che sta dentro di noi. Possiamo fare questo attraverso la preghiera, nell’eucaristia, e con il sacramento che si concentra sul nostro bisogno di riconciliazione e sulla volontà di Dio sempre disposto a donarcela.

+ Domande per la riflessione. – Perché ogni peccato personale comporta conseguenze sociali? Che cosa ci deve preoccupare di più, l’atto o l’atteggiamento? Perché? Di che cosa è segno il sacramento della riconciliazione?

+ Connessioni bibliche e francescane. – L’ inizio della settimana santa in Marco, capp. 11-13. Larranaga, Nostro fratello, pp. 39-42.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Ritenete il sacramento della riconciliazione la celebrazione concreta della misericordia di Dio? E’ un atto di fede da parte vostra? Come potete determinare meglio qual è il vostro difetto caratteristico? Dedicate una parte della vostra preghiera a chiedere a Dio il perdono per il vostro atteggiamento più peccaminoso. Programmatevi per ricevere il sacramento della riconciliazione.

+ Preghiera. – Confesso, Signore, che probabilmente conosco il mio difetto predominante che mi porta a compiere peccati di omissione e anche vere e proprie mancanze contro la tua legge di amore, ma troppo spesso nego di avere tale difetto dentro di me. Fammi essere onesto con me stesso e con te, così che io possa prendere coscienza dei miei sbagli e li presenti a te, perché tu mi guarisca. Amen.

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

Tutti gli uomini che non fanno penitenza e non ricevono il corpo e il sangue di nostro Signore Gesù Cristo, e vivono nei vizi e nei peccati e cedono alla concupiscenza malvagia e ai perversi desideri della carne, e non osservano quanto promisero al Signore, e sono schiavi del mondo con il proprio corpo, mediante i desideri carnali e gli affanni di questa vita (cf. Giovanni 8,41); ebbene, costoro sono ciechi poiché non riconoscono la vera luce, nostro Signore Gesù Cristo; non possiedono la sapienza spirituale poiché non possiedono il Figlio di Dio che è la vera sapienza del Padre. Riguardo a loro sta scritto: “Tutta la loro sapienza è stata divorata” (Salmo 106,27) e “Maledetti coloro che si allontanano dai tuoi comandamenti” (Salmo 118,21). Essi vedono e riconoscono, sanno e fanno ciò che è male, e consapevolmente perdono la loro anima. 
Aprite gli occhi, o ciechi, ingannati dai vostri nemici: dal mondo, dalla carne e dal diavolo, poiché è cosa dolce per il corpo commettere peccato ed è cosa amara sottoporsi al servizio di Dio perché tutti i vizi e i peccati escono e “procedono dal cuore dell’uomo” come dice il Signore nel Vangelo (cf. Matteo 7,21). E così non avete niente di buono in questo mondo e neppure nell’altro, mentre credevate di possedere tutte le vanità di questo mondo per lungo tempo. Ma siete stati ingannati, poiché verrà il giorno e l’ora a cui ora non pensate, che non conoscete e di cui non sapete nulla. Il corpo diventerà infermo, la morte si avvicinerà, e così l’uomo muore di morte amara.
E dovunque, in qualsiasi luogo, tempo e modo l’uomo muore in peccato mortale, senza penitenza né soddisfazione, se poteva darla e non lo ha fatto, allora il diavolo rapisce la sua anima dal corpo con angoscia e tribolazione così grandi che nessuno può sapere, se non colui che lo prova. E tutti i talenti e il potere, “ e la scienza e la sapienza” (cf, 2Cronache 1,17) che credevano di possedere saranno loro tolti (cf. Luca 8,18; Marco 4,25). E lasciano tutto ai parenti e agli amici, i quali li prenderanno e li divideranno, e in seguito diranno: “Sia maledetta la sua anima, poiché avrebbe potuto darci di più di quanto abbia guadagnato”. I vermi intanto divoreranno i corpi, sicché quegli uomini avranno perduto sia il corpo che l’anima in questa breve vita terrena,e andranno all’inferno dove patiranno pene per l’eternità.
Tutti coloro nelle cui mani arriverà questa lettera, li preghiamo, per quella carità che è Dio (cf. 1Giovanni 4,17), di accogliere con prontezza e con divino amore le parole di nostro Signore Gesù Cristo sopra citate. E quanti non sanno leggere, se la facciano leggere e le imparino a memoria, mettendole in pratica santamente sino alla fine, perché sono “spirito e vita” (Giovanni 6,64).
E coloro che non faranno questo dovranno renderne “conto nel giorno del giudizio” (cf. Matteo 12,36) dinanzi al tribunale di nostro Signore Gesù Cristo (cf. Lettera ai romani 14,10).
(Prologo). Di coloro che non fanno penitenza (cf. FF 178/4-7), ed. Minor)

Riflessione 15

La povertà di Cristo

Io, frate Francesco piccolino, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo nostro Signore, Gesù Cristo, e della sua santissima Madre, e perseverare in essa siano alla fine. (San Francesco, Ultima volontà: FF 140)

Perché Gesù era povero?

Prima di tutto e soprattutto, Francesco voleva semplicemente imitare la povertà di Cristo. Egli non era un idealista che inseguiva un ideale astratto. Vide con grande chiarezza l’immagine evangelica: un Cristo che non aveva un posto dove posare il capo, e Francesco decise: Qualunque cosa egli abbia fatto, voglio farla anch’io”. Questa fondamentale lezione di povertà francescana non deve mai essere dimenticata. La povertà, intesa nel senso di non possesso, in sé non è né buona né cattiva: è semplicemente un fatto. Ciò che dà valore alla povertà evangelica è il suo scopo: l’imitazione di Cristo per amore di Cristo. Il grande inno di san Paolo parla di Gesù che “svuota”se stesso prima di accedere alla gloria alla quale ha diritto in quanto Dio; egli assume forma umana con tutti i limiti, la fragilità e la sofferenza che essa comporta (cf. Lettera ai filippesi 2,6-11). Gesù si spinse fino a dove poté. Naturalmente non poté assumere in sé il peccato né le sue immediate conseguenze, comportamenti malvagi o concupiscenza. Ma prese tutta la tristezza così come la gloriosa eredità insite nella natura umana, in tutta la loro estensione. Perché?
Penetrando nella fragilità e nei danni che il peccato aveva causato all’umanità, Gesù poteva risanarli per mezzo della santità del suo spirito interiore. Il suo spirito umano era sempre rivolto con fiducia genuina alla lode del Padre, indipendentemente dalla sofferenza a cui egli si sottopose, e dalla frustrazione, dalla mala fede, dall’ingiustizia, dall’affanno, dalla privazione e dalla povertà che dovette patire. Francesco ebbe il dono di intuire la bellezza della povertà di Cristo. Su questa non scrisse alcuna approfondita analisi filosofica. Semplicemente la imitò.

Gesù, il Figlio fiducioso

In Gesù ci rendiamo conto che niente può restare puramente negativo. Quale fu il risultato del suo aver accettato la povertà umana in completa, amorevole fiducia?  Egli fu capace di gioire per tutte le cose terrene nelle quali si imbatté lungo il cammino. Egli vedeva tutto il creato come lode a Dio,e non come qualcosa da afferrare, nascondere o vendere. Egli vedeva i doni di Dio come eredità di tutta la gente, da condividere in giustizia e carità. Per lui il creato apparteneva a ogni persona.

Beati voi poveri

Gesù rappresenta il culmine di un cammino che ebbe inizio nell’Antico Testamento. Dapprima i poveri furono semplicemente le vittime sfortunate dell’avidità e della crudeltà sociali. Con il trascorrere del tempo, si giunse a comprendere che, poiché essi erano vittime dell’ingiustizia, Dio doveva essere dalla loro parte. La loro sola speranza era confidare in Dio, per una ragione pratica: non esisteva nessun altro a cui rivolgersi.
A poco a poco, i poveri divennero coloro che dipendevano totalmente da Dio. Essi erano gli anawim ai quali Dio disse: “Beati voi poveri”. Essi non riponevano le loro speranze nei beni terreni, sia che ne possedessero o meno. La più povera di tutti gli anawim dell’Antico Testamento fu la vergine di Nazaret. Poiché Maria era completamente priva di attaccamenti egoistici, completamente aperta a Dio, rappresentò la perfetta dimora verginale in cui la Parola poté “svuotare” se stessa, nella specifica povertà spirituale di Maria e nella povertà materiale dei suoi fratelli e sorelle.
Questa fu la visione di Francesco, e questa fu certamente la ragione per cui egli unì sempre Gesù e la Vergine nella sua lode alla povertà.

Il quesito rimane

Ancora non è stata risolta la questione “pratica” della definizione di povertà; vale a dire se essa sia materiale o spirituale, se sia soprattutto positiva o negativa, se si tratti principalmente di una pratica ascetica oppure di una generosa condivisione dei beni di questo mondo con gli altri. E’ possibile per una persona ricca dal punto di vista materiale essere completamente distaccata dai propri averi. Mentre una persona molto povera in termini materiali può essere avara, avida e tendente all’accumulo. Se poniamo la questione nell’ambito del mistero di Cristo, forse ci accorgeremo che non esiste una risposta chiara che possa essere stampata in un catechismo.

Signora Povertà!

Fu tipico di Francesco rappresentare la povertà come una Signora che egli servì in qualità di cavaliere di Cristo. L’immagine era tratta dai romanzi cavallereschi dell’epoca, come un ideale altissimo, quasi impossibile da realizzare. Eppure, nel freddo di Rivo Torto si viveva una dura realtà: il disgusto per il cibo mendicato, che spesso assomigliava a spazzatura, e la desolazione di stendersi nudo sulla terra, mano a mano che la morte si approssimava, a imitazione del suo maestro. Soltanto la Signora Povertà, egli soleva dire, può seguire Cristo fin sulla croce in totale privazione e nudità dinanzi a Dio.

+ Domande per la riflessione. – Perché Cristo divenne umano come noi? Qual è la realtà centrale, la più importante, per quanto riguarda la povertà di Cristo? Chi sono gli anawim odierni?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Il giudizio universale in Matteo, capp. 24-25; Luca, cap. 21. Larranaga, Nostro fratello, pp. 174-179

+ Applicazione alla vita quotidiana. – In che modo si può mettere in pratica lo spirito di povertà evangelica nell’acquisto di un auto, di una casa, nei divertimenti? E in che modo si applica all’educazione dei figli? E’ possibile essere “evangelicamente poveri” nella nostra società opulenta? Prendete alcuni beni materiali – del vestiario, del cibo, un auto – e considerateli non come un vostro possesso ma come strumenti per servire Dio. Condividete volontariamente qualche vostro bene con un’altra persona.

+ Preghiera. – Signore, mostrami come essere povero in una cultura che adora la ricchezza del potere, dei beni materiali e del prestigio. Amen.

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

11 – Cristo, fiducioso nel Padre, scelse per sé e per la Madre sua una vita povera e umile, pur nell’apprezzamento attento e amoroso delle realtà create; così i francescani secolari cerchino nel distacco e nell’uso una giusta relazione ai beni terreni, semplificando le proprie materiali esigenze; siano consapevoli, poi, di essere, secondo il Vangelo, amministratori dei beni ricevuti a favore dei figli di Dio.
Così, nello spirito delle “beatitudini”, sì adoperino a purificare il cuore da ogni tendenza e cupidigia di possesso e di dominio, quali “pellegrini e forestieri” in cammino verso la casa del Padre.

Riflessione 16

Povertà per il Regno

Una volta, tornando da Siena, san Francesco incontrò un povero e disse al suo compagno: “Dobbiamo restituire il mantello a questo poveretto, a cui appartiene. Noi lo abbiamo preso a prestito fino a che non trovassimo uno più povero di noi”.  (Specchio di perfezione, 30: FF 1716; cf. anche Tommaso da Celano, Vita Seconda, 87 FF 674).

Perché “povertà”?

La povertà, sia essa intesa nel modo giusto o sbagliato, è stata l’emblema di san Francesco e del suo Ordine sin dagli inizi. Egli è conosciuto come il “poverello di Assisi”. La sua prima Regola era in larga parte una raccolta di passi tratti dalla Scrittura sul tema della povertà. Le crisi all’interno dell’Ordine, anche quelle avvenute durante la vita di san Francesco, dipesero tutte dall’interpretazione della povertà evangelica.  L’ideale e la pratica della povertà costituiscono ancora oggi il problema più difficile e imbarazzante dei francescani.
Il problema può essere analizzato in tre parti: 1) Di che tipo di povertà parla Gesù? Il Vangelo di Luca dice: “Beati voi poveri”. Il Vangelo di Matteo dice: “Beati i poveri in spirito”. Siamo chiamati alla povertà materiale o a quella “spirituale”? Possono queste essere separate? 2) La povertà consiste principalmente nel non-avere, è una forma di ascetismo e purificazione, oppure contiene un orientamento più importante e positivo? 3) La povertà è una virtù interiore, qualcosa che si riferisce soprattutto alla santità di coloro che la praticano, oppure il suo scopo vero è la condivisione dei beni terreni con gli altri?  Cercheremo di prendere in considerazione queste problematiche in questo capitolo e nei seguenti. Poi discuteremo della “sorella” della povertà: l’umiltà.

L’amore per il denaro è la radice di tutti i mali

Per quanto si possa discutere su che cosa sia la povertà evangelica, è certo che essa rappresenta un attacco alla radice di ogni male, all’avidità. Il denaro in sé non è né buono né cattivo. Il denaro può comperare una medicina per un amico o del veleno per un nemico. La mancanza di denaro può generare dei santi o dei criminali. La virtù della povertà evangelica ci libera da un irragionevole o servile attaccamento alle cose. Lo Spirito Santo ci ha detto che l’amore per il denaro è la radice di tutti i mali (cf. 1Timoteo 6,10). Perciò, secondo la logica di san Bonaventura, il distacco da un irragionevole amore per il denaro deve essere la radice di ogni bene. E’ la schiavitù del denaro che è male. Il denaro può comprare piacere, prestigio, potere. Questi desideri possono diventare insaziabili: più ottengo, più voglio. Quindi, per tutti i cristiani, la virtù della povertà evangelica è necessaria per tenere a freno e controllare questo pericolo basilare nella nostra fragile natura umana: la tendenza a inchinarci davanti a Mammona.

Materiale o spirituale?

Il Jerome Biblical Commenatary dà questa spiegazione: “La differenza fra i “poveri” di Luca e i “poveri in spirito” non è sostanziale. Matteo di certo non intende coloro che, sebbene siamo ricchi, sono spiritualmente distaccati dalla loro ricchezza… Entrambe le frasi si riferiscono alla classe povera, che costituiva la grande maggioranza della popolazione…  La frase “poveri in spirito” di Matteo non sottolinea tanto la mancanza in senso letterale di beni, quanto piuttosto la condizione di inferiorità dei poveri; la povertà non consentiva loro l’arroganza e l’ autoaffermazione dei ricchi, ma imponeva un atteggiamento abituale di servile deferenza. Il termine è molto vicino ai “miti” della terza beatitudine” (Jerome Biblical Commentary, 43,30).
Durante una discussione sulla povertà religiosa, un partecipante fece un’osservazione eloquente: “Guardate, essere poveri significa non aver accesso al potere. Fintanto che noi esercitiamo il potere, non diciamo che stiamo praticando la “povertà!”. La povertà evangelica, a quanto sembra, deve avere qualche effetto sulle cose materiali che abbiamo e che usiamo. Come minimo, essa ci richiama a un uso parsimonioso delle cose, sia come pratica ascetica sia come mezzo di condivisione dei beni con gli altri.
Il problema non si risolverà con una serie di regole da osservare. Invece, la risposta può venire solamente da una domanda più basilare: come si deve agire per quanto concerne il proprio denaro e i propri beni, una volta che il cuore è stato conquistato dall’amore per Cristo, e si vede tutto il mondo come un dono di Dio, e si considerano tutti gli uomini e le donne come propri fratelli e sorelle, e il mondo intero come un dono di Dio a tutti i suoi figli?

La povertà ci rende liberi

Tuttavia, non dimentichiamo mai lo scopo della virtù che consiste nella libertà di amare Dio. La Bibbia parla della “libertà dei figli di Dio”, e Cristo ha detto: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Giovanni 8,31). Libertà in senso negativo significa essere liberi dalla schiavitù del peccato, della morte e del demonio. In senso positivo, libertà significa invece la forza di essere simili a Dio per nostra scelta. Il rischio per l’umanità è quello di divenire schiava dei piaceri fisici del corpo e dei piaceri egoistici connessi all’orgoglio e all’amore di sé. La povertà è progettata per renderci liberi da qualunque schiavitù verso cose, e anche verso persone, luoghi, circostanze e desideri. San Francesco capì il pericolo di essere attaccati a qualcosa o a qualcuno fino al punto da rendere l’amore perfetto di Dio difficile o persino impossibile. Egli non voleva correre pericolo alcuno di preferire qualunque altra cosa a Dio.

Povertà per gli altri

La situazione sociale ed economica del mondo di oggi rende impossibile separare qualsiasi argomentazione sulla povertà evangelica dalla preoccupazione cristiana per la giustizia verso i poveri e gli indigenti, sia che si tratti di singoli individui o di intere nazioni. Come indica la citazione riportata all’inizio di questo capitolo, san Francesco sentiva che qualunque cosa egli avesse o usasse, era un generoso prestito di Dio, da amministrare finché non giungesse qualcuno più povero di lui. Egli donava continuamente il suo mantello ai mendicanti. Donò anche l’unica copia del Nuovo Testamento che i frati avevano, così che una donna povera potesse comprare del pane.
Uno scrittore spirituale dei nostri giorni ha suggerito di cambiare il nome al voto di povertà. Potrebbe, invece, essere chiamato “generosa condivisione”. E davvero, sottolineare questo aspetto salverà la povertà dal diventare una pratica arida, impacciata e introversa, che non fa altro che adulare l’orgoglio del praticante. La virtù primaria è la carità verso gli altri per amore di Dio. Essere poveri davanti a Dio è essere totalmente aperti alle necessità degli altri, per il bene dei quali quei doni ci sono stati concessi.
Perciò ciascun membro dell’Ordine francescano secolare deve chiedersi: “Che cosa posso fare quotidianamente, nell’ambito delle reali circostanze e dei doveri della mia vita, per troncare ogni strisciante schiavitù del denaro e dei beni? Che cosa mi renderà libero? Quali necessità altrui posso soddisfare con il mio immediato sostegno odono sincero?”. Come san Francesco, non abbiamo regole per questo. Poiché egli dichiarò: “Il Signore mi ha mostrato che cosa fare”.

+ Domande per la riflessione. – Negativamente, da che cosa lo spirito della povertà ci libera? Positivamente, che cosa produce in noi lo spirito della povertà? Che cos’è la povertà?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Le parole di nostro Signore durante l’ultima cena e l’inizio della passione in Giovanni, capp. 15-17. Larranaga, Nostro fratello, pp. 64-67

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Quali prove di attaccamento alle cose, ai progetti, agli agi, potete trovare nella vostra vita? Come può un uomo ricco essere povero in spirito? Come può un uomo povero essere avido? Nella nostra vita, come possiamo sviluppare una vera libertà mediante la povertà? Cercate di scoprire tracce di avidità nella vostra vita. Privatevi di qualcosa e donatela a Dio attraverso il prossimo.

+ Preghiera. – “Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”: con il mio tempo, i miei beni, le mie capacità, il mio conto in banca, il mio salario, il mio amore, il mio… Amen.

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

10 – Unendosi all’obbedienza redentrice di Gesù, che depose la sua volontà in quella del Padre, adempiano fedelmente agli impegni propri della condizione di ciascuno nelle diverse circostanze della vita, e seguano Cristo, povero e crocifisso, testimoniandolo anche fra le difficoltà e le persecuzioni.
 

 

Riflessione 17

Alcune applicazioni esteriori della povertà

Chi è veramente povero in spirito odia se stesso e ama quelli che lo percuotono sulla guancia. (San Francesco, Ammonizione 14: FF 163)

Povertà francescana come spirito e pratica

Lo “spirito di povertà” consiste in un atteggiamento di libertà, di non schiavitù verso il denaro e verso  ciò che esso può comprare. Non ci sentiamo insoddisfatti per le limitazioni che la mancanza di denaro ci impone. Cerchiamo di vivere la nostra vita con le cose di cui necessitiamo realmente, anziché permettere ai nostri desideri di avere il controllo su di essa. La povertà francescana rifugge il lusso e ama le cose che danno meno piacere all’io e alla vanità.

Evitare il lusso

Forse, in questo caso, possiamo ricorrere all’aiuto di un dizionario per avere una definizione di lusso: “Tendenza a indulgere liberamente verso cibo o abbigliamento costosi, o verso qualunque cosa gratifichi i desideri  o i gusti; è anche uno stile di vita caratterizzato da tale abbondanza materiale”. E’ un indulgere liberamente. Qui,per “liberamente” si intende senza limitazioni. La fragile natura umana detesta le limitazioni. L’uomo è convinto che la felicità consista nel fare “liberamente” tutto ciò che gratifica la passione o l’orgoglio. Ma Cristo dice che siamo veramente liberi solo se amiamo Dio e non diventiamo schiavi del peccato. In altre parole, se rinneghiamo noi stessi e diciamo “si” a Dio, siamo liberi. Siamo liberi da tutto il male e liberi di accettare la felicità che Dio ci offre.
 
Amare il meno, piuttosto che il più

La povertà ama le cose che meno gratificano l’io e la vanità. Da notare, per prima cosa, essa “ama”. Vale a dire, essa vede il bene nelle cose ordinarie. Non ci viene detto di “sopportare” o “subire con viso severo” le cose che meno ci piacciono. Dobbiamo essere contenti, lieti, e accettare volentieri di non avere l’ultimo modello di automobile, i vestiti più alla moda o la casa più costosa. Non c’è nulla di sbagliato in ciò che piace alla vista: un fiore, un volto, una casa pulita e ben tenuta. Il pericolo si nasconde nella vanità, nella presunzione, nell’avidità che spesso vi si cela sotto.
Così, i francescani secolari cercheranno di dare ai propri figli una ragionevole predisposizione verso cose meritevoli: l’arte, le scienze, l’artigianato o la cultura. Possono alleggerire il peso dei lavori casalinghi, acquistando gli elettrodomestici necessari che fanno risparmiare fatica e tempo. Possono mettere da parte dei soldi per l’acquisto di una casa in campagna, così che i figli possano respirare aria buona. Tuttavia, rifiuteranno di divenire schiavi del piacere, del prestigio o del potere.

Evitare gli estremi

I francescani secolari evitano gli estremi nelle spese e nello stile di vita, attenendosi a una giusta via di mezzo adatta alla posizione che ciascuno occupa. Difficilmente ci si aspetta che il presidente di una banca si rechi al lavoro in bicicletta. Uno studente universitario sarebbe stolto a non comprarsi i libri che gli servono per una sbagliata idea di pratica della povertà. Una madre non sarebbe ragionevole se rifiutasse di fare la festa di compleanno dei suoi figli in nome dello “spirito” di povertà. Ma il presidente di banca, lo studente universitario e la mamma, hanno ogni giorno almeno cento occasioni per spezzare quell’abitudine all’ “accumulo” che vuole dominare le loro vite, rendendoli schiavi delle cose, anziché capaci di servirsi di esse.
I francescani secolari evitano ogni vanità nel proprio aspetto e nell’abbigliamento, e aderiscono allo standard della semplicità, della moderazione e del decoro a beneficio di tutti. Per quanto riguarda il cibo e le bevande, essi osserveranno la sobrietà raccomandata dalla Regola.

 

Spendere il denaro

La nostra società è caratterizzata dalla spinta all’acquisto e dal consumismo. Forse, in tutta la storia non è mai accaduto che l’uomo  indulgesse a tanto spreco nell’acquisto di beni di lusso, cose doppie, aggeggi vari. I debiti da carte di credito affliggono intere masse. Ma la povertà evangelica è semplicemente la netta divisione di fare uso dei doni di Dio con ragionevolezza. La povertà evangelica si rifiuta di voler tenere il passo con i vicini di casa. Non cerca di mantenere una posizione sociale a ogni costo. La povertà evangelica non priva la persona o i suoi figli del necessario o dell’utile per comprare cose “prestigiose”.

Insegnare ai giovani il senso della responsabilità

Né i figli né i loro genitori possono trascurare la responsabilità accennata in precedenza verso il “conto in banca” della famiglia. Il guadagno del denaro non dà ai giovani il diritto di spendere come loro piace. Dovrebbero rendersi conto della necessità di contribuire alle spese per qualche loro vestito, di risparmiare per la propria futura istruzione e per i versamenti assicurativi; talvolta potrebbe esser doveroso che i figli contribuiscano all’acquisto di cibo e aiutino ad affrontare eventuali difficoltà della famiglia secondo le varie circostanze.
Non tutto il denaro che essi guadagnano deve andare per acquistare generi di prima necessità, a meno che la famiglia non sia in gravi ristrettezze. I giovani dovrebbero cooperare con i propri genitori nel valutare quanto denaro stanziare per il tempo libero, quanto risparmiarne, e quanto metterne a disposizione per le giuste spese familiari.

Un punto di vista più ampio

Nel sinodo del 1971, i vescovi rappresentanti di tutto il mondo insieme al Santo Padre pubblicarono un documento oggi famoso. Tra le sue raccomandazioni c’erano le seguenti (Francesco, come figlio fedele della sua chiesa, le avrebbe osservate fedelmente):

Per quanto si riferisce alle cose temporali, qualunque sia il suo uso, non si deve mai giungere a un punto tale da rendere ambigua la testimonianza evangelica, che la chiesa deve rendere. Il mantenimento di alcune posizioni di privilegio dovrebbe essere costantemente sottoposto al criterio di questo principio. Sebbene sia difficile, in generale, stabilire un limite tra ciò che è necessario per il retto uso e ciò che è richiesto dalla testimonianza profetica, non c’è dubbio però, che si debba ritenere fermamente questo principio: la nostra fede esige da noi una certa parsimonia nell’uso delle cose, e la chiesa è tenuta a vivere e ad amministrare i propri beni in modo da annunciare il Vangelo ai poveri.
Il nostro esame di coscienza deve raggiungere quello che è lo stile di tutti: vescovi, sacerdoti, religiosi e laici (…). Nelle società che godono di un più elevato livello di benessere economico e di consumi, ci si deve domandare se il proprio stile di vita dia realmente l’esempio di quella parsimonia, in riferimento ai consumi, che predichiamo agli altri come necessaria per sostenere tanti milioni di persone affamate in tutto quanto il mondo (…).
La radicale trasformazione del mondo nel mistero pasquale del Signore dà pieno significato agli sforzi compiuti dagli uomini, in particolare dai giovani, per ridurre l’ingiustizia, la violenza e l’odio e per progredire tutti insieme nella giustizia, nella libertà, nella fratellanza e nell’amore.
(La giustizia nel mondo, in EV, vol. 4, nn. 1279-1280 e 1307)

+ Domande per la riflessione. – Come si definisce il lusso? Una festa di compleanno è in sintonia con la povertà evangelica? E un’auto nuova? Sempre? Cercate di spiegare.

+ Connessioni bibliche e francescane. – La passione e la morte di Cristo in Matteo, capp. 26-27. Larranaga, Nostro fratello, pp. 357-361.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – A quale impulso di acquisto avete ceduto recentemente? A che cosa potete rinunciare allo scopo di fare una donazione a una famiglia bisognosa o a una causa in cui credete? Che cosa ha a che fare il “porgere l’altra guancia” con la povertà? Provate a mettere in pratica “una certa parsimonia” nel cibo e nelle bevande e a dare in beneficienza ciò che avete risparmiato.

+ Preghiera. – Liberami, Signore, dalla schiavitù dell’eccesso. Sgombera la mia vita dalla tirannia delle “cose”. Guidami sulla strada del vivere semplice. Amen.
Riflessione 18

Umiltà, gemella della povertà

L’uomo quanto vale davanti a Dio, tanto vale e non di più. (San Francesco, Ammonizioni, 20: FF 169; cf. anche Leggenda Maggiore, 6,1: FF 1103)

Se il Signore volesse togliermi il suo tesoro, datomi in prestito, che altro mi resterebbe se non il corpo e l’anima, che anche gli infedeli possiedono?  (Leggenda Perugina, 104: FF 1660)

Umiltà e povertà

San Francesco, nella sua umile saggezza, vedeva la povertà e l’umiltà come gemelle. Noi dipendiamo in maniera assoluta da Dio per tutte le cose: è questa l’umiltà. E Dio provvederà a esse: è questa la povertà. Non siamo che nulla senza Dio: è questa l’umiltà. Non vogliamo nulla all’infuori di Dio: è questa la povertà. Come creature,  siamo poveri davanti a Dio: questa è sia povertà che umiltà. L’umiltà è la virtù mediante la quale noi comprendiamo e agiamo sulla base della nostra nullità separati da Dio e dalla nostra totale dipendenza da lui.

Umiltà, fondamento di virtù

Cristo cominciò il suo discorso della montagna con le beatitudini. Egli cominciò le beatitudini dicendo: “Beati i poveri in spirito” (Matteo 5,3). Questa frase ha due significati: 1) esprime quanto siano felici coloro che sono liberi grazie al proprio spirito di povertà evangelica; 2) esprime quanto siano felici coloro che comprendono e riconoscono di essere totalmente poveri dinanzi a Dio e che vedono, così, ogni cosa come un dono.
La dichiarazione basilare sull’aspetto negativo e positivo dell’umiltà fu fatta da Gesù Cristo. “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla” (Giovanni 15,5).

Nullità e dipendenza

Nulla può esistere senza Dio. Il nostro cuore non palpiterebbe un solo battito in più e non potremmo emettere il nostro prossimo respiro, se Dio non continuasse a mantenerci in vita. Non potremmo neppure sollevare un dito di un millimetro né amare il nostro prossimo senza che  Dio ci mantenesse in vita. L’umiltà è, perciò, una virtù semplice e profonda. Essa riconosce la nostra assoluta nullità senza Dio, e la nostra totale e assoluta dipendenza da lui istante delle nostre giornate. “Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio” (2Corinzi 3,5). E’ davvero difficile per gli esseri umani orgogliosi credere in questa basilare verità della vita.

L’umiltà di Cristo

L’ umiltà così intesa era in Cristo. La sua natura umana dipendeva da Dio quanto vi dipendiamo noi. Perciò, Gesù ebbe a dire: “… non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Giovanni 8,28-29). Maria, in tutta l’immacolata bellezza della sua anima, ebbe a dire: “Eccomi,sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Luca 1,38). Ella non era nulla senza Dio. Quanto più noi, che abbiamo aggiunto l’offesa del peccato al nostro essere nulla, dovremmo riconoscere quel Cristo come nostro modello nell’umiltà. Proprio come egli dipendeva da suo Padre, così noi dobbiamo dipendere da Dio.

Siamo inutili?

Una delle più grandi tragedie della vita sta nell’odio contro se stessi e nella mancanza di un senso di autostima che affligge molta gente, talvolta senza che ne sia consapevole. Queste persone si sentono completamente insicure. Come può accadere che qualcuno le ami dal momento che esse non sono degne di essere amate? Come possono esse amare gli altri dal momento che non hanno niente da offrire? Come possono credere di essere amate davvero dagli altri se esse valgono nulla? Un simile atteggiamento non è segno di umiltà, bensì di fragilità emotiva, che è la terribile conseguenza della mancanza di amore da parte degli altri. Chiunque sia veramente umile davanti a Dio ha sentito la buona novella, cioè che Dio ci ha resi realmente “qualcosa”: i suoi figli. E Dio ci ama!

Che cos’è l’orgoglio?

L’ orgoglio, l’opposto dell’umiltà, è il cuore da cui parte il contagio di tutti i peccati. Esso fa dire: “Sono qualcuno, e ce l’ho fatta da solo. Sono indipendente, degno di stima, e ho fatto tutto da solo. Non ho bisogno di nessuno, neanche di Dio”. Un altro tipo di orgoglio, invece, fa dire: “Ebbene, ho bisogno di Dio per cose grandi e fuori dall’ordinario, ma posso gestire le cose normali da solo. Quindi, pregherò in tempo di guerra, di malattia, di bufere, ma non ho effettivamente bisogno dell’aiuto di Dio per respirare, mangiare o per essere onesto”.
O, ancora, fa dire: “Le mie qualità sono mie. Le dimostrerò e me ne attribuirò il merito. Le mie idee sono importanti. Le mie preferenze devono essere rispettate. Le mie scelte non devono essere messe in discussione”. Il dramma di così tanta gente è nell’influsso dell’orgoglio che percorre tutta la loro vita. Si può essere orgogliosi delle cose più sante come la preghiera e la bontà. Si può essere orgogliosi perfino dell’umiltà!

L’umiltà di san Francesco

San Francesco faceva sempre riferimento all’umiltà insieme alla povertà. In un certo senso, esse sono la stessa cosa: un personale essere “senza-niente”. Questo è un dato di fatto, poiché tutto ciò che abbiamo viene da Dio. Questo è un ideale, perché vogliamo essere senza niente tranne Dio. Una delle affermazioni più sconcertanti di san Francesco riguarda l’umiltà: “L’uomo quanto vale davanti a Dio, tanto vale e non di più”. Più un uomo è realmente migliore, più sente di essere peggiore. Più noi apprezziamo i doni di Dio e la sua infinita generosità, più diventiamo consapevoli: 1) del nostro rifiuto di ammettere ciò; 2) del nostro sciupare quei suoi preziosi doni. Come san Paolo, la sola cosa di cui sarebbe stato “orgoglioso” Francesco era la “croce di Cristo”.

“Servi inutili”

Persino quando era il più felice degli uomini, Francesco si sentiva il peggior peccatore del mondo. Nessuno mai prese sul serio queste parole di Cristo: “Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Luca 17,10). Come vero discepolo di Cristo, Francesco cercava di mantenere un equilibrio perfetto: rendersi conto della sua inutilità ma credere nell’amore di Dio.
“Come nelle immagini del Signore e della beata Vergine dipinte su tavola, si onora e si ricorda Dio e la Madonna, e il legno e la pittura non attribuiscono tale onore a se stessi, così il servo di Dio è come una pittura, una creatura fatta a immagine di Dio, nella quale è Dio che viene onorato dei suoi benefici. Il servo di Dio, dunque, simile a una tavola dipinta non deve riferire nulla a se stesso, poiché l’onore e la gloria vanno resi a Dio solo” (Leggenda perugina, 104: FF 1660).

+ Domande per la riflessione. – Che cos’è l’umiltà? Quali parole descrivono meglio gli ingredienti dell’umiltà? Qual è il peccato peggiore di tutti?

+ Connessioni bibliche e francescane. – La risurrezione e l’ascensione in Matteo, cap. 28; Luca, cap 24; Giovanni, capp. 20-21; Atti degli apostoli, cap. 1. Larranaga, Nostro fratello, pp. 139-141.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Quali cose vi piace credere di poter fare senza l’aiuto di Dio? Quale massima di san Francesco sull’umiltà vi colpisce con maggior forza? Cercate deliberatamente di dare merito a Dio per le qualità che avete e per il bene che fate. Assumetevi la responsabilità di ciò che di male trovate in voi stessi.

+ Preghiera. – “Da solo non posso fare nulla”. Ti lodo e ti rendo grazie, mio Creatore, per ciò che hai scelto di fare in me e attraverso me. Amen.

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

12 – Testimoni dei beni futuri e impegnati nella vocazione abbracciate all’acquisto della purità di cuore, si renderanno così liberi all’amore di Dio e dei fratelli.

Riflessione 19

Umiltà verso gli altri

Io li ammonisco e li esorto (i frati) a non disprezzare e a non giudicare le persone che vedono vestite con abiti molli e colorati che usano cibi e bevande delicate, ma piuttosto ciascuno giudichi e disprezzi se stesso. (San Francesco, Regola bollata, 2.15: FF 81)

I doni di Dio

Se  siamo umili davanti a Dio, non possiamo essere presuntuosi davanti agli altri. L’umiltà riconosce la grande verità: tutto viene da Dio. Se tutto appartiene a Dio che motivo c’è di fare  i confronti? Dio è invidioso di se stesso? Egli concede a quell’uomo o a quella donna questo o quel talento, denaro, onore, prestigio sociale. A me ha dato forse di più, forse di meno. Qual è la differenza? Tutto appartiene a Dio! Devo essere infelice perché Dio ha concesso un dono a un altro? “E’ il tuo occhio malvagio perché io sono buono”. Per Francesco,vivere la vita evangelica significava carità, non giudizio verso gli altri. Non si preoccupava di misurare la quantità dei suoi doni rispetto a quella degli altri. Egli desiderava solo poter dare a tutti quanto più possibile dei tesori di Dio. Se Dio ci concede un dona che no ha dato ad un altro, lo ha fatto per un’unica ragione: che produciamo frutto con esso. Non siamo migliori o peggiori degli altri. Siamo semplicemente ciò che Dio ci ha fatti. Una matita non è né migliore né peggiore di una tazza o di una candela. Ciascuno di noi ha il proprio compito da svolgere.

Giudicare gli altri

A essere sinceri, non possiamo giudicare gli altri. Noi stessi di certo non vogliamo essere giudicati dagli altri. Essi  non esprimono mai ciò che siamo nel nostro intimo. Che cosa ne sappiamo, quindi, di quello che gli altri sono nel loro intimo? Qualcuno sembra essere cattivo. Che cosa ne sappiamo delle sue passate esperienze, genitori, vita familiare, istruzione, tentazioni, sentimenti, delle cattive influenze che ha dovuto patire, delle crudeltà o dell’inganno che gli sono stati inflitti, dell’ignoranza, del dolore, delle sue malattie fisiche o mentali, delle preoccupazioni o delle incomprensioni che hanno fatto parte della sua vita? Chi conosce il cuore umano se non Dio? Perfino quando qualcuno sembra sicuramente malvagio, in modo deliberato, e se ne vanta, possiamo ancora ricorrere al principio di san Bonaventura: “Devo considerare me stesso inferiore agli altri, non perché io sia certo di esserlo, bensì perché sono più certo della mia indegnità di quanto sia certo della loro”. Non possiamo renderci conto solo del nostro mal di denti, e dei nostri peccati.

San Francesco: un uomo umile

C’ è un episodio narrato nei Fioretti che mostra chiaramente l’umiltà del nostro santo.

Frate Masseo, una volta disse a Francesco: “Mi domando perché tutto il mondo ti corre dietro! Non sei bello; non sei particolarmente dotto; non sei di nobili natali!”. Francesco disse: “Desideri saperlo? Conosco la risposta dal Dio che tutto vede, i cui occhi vedono il bene e il male su tutta la terra. Poiché quei santissimi occhi non hanno veduto in nessun luogo un peccatore più grande, più misero, più povero di me; perché su tutta la terra egli non ha trovato essere più vile per compiere la sua opera meravigliosa. Perciò, egli ha scelto me, così da far vergognare i nobili e i grandi, così che tutti possano sapere che tutto il potere e tutte le virtù vengono da lui, e non dalle creature, e nessuno può esaltare se stesso dinanzi al suo volto” (dai Fioretti, cap. 10: FF 1838)

San Francesco si rivelò poi un grande riformatore sebbene non avesse l’intenzione di riformare. Vale a dire, egli non cominciò con l’idea di condannare coloro che erano in disaccordo con lui. Egli operò semplicemente con la preghiera e la penitenza per dare a tutti l’eredità divina. Egli esercitò un influsso a così lungo raggio perché nessuno temeva un uomo umile.

 

 

Giudicare me stesso

San Francesco aveva orrore di apparire migliore di quello che fosse. Disse ai suoi frati, dopo un gesto di carità, che si sentiva tentato dalla vanità. Una domenica di Pasqua si alzò davanti a tutti e fece sapere di aver mangiato del pollo durante la quaresima (come gli aveva ordinato il dottore). Quando la sua salute rese necessario indossare vestiti più pesanti, una pelliccia di volpe sullo stomaco, lui insisteva affinché gliene venisse cucita una all’esterna, così che tutti vedessero quanto egli fosse “indulgente con se stesso”. La notte fingeva di dormire e poi si alzava, quando pensava che nessuno lo stesse guardando, per trascorrere più ore in preghiera.

Frati minori

L’umiltà era contenuta negli stessi nomi che egli dava ai suoi frati: i frati minori o meglio “fratelli inferiori”. I minori dei suoi giorni erano gli stessi di oggi: gente modesta, nobile solo nella bontà, che non si distingue particolarmente agli occhi del mondo. Un francescano secolare oggi deve continuare in quello spirito. Una persona, sia uomo o donna, può essere grande nel mondo degli affari, delle arti o delle scienze, può essere dotata di notevoli capacità della mente, del corpo, o nell’aspetto ma, nello spirito di san Francesco, il francescano secolare deve combattere contro il contagio dell’orgoglio e la allettante tentazione di agire solo per impressionare gli altri e attirane l’adulazione.
Ogni francescano secolare deve ricordarsi che è molto piccolo, in realtà una nullità, e deve costantemente saper riconoscere il peccato insito in tutti i peccati: l’orgoglio. Brevemente, quindi, ecco alcuni principi dell’umiltà:
– Il nostro corpo, la nostra anima, la grazia di Dio che è in noi, tutta la bontà, la virtù, la santità sono dono di Dio.
– Le vostre qualità, il denaro, l’automobile, il lavoro, la famiglia, gli amici, la vocazione, la casa sono tutti doni di Dio.
– Siete liberi di amare o ignorare Dio, ma persino la vostra libertà è un dono costante di Dio.
– Non potete giudicare gli altri. Non osate giudicare gli altri. Potete soltanto augurare loro ogni bene. Conoscete qual è        il vostro peccato. Non siete sicuri di quale sia il loro.
– La salute della mente, la pace e la felicità dipendono dalla verità di Dio che + l’umiltà
– L’ umiltà è verità. Non è sbagliato ammettere di possedere un talento o una capacità, ma è molto sbagliato sentire che questi ci appartengono. Essi sono di Dio.

+ Domande per la riflessione. – Qual è l’unica risposta alla tentazione di paragonare voi stessi agli altri? Perché non siete in grado di giudicare le colpe degli altri? Che cosa disse san Bonaventura sugli altri che sembrano essere peggiori di noi? Chi sono i “minori” in senso francescano?

+ Connessioni bibliche e francescane. –La Pentecoste in Atti degli apostoli, capp. 2-4. Larranaga, Nostro fratello, pp 200-202.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Se rispetto a un’altra persona avete il doppio del talento (nei lavori domestici, nell’informatica, nella musica, nell’arte o nella manodopera specializzata) che cosa si aspetta Dio? In quale genere di dono di Dio avete la tendenza a credere di essere migliori di altri (ovviamente per vostro merito)? Le persone umili non cercano di “dimostrare” niente. Tenendo conto delle circostanze esterne in relazione ai crimini, al peccato e alla fragilità umana, provate a dire con san Francesco: “Là vado io, ma per la grazia di Dio! Eccomi, con sembianze diverse!”.

+ Preghiera. – Cercherò di ricordare, Signore, che il tuo Spirito vive in ogni persona che incontro: l’orgoglioso e l’oppresso, il bellissimo e il semplice, il saggio e l’ignorante, il buono e il meno buono. Conservami consapevole che a volte posso essere come ciascuno di loro. Amen.

Dalla Regola dell’ordine francescano secolare

13 – Come il Padre vede in ogni persona i lineamenti del suo figlio, primogenito di una moltitudine di fratelli e sorelle, così i francescani secolari accolgono tutti gli uomini con animo umile e cortese, come dono del Signore e immagine di Cristo.
Il senso di fraternità li renderà lieti di mettersi alla pari di tutti gli uomini, specialmente dei più piccoli, per i quali si sforzeranno di creare condizioni di vita degne di creature redente da Cristo.

Riflessione 20

Una vita di castità

Era impossibile rimproverare a Francesco (prima della sua conversione) qualcosa di propriamente malvagio. In tutto ciò che concerneva i rapporti con l’altro sesso egli era un esempio. Fra i suoi amici era cosa ben nota che non si doveva pronunziare alcuna parola sconveniente in sua presenza. Se qualcuno arrischiava una tale parola, immediatamente il suo volto assumeva un’espressione seria, quasi severa, ed egli non rispondeva. Come tutti i puri di cuore, Francesco aveva il più grande rispetto per il mistero della generazione. (J. Joergensen, San Francesco d’Assisi, p. 97)

Parallelamente alla “rivoluzione sessuale”, che ha accantonato la maggior parte dei valori che i cristiani davano alla sessualità, nella teologia morale cattolica c’è stato un salutare cambiamento a tale riguardo, passando da una accentuazione negativa a una positiva della sessualità. Anzitutto si sottolinea il fatto che tutti gli esseri umani sono sessuati. Tommaso pensa, sente, e agisce come un essere umano di sesso maschile. Elena vive e ama come un essere umano di sesso femminile. La sessualità è un elemento inseparabile della vita umana. Non può essere considerata da sola, separata dalle persone che hanno una relazione d’amore. In altre parole, coerentemente a come ci ha fatti Dio, la sessualità è co-estesa con la vita umana. Essa non dovrebbe essere considerata principalmente o esclusivamente in termini di rapporto sessuale (sessualità genitale) o coniugale. Queste non sono le sole manifestazioni della sessualità. Alcune persone possono non sposarsi mai, non procreare mai, eppure rimanere pienamente sessuali come coloro che sono sposati e procreano. Vivono delle relazioni di amore verso gli altri, pur essendo questo uomo particolare o quella specifica donna.

La virtù’ della carità

La castità è la virtù (abitudine, atteggiamento, pratica in corso) che rispetta e ordina la sessualità secondo la volontà di Dio. Nel matrimonio, essa integra il pieno uso e godimento delle energie sessuali con una altruistica e rispettosa relazione d’amore tra marito e moglie. Nella vita da singoli, essa modera e guida la vita sessuale di un uomo o di una donna, sebbene si astengono dalla sessualità genitale. In entrambi i casi, essa è rispetto, che nasce dalla fede, per tutte le persone in quanto templi dello Spirito Santo.
L’accento positivo sulla bontà e santità della sessualità, si può dire che abbia avuto inizio nella prima pagina della Bibbia. “Maschio e femmina egli li creò… e Dio vide che era cosa buona”. Il significato evidente della sessualità sta nel fatto che tutti gli esseri umani hanno bisogno gli uni degli altri.
Per di più, Dio stesso fu “fatto carne”, e aveva una sessualità. Se non cogliamo la bontà nel fatto del creato, certamente non possiamo non coglierla nel fatto che Gesù fu in tutto e per tutto un essere umano di sesso maschile: un fatto su cui meditare per tutti coloro che credono nell’Incarnazione.
 
L’aspetto negativo

Tutto questo non vuole negare che la visone cristiana della castità tiene in considerazione anche i pericoli sempre presenti per la castità stessa, e si preoccupa degli impulsi insiti nella natura umana che tendono sempre all’eccesso. Ma neppure questi possono essere separati dai pericoli morali in genere, che si possono sintetizzare nella tendenza all’egoismo. Il peccato, così come la virtù, coinvolge tutta la persona.
Lo spirito di castità, come lo spirito di povertà, è la ricerca e la conservazione della libertà. Coloro che usano la sessualità in linea con la volontà di Dio sono veramente liberi. Essi usano il dono di Dio secondo le relazioni umane nelle quali Dio li ha posti. Non si lasciano diventare schiavi di nessuno e di niente all’infuori di Dio.

 

 

 

La castità nel matrimonio

Marito e moglie adempiono uno degli scopi del matrimonio – l’amore reciproco – in un modo particolarmente benedetto. Si amano l’un l’altro come amano Cristo e la chiesa. Non possono più essere separati o infedeli di quanto possono esserlo Cristo e la chiesa.

Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo (…). E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua chiesa tutta gloriosa… santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso (…). Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito. (Lettera agli efesini 5,21.25-28.32-33)

I singoli

Coloro ai quali Dio ha dato la vocazione di singoli sono chiamati a lasciare che la loro sessualità sia un segno dell’amore di Dio in modo diverso da quello della gente sposata. L’amore coniugale è il segno di quanto particolarmente Dio ami ciascuno di noi. Anche la castità della vita da singoli è segno dell’amore di Dio e della sua apertura verso tutti.

Le vedove

San Paolo ebbe questo da dire riguardo alle buone qualità che si dovevano cercare nelle vedove, specialmente quelle che dovevano iscriversi a qualche fraternità devota alla carità cristiana: “Onora le vedove, quelle che sono veramente tali (…) La donna veramente vedova, e che sia rimasta sola, ha riposto la speranza in Dio e si consacra all’orazione e alla preghiera giorno e notte (…). Abbia la testimonianza di opere buone: abbia cioè allevato figli, praticato l’ospitalità, lavato i piedi ai santi, sia venuta in soccorso agli afflitti, abbia esercitato ogni opera di bene” (1Timoteo 5,3.5.10).
 

+ Domande per la riflessione. – Una persona prega come uomo, come donna o in generale come un “essere umano”? Che cos’è la castità? Perché Dio ci ha dato la sessualità?

+ Connessioni bibliche e francescane. – La conversione di Paolo in Atti degli apostoli, capp. 8-9,22,26. Larranaga, Nostro fratello, pp. 205-208.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Se siete sposati, come potete accrescere in voi il rispetto per il vostro partner e assicurare così il pieno godimento del matrimonio che è un dono di Dio? Se siete singoli, quali caratteristiche maschili o femminili vi rendono un segno dell’amore di Dio e della sua apertura a tutti? Nella preghiera, meditate sulla integrità e sulla buona salute della vostra personalità, come Dio vuole che sia. Domandate di avere una maggiore dedizione agli altri nelle varie relazioni della vostra vita.

+ Preghiera. – Signore, mostrami quanto la castità significhi riservare il meglio di me stesso a te mentre condivido il meglio di te con gli altri. Amen.

 

 

 

 

 

Riflessione 21

Giovani: speranza del futuro

Voi siete la speranza della chiesa e del mondo. Voi siete la mia speranza. (Giovanni Paolo II, Varcare le soglie della speranza, p. 140)
 
 
I giovani sono la speranza delle nostre famiglie, del nostro paese, della nostra chiesa e del mondo. In virtù del posto d’onore che i giovani occupano, i francescani secolari stanno rinnovando gli sforzi per offrire un posto dove i giovani possono apprendere lo stile di vita cristiano-francescano (per informazioni sui gruppi della vostra zona, telefonate al convento francescano più vicino).
Il Vaticano II ha chiamato tutti i cattolici a operare per un mondo migliore, a vedere il mondo stesso come una creazione divina, talvolta distorta e maltrattata, ma sempre santa e meritevole di rispetto. Siamo tutti chiamati a rendere questo mondo un luogo dove poter vivere nel miglior modo possibile sia per i giovani come pure per i meno giovani.   Che ci piaccia o no, il mondo ci travolge come un’inondazione. L’elettronica e la tecnologia, impensabili fino a dieci  anni fa, probabilmente rappresentano il simbolo più eloquente di ciò che è accaduto. Quasi senza che ce ne rendiamo conto, vediamo gli eventi che accadono nel mondo. Comunichiamo con la gente ovunque e istantaneamente.
In parte per vocazione, dunque, e in parte per la natura stessa delle cose, siamo immersi in un mondo nello stesso tempo buono-cattivo. E ci siamo abituati a una quantità di cose. Ma lo siamo veramente? La gente più anziana oggi è, o era in passato, sorpresa, preoccupata o scioccata per gli effetti della rivoluzione sessuale: la convivenza; studenti universitari, delle scuole superiori e perfino delle medie che praticano il sesso come ricreazione; la pornografia; l’attivismo omosessuale; la quasi nudità in alcune tendenze della moda; il materialismo dilagante. Come può un cristiano, particolarmente se giovane, essere “in” questo mondo e non essere “di” esso?

A che cosa ci chiama Cristo

Ci si abitua a tutto e oggigiorno è scomparsa per fortuna quella morbosa preoccupazione sui rischi più lievi del peccato sessuale, che un tempo invece era piuttosto comune. Ma dove stanno i limiti? Che cosa sono gli ideali di castità che non mutano mai? Non cominciamo con un elenco di azioni sbagliate, bensì con un elenco di azioni sbagliate, bensì con un atteggiamento corretto: ogni essere umano è sacro a Dio, riscattato dal sangue di Cristo, e su di esso si libra lo Spirito. La persona intera, corpo e spirito indivisibili, è sacra. Io non posso usare né abusare della mente di una persona, o delle sue capacità, dei suoi sentimenti, del suo corpo, per scopi egoistici. Che sia per gratificazione sessuale, materialistica o intellettuale, non posso mai considerare un’altra persona come una “cosa”.
Soltanto un tale profondo amore cristiano per il prossimo può tener testa al richiamo di ogni possibile piacere odierno. Discussioni rumorose e sapientemente organizzate si riversano su di noi ventiquattro ore al giorno. “Avete il diritto di essere liberi”, “Pensa ai fatti tuoi”. “E’ denaro mio. Me lo sono guadagnato e posso spenderlo come mi pare e piace”. “Sono solo affari miei”. “Non stiamo facendo del male a nessuno”. “Ci amiamo reciprocamente”. “Siamo adulti consenzienti”. “E’ solo un film. Che cosa c’è di sbagliato nel vederlo?”. L’elenco potrebbe continuare.
Un cristiano è convinto che l’atto del rapporto sessuale sia riservato, per legge divina, a coloro che mediante un consenso d’amore si sono donati l’uno all’altro per tutta la vita nel matrimonio. Poiché è così, si deve cercare di compiere uno sforzo mediante la ragione e la preghiera per controllare gli atteggiamenti, le espressioni, le simpatie, i coinvolgimenti emotivi, gli stimoli visivi della tivù, del cinema e perfino della musica, che talvolta possono rendere irresistibilmente affascinante il rapporto sessuale. Gli stili cambiano, la conoscenza e la maturità crescono, ma la natura umana rimane la stessa. Non siamo ancora “cresciuti” o abbastanza “grandi”, al punto che i normali pericoli legati al tatto, alla fantasia, alle letture, ai divertimenti, agli appuntamenti amorosi, siamo diventati di poco conto. Se le cose stessero così, una grossa parte della nostra pubblicità sarebbe scomparsa da molto tempo.

 

 

La responsabilità

Ma, ancora una volta, non abbiamo bisogno di fare per prima cosa un elenco di “occasioni di peccato”. Ciò di cui abbiamo bisogno per prima cosa è un profondo senso di responsabilità. Potete essere uno studente dell’ultimo anno delle superiori, oppure uno studente universitario specializzando in economia e commercio. Siete parte di un gruppo di persone chiamate individualmente e come comunità a essere il corpo di Cristo. Avete la forza di rispondere a quella chiamata coraggiosamente e con fedeltà. Possedete dentro di voi la santità e il potere dello spirito proprio di Cristo. Potete rispondere alla chiamata di “glorificare e portare Dio nel vostro corpo” (cf. 1Corinti 6,20). Potete essere un efficace testimone della presenza  di Cristo nella peggiore delle circostanze. Il vostro altruismo, il rispetto per gli altri, il desiderio delle cose materiali, le opere buone  che fate per migliorare la vita altrui, il rispetto per il vostro corpo e per e per quello degli altri come parte della vostra totale adesione cristiana a Cristo parlano a ogni persona che incontrate. Gli altri possono non ammetterlo. Possono considerarla cosa ridicola, con imbarazzo. Possono reagire con irritazione, ma non possono evitare di coglierne il messaggio.

Prepararsi per l’impegno di una vita

Molti giovani si sentono chiamati al sacramento del matrimonio. Si preparano e vengono formati ad assumere quell’impegno sin dal momento della nascita, facendo esperienza dell’amore di buoni genitori, imparando l’altruismo, il rispetto, la preoccupazione e la responsabilità.
Prima di affrontare il matrimonio o la vita da adulti singoli con successo, gli individui devono imparare a vivere per gli altri, non solamente per se stessi. Possono trovare gioia nello sfruttare la creatività e l’energia della giovinezza facendo dello sport, dedicandosi alla musica, all’arte, a progetti di lavoro nelle aree povere della propria città, o visitando gli anziani soli nelle case di riposo. Tali attività creano stili di vita moralmente sani. L’autostima cresce mano a mano che i giovani scoprono i doni ricevuti da Dio, che possono utilizzare per rendere il mondo un posto migliore e per far diventare se stessi delle persone migliori.
Il posto che l’aspetto fisico occupa nella vita fa parte di quell’apprendimento. I giovani imparano ad accettare la propria sessualità come parte stupenda ed essenziale della loro personalità, ma non come il solo modo di esprimere la vitalità. Essi osservano individui la cui vita è naufragata a causa di una percezione distorta dei valori. E, per la grazia ricevuta da Dio, essi scelgono di vivere la vita nella devozione a Cristo, vita in cui essi sono esseri pienamente sessuali, con caratteristiche totalmente maschili o femminili, che cercano sempre di divenire più aperti e maturi. Essi imparano che il possesso dei beni materiali non assicura la felicità. Con una più profonda comprensione di ciò che nella vita ha valore essenziale al momento di affrontare il matrimonio, essi si sentono pronti a cogliere le nuove sfide, i piaceri e le sofferenze, le opportunità di crescita che quella particolare relazione offre. Essi imparano, inoltre, che alcuni sono chiamati a vivere da non sposati, uno stato di vita verso il quale si possono incamminare in modo casto e celibe.

La vita religiosa

Fare voto di castità come membro di un Ordine religioso o di un istituto secolare rappresenta un modo per ricordare agli altri che l’amore di Dio è a disposizione di tutti. Un religioso non ha preso in precedenza un impegno matrimoniale verso qualcuno. Perciò, egli o ella possono rendersi disponibili nei confronti di chi è bisognoso. L’Amore vissuto nel matrimonio è segno di quanto particolarmente Dio ci ami. L’amore donato da coloro che sono votati alla verginità è segno di come Dio ci ami universalmente. La chiesa ha bisogno di entrambi i “promemoria”.
Unirsi a un gruppo di giovani associato all’Ordine francescano secolare è un altro modo per trovare persone che condividono gli ideali cristiani, che lavorano per la giustizia nel mondo e che facendo ciò si divertono moltissimo!

+ Domande per la riflessione.- Qual è l’atteggiamento principale della nella virtù della castità, sia per sposati che per non sposati? Quali sono i valori che le attività moralmente sane portano ai giovani? La sessualità è qualcosa di “aggiunto” alla personalità umana oppure ne è un ingrediente essenziale? Perché se si parla di giovani la castità viene messa in rilievo?

+ Connessioni bibliche e francescane. – La salvezza per mezzo di Cristo nella Lettera ai romani, capp. 5-8, 12,13. Larranaga, Nostro fratello, pp. 171-172.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Gli ideali del cristiano dovrebbero essere così nitidi da poter essere percepiti da altri? In che modo potete formarvi una moralità per quanto concerne cinema, libri e cose simili? A che scopo prendere appuntamenti per uscire con un ragazzo e una ragazza? Pregate per la grazia di essere rispettosi verso voi stessi e verso gli altri, sia nella vita coniugale, che nella vita da singoli e in quella dei non ancora sposati.
+ Preghiera. – O Dio, guidami a condurre uno stile di vita che possa rivelare ai giovani che incontrano la gioia di vivere nel tuo Spirito. Riempimi di vero amore, anziché di ricerca del piacere, di desiderio di servire te anziché me stesso, nonché del coraggio di vivere secondo le tue leggi anziché secondo le tentazioni del mondo. Amen.

Dallo statuto della Gioventù francescana d’Italia (GiFra)

La GiFra è la fraternità dei giovani che si sentono chiamati dallo Spirito santo a fare l’esperienza della vita cristiana alla luce del messaggio di san Francesco d’Assisi, all’interno della famiglia francescana. (…) La GiFra offre il servizio fraterno e i mezzi per raggiungere la maturità umana, cristiana e francescana (…) secondo schemi propri delle necessità del mondo giovanile e della sua pedagogia.

Riflessione 22

Obbedienza

La regola e la vita dei frati minori è questa: osservare il santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza possedere nulla di proprio, e in castità. Frate Francesco promette obbedienza e ossequio al signor papa Onorio e ai suoi successori canonicamente eletti e alla chiesa romana. E gli altri frati siano tenuti a obbedire a frate Francesco e ai suoi successori. (San Francesco, Regola bollata, 1: FF 75-76)

La fondazione

San Francesco fondò un Ordine di fratelli. Ma lo fondò sulla solida roccia dell’obbedienza per due importanti ragioni: 1) che mediante l’assoluta e l’indiscutibile fedeltà alla chiesa, l’Ordine potesse evitare di naufragare nell’eresia nella quale erano caduti altri movimenti; 2) che i suoi fratelli e sorelle potessero avere, insieme alla povertà e alla castità, il terzo grande strumento che li potesse purificare e liberare dal proprio egoismo, cioè la rinuncia a ogni propria volontà in obbedienza a una Regola.
I francescani secolari, naturalmente, non fanno voto di obbedienza. Per loro, la Regola e le Costituzioni non sono per sé vincolanti sotto pena di peccato. Tuttavia, con il loro spirito di obbedienza, tutti i francescani secolari possono trarre beneficio dal consiglio evangelico dell’obbedienza.

Obbedienza alla chiesa

Di san Francesco e del suo amico san Domenico si diceva che fossero sempre in cammino avanti e indietro da Roma, per ottenere l’approvazione del papa alla propria opera. I fratelli e le sorelle di san Francesco non devono mai dimenticare di essere cattolici prima ancora che francescani. Anzi, più saranno buoni francescani, più riusciranno a essere migliori cattolici.

Il Santo Padre

La Regola dell’Ordine francescano secolare ci ricorda che l’Ordine si adegua “alle esigenze e alle attese della santa chiesa nelle mutate condizioni dei tempi. La sua interpretazione spetta alla Santa Sede”. I francescani secolari dovrebbero pregare per il papa, amarlo e obbedirgli in quanto roccia di unità e stabilità della chiesa.

Vescovi e sacerdoti

I vescovi sono i successori degli apostoli. Una delle più sconcertanti caratteristiche della vita di san Francesco fu la sua grande umiltà e la docilità nel trattare con i vescovi e i sacerdoti. Persino quando avrebbero potuto criticarli, o quando i sacerdoti non stavano palesemente compiendo il loro dovere, Francesco conservò un grande rispetto per i rappresentanti del clero. Egli non scelse di vincere alcuna battaglia contro  nessuno, tranne quella per ottenere il loro amore per mezzo della sua grande bontà e della sua umiltà. Un francescano secolare, come membro del Corpo mistico di Cristo, dovrebbe essere interessato alla sua diocesi o alla sua parrocchia, ed è chiamato a cooperare con il suo vescovo e il suo pastore.
Nell’Ordine

Il funzionamento e l’organizzazione dell’Ordine francescano secolare sono spiegati più avanti nel libro. Basti dire, qui, che ciascun membro dovrebbe cercare di possedere quella “obbedienza di carità” tipicamente francescana, tanto lodata da san Francesco. Nelle faccende riguardanti la partecipazione agli incontri, il ricoprire una carica, la contribuzione al benessere materiale e spirituale dell’Ordine, la cooperazione al benessere materiale e spirituale dell’Ordine, la cooperazione nelle opere delle commissioni apostoliche, l’obbedienza dei francescani secolari dovrebbero imitare l’umiltà e la carità di san Francesco.

Lo spirito di obbedienza

L’obbedienza non è solamente una necessità organizzativa. Ha in sé due scopi pieni di grazia. Per prima cosa, l’obbedienza costituisce un mezzo per arrivare all’abnegazione e al dono di sé. La povertà si sforza di renderci liberi dall’avidità. La castità è la ricerca della perfetta ragionevolezza nella santa sfera sessuale. L’obbedienza cerca di renderci liberi dall’ostinazione, dall’egoismo e dall’egocentrismo. L’obbedienza ci chiama ad esercitare l’autodisciplina, a cooperare e a obbedire secondo quanto dicono la Regola e le Costituzioni. Tale sforzo porterà a un grande risultato: la liberazione dall’egoismo e dall’orgoglio.

Donare se stessi mediante l’obbedienza

Un altro modo di guardare all’obbedienza di voto o di spirito è il capire che essa significa semplicemente “donare se stessi alla causa”. Tale causa è la missione della chiesa a vivere e a predicare il Vangelo. Mediante l’obbedienza mettiamo noi stessi a disposizione della chiesa per qualunque cosa essa ci chiami a compiere.

Crisi e critica

In tutto il mondo  si sta vivendo una “crisi delle autorità”. E’ diventato, infatti, difficile, per chiunque sia impegnato nelle autorità, guadagnare credibilità ed esercitare influenza, in parte perché le mancanze commesse dalle autorità vengono immediatamente fatte conoscere nei dettagli dai mezzi di comunicazione sociale (giornali, radio, TV, ecc.), in parte per un accresciuto senso del valore e della libertà di ciascun individuo. Ciò mette in evidenza la necessità di avere persone responsabili, capaci di cooperare con l’autorità in modo sincero e rispettoso.
Allo stesso tempo, non c’è bisogno di avere un atteggiamento noncurante o spensierato per essere obbedienti. Una sana, onesta espressione di opinione è sempre ben accolta da qualsiasi persona matura rivestita di autorità. Nessuno può considerarsi onnisciente. Ma abbiamo bisogno di scambiare idee gli uni con gli altri, di incoraggiamento e di giusta critica. Da questo si impara. Da questo si cresce e si matura.

+ Domande per la riflessione. – In che modo possiamo mettere a confronto l’obbedienza con la povertà e la castità? Quali due scopi può avere l’obbedienza?

+ Connessioni bibliche e francescane. – La purezza e il matrimonio, l’eucaristia in 1Corinzi, cap. 6,12-20, cap. 7, cap. 11,17-34, capp. 12-15. Larranaga, Nostro fratello, pp. 132-137

+ Applicazione alla vita quotidiana. – A quale autorità avete più difficoltà a obbedire? Qual è il modo più prudente di dare suggerimenti a coloro che esercitano l’autorità? Potete pensare a un sinonimo di obbedienza? Cercate di dare un suggerimento costruttivo a qualcuno costituito in autorità: in famiglia, nella chiesa, nello stato, o nella vostra comunità francescana secolare.

+ Preghiera. – Signore, ho bisogno di uno spirito pacificato, se mi ritrovo a lottare con ciò che mi insegna la chiesa. Fa’ che io sia sempre consapevole che questa è la tua chiesa. Tu ne sei il capo. Tu ne avrai sempre cura. Rendimi un seguace obbediente. Amen.

 

PARTE TERZA

LA PREGHIERA

La preghiera è il mezzo che Dio ci ha donato mediante il quale intraprendiamo il nostro viaggio spirituale nella vita. Possiamo imparare a memoria tutta la Sacra Bibbia. Possiamo leggere libri voluminosi su Francesco, Chiara e altri santi o sulla storia della chiesa. Possiamo compiere buone azioni che portano gioia al mondo. Ma se non preghiamo perdiamo quell’intima unione con Dio che ci è stata promessa. Gesù disse: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giovanni 14,6). Noi andiamo a Dio attraverso Gesù, attraverso la preghiera. Le riflessioni che seguono potranno aiutarvi ad approfondire e ad ampliare la vostra vita di preghiera. Dovunque siate giunti nel vostro cammino di preghiera, questo è un buon punto di partenza. Ora Gesù vi sfida a desiderare di più dalla preghiera. Siate pronti a dare e ricevere di più, molto di più.
    

Riflessione 23

Lo Spirito e la pratica della preghiera

Francesco non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto fu tutto trasformato in preghiera vivente. (Tommaso da Celano, Vita Seconda, 95: FF 682)

L’uomo raggiunge la pienezza nella preghiera non quando vi esprime maggiormente se stesso, ma quando lascia che in essa si faccia più pienamente presente lo stesso Dio. Lo testimonia la storia della preghiera mistica in Oriente e in Occidente: san Francesco, santa Teresa d’Avila, san Giovanni della Croce… (Giovanni Paolo II, Varcare le soglie della speranza, p. 17).

Lavorare all’amore

Le aule sovraffollate dei tribunali per le cause di divorzio sono una drammatica prova del fatto che gente che si era “innamorata” può altrettanto “disinnamorarsi”. Non importa quanto a noi piacerebbe pensare che l’amore zampilli “naturalmente” per sempre come una fontana; la dura realtà della vita è che l’amore assomiglia, piuttosto, a un giardino. I giardini per fiorire richiedono del duro lavoro. Devono essere nutriti, ripuliti delle erbacce, annaffiati. Il lavoro che si fa nel giardino dell’amore può essere chiamato preghiera. Questa non è una definizione molto romantica, ma nasce dall’esperienza della fragilità umana.
Le persone che si disinnamorano, partendo dal presupposto che in un primo momento fossero davvero innamorate, sono quelle che tralasciano di coltivare un’autentica intimità. Marito e moglie possono essere molto indaffarati nel fare cose che presumibilmente esprimono amore – mettere in ordine la casa, portare i bambini a scuola, alla lezione di musica, o all’allenamento di calcio, riparare, risparmiare, affannarsi di compito in compito -, ma se in quella vita frenetica non si fermano un momento, solo per sedersi l’uno accanto all’altro in tranquilla ma autentica comunione di sentimenti, essi si troveranno in un vicolo cieco.
Così accade anche nel nostro rapporto con un Dio che no vediamo. Possiamo essere molto occupati a servire Dio, ma se non lavoriamo regolarmente per ottenere una semplice intimità con lui, finiremo anche noi con un effettivo o equivalente “divorzio” da Dio.

Niente orologi, per favore

Ci piacerebbe poter affermare in nostra difesa: “Ma tutta la mia vita è una preghiera! Perché preoccuparmi di qualche suo aspetto in particolare?” E’ una tentazione allettante, che può ottenere il supporto della famosa frase di san Francesco: “Lo spirito di preghiera e devozione, al quale tutte le cose temporali devono essere sottomesse”. Ma l’analogia con il matrimonio è ancora valida: marito e moglie si logorano facendo ogni sorta di cose laboriose l’uno “per” l’altro e per la famiglia. Tuttavia, pur presumendo che questo aspetto esteriore del loro mènage sia importante, se non viene regolarmente nutrito dalla personale comunione, può diventare un surrogato del vero amore, o una fuga da esso. La preghiera è l’atto del pregare e nient’altro. La preghiera non è “offrire” il nostro lavoro di lavare i piatti, tagliare l’erba del giardino, spalare la neve e sostituire la gomma dell’auto. La preghiera è guardare a Dio, ascoltare Dio, rispondere a Dio e a nient’altro.

Lo scopo della preghiera

Avendo discusso (forse fin troppo a lungo) sul tempo da dedicare alla preghiera, possiamo essere più preparati a prendere seriamente lo scopo e il valore della preghiera. Osserviamo il problema più ampiamente.
La preghiera è semplicemente la risposta della persona umana al proprio personale avvicinamento a Dio. Essa non tratta Dio come se fosse un inavvicinabile presidente o un sovrano ai quali doverosamente paghiamo un tributo in cambio dei benefici della cittadinanza. La preghiera si leva al di sopra della tentazione di credere che Dio ha così tanti figli da non riuscire, forse, a interessarsi anche a noi. La preghiera crede – talvolta con difficoltà – che Dio vuole un rapporto personale con noi, che sia unico, completamente diverso dalle altre relazioni che egli ha. Il nostro rapporto con Dio dipende da come gestiamo il nostro rapporto con gli altri. Tuttavia nel cuore stesso della nostra vita c’è la chiamata alla personale intimità con Dio, Padrenostro, nostra madre e nostro Creatore. Dio ci ha fatti per sé. Noi raggiungiamo il nostro obiettivo ricevendo Dio, non in modo meccanico, ma consapevole, volenteroso, rispettoso e gioioso.

Gli ingredienti della preghiera

Allora, cos’è la preghiera? E’ due cose. E’ la nostra unica e personale risposta alla costante offerta di sé da parte di Dio. La preghiera è quella risposta che rimane separata dal resto della nostra vita allo scopo di poter essere l’anima di tutti gli altri momenti. La preghiera consiste nel pregare e nient’altro. La preghiera è comunione diretta con Dio.
Una volta che si è fissato questo concetto, per quanto riguarda i dettagli abbiamo un numero quasi infinito di possibilità di scelta. Questo non vuole dire che tutte le strade portano al centro; piuttosto, è come dire che una volta che ci si è presi cura del centro, tutte le strade portano dal centro a Dio.
La prima parola della preghiera può essere”io”, ma un inizio è senz’altro con il “tu”. Il punto centrale si colloca in Dio. San Francesco ci dà un esempio perfetto di questo nelle sue Lodi d Dio Altissimo (cf. FF 261).

Tu sei santo Signore Dio unico che fai cose stupende. Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei l’altissimo (…).  Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza. Tu sei umiltà (…). Tu sei bellezza. Tu sei mitezza (…). La nostra felicità è nel lodare la gloria e la bontà di Dio: ti rendiamo grazie per la tua gloria grande.

La seconda parola nella preghiera può essere “io”. “Io ammetto il mio peccato, la mia debolezza. Credo nella tua misericordia. Mi dispongo alla tua consolazione. Confido in te. Sono convinto che la tua presenza e la tua forza in me sono la sorgente di ogni santità. Ti domando fiducioso tutto ciò di cui ho bisogno: la salute e il benessere dei miei amici e dei miei nemici, la pace e la giustizia per la tua chiesa e per la salvezza del mondo”.

+ Domande per la riflessione. – Che cos’è l’elemento fondamentale in ogni relazione personale? Che cos’è la preghiera? La vostra preghiera è cambiata nel corso degli anni?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Il cantico dei tre giovani in Daniele, cap. 3. Larranaga, Nostro Fratello, pp. 328-332.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Quale dovrebbe essere la prima parola pronunciata in preghiera? In che modo Dio entra nella vostra preghiera? Se già non lo state facendo, riservate un’ora precisa della vostra giornata alla preghiera, magari non appena vi alzate al mattino,qualunque momento sia per voi il più tranquillo.

+ Preghiera. – Aiutami a ricordare e a vivere le parole di san Francesco, o Dio, in modo che se sono turbato per qualsiasi ragione, io possa immediatamente risollevarmi con la preghiera e rimanere alla presenza di te, Altissimo Padre, per tutto il tempo ti occorre a restituirmi alla gioia della mia salvezza. Amen.

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

8 – Come Gesù fu il vero adoratore del Padre, così i francescani secolari facciano della preghiera e della contemplazione l’anima del proprio essere e del proprio operare.
Partecipino alla vita sacramentale della chiesa e soprattutto all’eucaristia. Si associno alla preghiera liturgica in una delle forme proposte dalla chiesa, rivivendo così i misteri della vita di Cristo.
Riflessione 24

Pregare con la parola di Dio

Con lo sguardo implorante sul santo volto di Gesù, Francesco pronunciò questa preghiera: “Altissimo e glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core mio et dame fede diricta, speranza certa e carità perfecta, senno et cognoscemento! Signore,  che io faccia lo tuo santo e verace comandamento. Amen.  (J. Joergensen, San Francesco d’Assisi, p. 127: cf FF 276.

Usare la Bibbia

La presenza di Gesù non è limitata alle apparenze del pane e del vino. Insieme a Dio e allo Spirito Santo, egli è presente ovunque, ma in un modo personalissimo ai suoi fratelli e sorelle, buoni e cattivi. Dio ci parla attraverso molteplici mezzi: le voci e gli esempi che vengono dagli altri, la nostra esperienza della grazia e del peccato, la bellezza e il mistero della natura, ma in particolar modo Dio ci parla attraverso la sua Parola ispirata, cioè la Bibbia. Il Vaticano II ci ricorda la presenza di Cristo nel momento in cui la Scrittura viene letta in chiesa. Possiamo essere certi di una presenza particolarmente forte quando accogliamo le sue parole con rispetto.

I libri della Bibbia

Lo studio della Bibbia non è preghiera bensì preparazione alla preghiera. Tuttavia, una certa conoscenza storica dei vari libri biblici è essenziale per un suo fruttuoso utilizzo in preghiera. E’ auspicabile che i francescani secolari sfruttino le opportunità offerte dai gruppi di studio biblico o formino il proprio gruppo di studio. Se qualcuno preferisce studiare privatamente, sono disponibili in commercio molti libri di commento sui vari libri della Bibbia. In questa sede non possiamo fare molto più che offrire una panoramica molto semplificata dell’intera Bibbia e del suo contenuto. Essa si divide in due grandi parti: l’Antico e il Nuovo Testamento.

1 – L’Antico Testamento (conosciuto anche come Scritture ebraiche) si compone di quarantasei libri, che si possono così raggruppare: – Il Pentateuco comprende i primi cinque libri, chiamati anche la Torah o la Legge. Essi ci raccontano come Dio salva e stabilisce il suo popolo e sono: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio; inoltre si aggiungono i libri di Giosuè, Giudici, Rut (in tutto otto libri). – I libri storici mostrano lo svolgimento del piano salvifico di Dio: primo e secondo Samuele, primo e secondo Re, primo e secondo Cronache, Esdra, Neemia, Tobia, Giuditta, Ester, primo e secondo Maccabei (tredici libri). – I libri sapienziali o didattici toccano concretamente i vari problemi della vita, con la poesia e la preghiera e sono: Giobbe, Salmi, Proverbi, Qoelet, Cantico dei cantici, Sapienza, Siracide (sette libri). – I libri dei profeti, che sono chiamati la “coscienza di Israele”, riportano il messaggio di Isaia, Geremia, Lamentazioni, Baruc, Ezechiele, Daniele, Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia (diciotto libri).

2  – Il Nuovo Testamento si compone di ventisette libri distribuiti in quattro blocchi: – I quattro vangeli: Matteo, Marco, Luca, Giovanni, che raccontano la storia di Gesù. – Gli Atti degli apostoli: che narrano la storia della chiesa primitiva. – Le Lettere di Paolo, Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda, che interpretano il significato della vita di Gesù, della sua morte e risurrezione e della sua esaltazione. – Il libro dell’Apocalisse che infonde speranza nella persecuzione.
Un totale di settantatre libri compone la “biblioteca” che chiamiamo la Sacra Bibbia. Della Bibbia sono disponibili diverse buone traduzioni. Due tra le scelte più eccellenti sono: 1) La Bibbia CEI, pubblicata nel 1971, che è il testo oggi usato anche nella liturgia; 2) La Bibbia di Gerusalemme, pubblicata nel 1974, che possiede un ottimo commento ed è ricca di note esplicative.

La preghiera non è studio

Lo studio della Bibbia è una cosa buona; ma la preghiera è un’altra cosa. Quando usate la Bibbia per pregare, state semplicemente accingendovi all’ascolto di Dio, aprendo la mente e il cuore. Siete convinti che in quel momento Dio vi stia parlando personalmente. Forse avete bisogno di usare l’intelletto per capire che cosa veramente intendessero esprimere le parole umane del testo, all’epoca in cui la Sacra Scrittura fu redatta; ma la preghiera non lascia il tempo di preoccuparsi o farsi distrarre da problematiche riguardanti l’autore, la storia, la grammatica e la diversità di opinioni critiche. Leggete con calma, lentamente, in atteggiamento di preghiera. Stendente un programma, ma non cercate di fare tanti “metri2 al giorno. Per esempio, potreste essere impegnati a pregare con il Vangelo di san Matteo. Studiare quel libro potrebbe richiedervi sei mesi. Per pregarlo, invece, potrebbero essere necessari sei anni, o tutta la vita. Dovete semplicemente scegliere un verso o due, o quanti ne ritenete necessario, e ascoltare ciò che Dio vi sta dicendo nella circostanza che state vivendo nella giornata. Che cosa, Dio, vi sta chiamando a essere o a fare? Quali azioni di Dio si stanno per illuminare? Quale realtà della vostra vita – buona o cattiva – vi sta indicando Dio? Quale spinta sta nascendo in voi?.
Pregare la Bibbia secondo questo metodo talvolta si chiama lectio divina. La lectio divina si compone di quattro passaggi, e benché sembri semplice, il procedimento richiede tempo.
1 – Leggere. Leggete un passo della Scrittura lentamente, meditando, se volete anche ad alta voce.
2 – Riflettere. Chiedete che cosa ha da dirvi la Scrittura in questo particolare periodo della vostra vita. Che cosa vi stia dicendo Dio attraverso la Scrittura?
3 – Reagire. Come vi fa sentire la Scrittura? Siete disposti ad agire nel modo in cui sembra spronarvi Dio, o percepite la vostra resistenza? Parlate a Dio della vostra reazione.
4 – Ricevere. Mettetevi a sedere tranquillamente con la Bibbia in mano e il messaggio che essa vi ha portato, e siate pronti a ricevere ciò che Dio ha per voi. Le intuizioni, le ispirazioni e le sfide che vi arrivano sono un dono di Dio. Ricevete quel dono con cuore grato.

Dio parla, noi rispondiamo

Ora, non potete scrivere un copione per gli innamorati, sebbene Hollywood e le televisioni ci provino. Ogni coppia, infatti, esprime la propria relazione con parole, silenzi, sguardi, gesti, atteggiamenti, azioni e modi che sono unici ed esclusivi. Lo stesso vale per noi nel nostro rapporto con Dio. Non c’è nessun copione, per nessuno, da seguire. Ci sono delle direttive generali (cf. Riflessione 25), ma ciascuno di noi reagisce secondo la sua personale formazione. Alcuni sono emotivamente più entusiasti di altri. Alcuni pregano più a lungo di altri. Alcuni sono fantasiosi. Altri invece sono più formali. Ma in tutti i casi, preghiera autentica significa affrontare la realtà di Dio con mente e cuore puri, e con il dare la risposta umana che la verità illuminata dallo Spirito richiede.

I Vangeli, regola della nostra vita

Francesco fu un uomo che Dio volle guidare fino a una venerazione quasi estatica della sua Parola. La Bibbia fu la fonte della sua originaria ispirazione. La sua prima Regola era una raccolta di passi biblici. Quando non poteva partecipare alla messa giornaliera, si faceva leggere il Vangelo del giorno del messale. Egli diceva: “Se non posso essere presente alla messa, adoro il corpo di Cristo in meditazione e con gli occhi dell’anima, allo steso modo che se fossi presente alla messa”.

+ Domande per la riflessione. – Potete elencare le quattro principali suddivisioni del Nuovo Testamento? Potete farlo anche per l’Antico Testamento?  Come si può usare la Sacra Scrittura per la preghiera? Qual è la differenza fra lo studio della Bibbia e la lectio divina?

+ Connessioni bibliche e francescane. – La preghiera di Gesù nell’Ultima Cena in Giovanni cap. 17. Larranaga, Nostro fratello. Pp. 194-197.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Riflettete su una situazione della vostra vita che esige una decisione. Mentre pregate la Bibbia, chiedete a Dio la sapienza necessaria per raggiungere una decisione saggia per quella circostanza. Potreste tenere un diario della vostra esperienza di preghiera con la parola di Dio. Scegliete un breve passo dalla Bibbia, e pregate la Bibbia ogni giorno, annotando le intuizioni che nascono dalla vostra preghiera.

+ Preghiera. – Gioirò in te, Signore, sempre. Gioirò perché conosco la tua bontà e voglio condividerla con gli altri. Tu sei vicino. Non mi inquieterò, ma ti farò conoscere le mie necessità in ogni circostanza, attraverso la preghiera e con il rendimento di grazie. O Dio, pace che oltrepassa ogni umana comprensione, poiché custodisci il mio cuore e la mia mente. Nel nome di Gesù, amen. (cf. Lettera ai Filippesi 4.4-7).

Riflessione 25

Un metodo di preghiera

“Rapisca, ti prego, Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore, la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell’amore tuo, come tu ti sei degnato morire per amore dell’amore mio”. (San Francesco, Preghiera “Absorbeat”: FF 277)

La meditazione non dovrebbe diventare un esercizio intellettuale, un periodo di studio o un complesso procedimento che si suppone produca un risultato pieno di grazia. La meditazione è un metodo, ma è il metodo di tutti. Può essere il vostro. La meditazione è meglio praticata da coloro che hanno un animo ingenuo, sincero e umile.
La meditazione è semplicemente la preghiera che ha origine nella nostra mente e nel nostro cuore se la paragoniamo con le formule fisse delle preghiere che altri ci hanno dato o scritto, per esempio, gli atti di fede, speranza e carità, che troviamo stampati nei libri. La meditazione è un atto informale, sebbene possa seguire un piano generale. La meditazione è come la conversazione di un bambino con il proprio padre o la propria madre: perfettamente aperta, semplice, e piena di un grande desiderio di compiacere Dio.

Un metodo

Questo tipo di preghiera implica un po’ di conoscenza affinché possa essere ben fatta:

1 – Create circostanze favorevoli. Scegliete un periodo di tempo –dieci, quindici minuti, mezz’ora o un’ora – durante il quale normalmente non siete disturbati. Per molta gente questo significa scegliere il mattino presto, prima che il ritmo della giornata diventi frenetico. Restate fedeli a quell’orario, indipendentemente da come vi sentite o da quali attività quel tempo mette a rischio. E’ stato detto che Dio redime il tempo dedicato alla preghiera.

2 – Chiedete allo Spirito Santo di aiutarvi ad aprirvi alla sua luce e al suo calore. Credete nella amorevole presenza di questo dono di Dio attraverso Gesù e attendetevi che la grazia di Dio vi risani e vi ricrei. Sedetevi ad attendere immersi in quella Presenza.

3 – Lentamente, leggete un passo della Bibbia. Non state cercando di scorrere un intero capitolo. Forse un solo versetto è sufficiente. Cercate, se possibile, di entrare nella scena con l’immaginazione. Pensate che Gesù stia dicendo quelle parole a voi, e compiendo quelle azioni per voi. Osservate in particolare i suoi sentimenti, come egli vede e risponde alla verità di Dio attraverso i suoi atteggiamenti e le sue reazioni alla situazione. Mentre state leggendo, fermatevi, forse subito, forse dopo un po’ di tempo, e parlate a nostro Signore di ciò che avete letto, di ciò che egli vi sta personalmente dicendo. La preghiera è la nostra risposta al Signore. Voi sperimentate la verità; ascoltate Cristo che vi parla in essa. Rispondete. Quella è la preghiera.

4- Alcune persone si trovano bene a scrivere i loro pensieri e le loro risposte. Potreste desiderare di conservare i vostri pensieri in un taccuino o in un diario, che sia per voi soltanto.

Un esempio: Testo: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Giovanni 15,5) – Domanda: Come “rimarrò” in Cristo? Come posso fare quello che avrebbe fatto o detto Cristo? In un esempio particolare? Esempi: a) Giorgio voleva vendicarsi contro qualcuno che lo aveva offeso. Gli venne in mente Cristo sulla croce, che perdonava, e scelse di rinunciare alla vendetta. b) Maria è sulla porta di casa e sta per uscire. Sua madre la richiama indietro per fare un piccolo lavoro domestico. Lei pensa alla pazienza di Cristo e ritorna in casa. c) Un infermiera deve prendersi cura di un paziente intrattabile. Pensa al modo in cui Gesù guariva e consolava, e quindi sorride amorevole al paziente. d) Marco ascolta pazientemente, proprio come faceva Gesù, qualcuno che racconta la sua lunga storia di dolore.

Altri esempi: a) Siete malati, sofferenti, stanchi, irritati. E’ un’opportunità per “completare nel vostro corpo ciò che manca alla passione di Cristo” (cf. Colossesi 1,24). b) Siete tentati di invidiare la persona che vi sta raccontando di un suo grande successo. Vi ricordate che Cristo avrebbe potuto cambiare tutto in un attimo e invece accettò la vita così com’era. c) State leggendo un libro interessante quando qualcuno vi interrompe per chiedere il vostro aiuto. Vi viene in mente che “Cristo si alzò e li seguì” quando giunsero per chiedergli aiuto (cf. Matteo 9,19). d) Vedete gente che cammina per le strade e vi ricordate che Cristo percorse le strade della Galilea. Allora vedete Cristo nei volti della gente che cammina nella vostra città

La presenza di Cristo

Gradualmente, Cristo ci diviene più vivido. Cercando di vivere come lui, impariamo ad amarlo di più. Certi aspetti della sua persona cominciano a rispondere ai nostri desideri più intimi. Non stiamo semplicemente scoprendo la bellezza di una verità, bensì stiamo imparando ad amare una persona. Cristo diventa qualcuno vivo e presente. Non lo sto solamente seguendo. Più è dettagliato il confronto tra la vita di Cristo e la mia, più io posso dire: “Non sono io che vivo, ma Cristo vive in me”. Questo è quanto fece Francesco. Questo è ciò che siamo chiamati a fare.

Reazione

Forse è bene sottolineare ancora una volta che la vostra reazione è la vostra preghiera. In che modo reagirete? Dipende dalle circostanze. Potete provare amore, odio, gioia o dolore. Vi potreste sentire inondare da desiderio, ira, paura o speranza, vergogna, determinazione, fiducia o umiltà. Ci sono molti modi di reagire alla verità di Dio.
La vostra reazione potrebbe tradursi in delizia, ammirazione, adorazione, rendimento di grazie. Oppure in umile richiesta, in scuse, pace o generosità. Qualunque sia la vostra reazione, lasciate che raggiunga Cristo, vostro fratello, con tutto il cuore e in tutta sincerità. Se fate esperienza anche solo di uno di questi sentimenti o atteggiamenti per mezz’ora, non importa. Siate voi stessi, siate bambini, confidate in Dio.
Sopra ogni cosa, ricordate questo. La vostra preghiera non dipende da quanto successo avete nella vita. Vi potete sentire infelici. Dio vi sembra lontano un milione di miglia. Ebbene, Dio accetterà la vostra preghiera non sulla base di come vi sentite ma perché lo avete raggiunto mediante essa.
 
5 – Infine, sarà necessario concludere il vostro tempo di  preghiera in modo appropriato. Concludete la vostra preghiera con queste parole: “Ti ringrazio, Dio, per avermi aiutato a pregare”. Quindi fate una piccola promessa, soltanto una, perché vi aiuti ad amare di più Dio. E la vostra vita diventerà completamente diversa!

+ Domande per la riflessione. – Descrivete la meditazione il più semplicemente possibile. Quale parola descrive meglio la preghiera?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Il ritorno di Cristo in 1 e 2 Tessalonicesi. Larranaga, Nostro fratello, pp. 271-275.

+  Applicazione alla vita quotidiana. – Qual è per voi il momento migliore per pregare? Buttate giù qualche frase per aiutarvi a tenere in mente un semplice metodo di preghiera. Decidete di riservare alla preghiera un particolare momento della giornata, e tenete fede all’impegno tutti i giorni indipendentemente da come vi sentite.

+ Preghiera. – Signore, spesso prego con molte parole. Ma ora ti offro la mia preghiera di ascolto in silenzio alla tua santa presenza… Amen.

 

 

 

 

 

Riflessione 26

Cristo si unisce a noi nella sua preghiera: la liturgia

E il Signore mi diede tanta fede nelle chiese che io così semplicemente pregavo e dicevo: “Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero, e ti benediciamo perché con la tua santa croce hai redento il mondo”. (San Francesco, Testamento: FF 111)

Che cos’è la liturgia?

Il punto culminante della creazione è Cristo, il perfetto adoratore di Dio, il perfetto innamorato di Dio, la preghiera perfetta. Il Figlio di Dio legò personalmente a sé la natura umana. Unito così a tutto il creato, egli ha unito misticamente se stesso a tutti coloro che si aprono alla sua chiamata. Oggi egli continua la sua opera di salvezza mediante ilo corpo che egli raduna intorno a sé: la chiesa. Attraverso questa azione, Cristo continua la sua preghiera, la sua offerta, la sua opera di guarigione, il suo dono di vita.
Ogni celebrazione liturgica (l’eucaristia, gli altri sacramenti, la Liturgia delle Ore, i riti sacramentali) è un atto del Cristo sacerdote e del suo corpo, la chiesa. Nella liturgia, si compie la piena adorazione collettiva mediante il corpo mistico di Gesù, dal capo e dalle sue membra.
Cristo associa sempre la chiesa a se stesso nell’opera veramente grande della lode perfetta rivolta a Dio e della santificazione dell’ umanità. La chiesa è la sua amatissima sposa che invoca il suo Signore  e per mezzo di lui offre adorazione al Padre eterno.
Cristo è sempre presente nella sua chiesa, ma lo è in particolare nelle celebrazioni liturgiche. Egli è presente nel sacrificio della messa, non solo nella persona del sacerdote (Gesù, che un tempo offrì se stesso sulla croce, continua il sacrificio attraverso il ministero sacerdotale), ma soprattutto sotto i segni del pane e del vino. Egli è presente mediante il suo potere nei vari sacramenti, così che quando un essere umano dà il battesimo, è veramente Cristo che battezza. Egli è presente nella sua Parola, poiché è egli stesso a  parlare quando la Sacra Scrittura viene letta in chiesa. Infine, egli è presente quando la chiesa prega e canta, poiché ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Matteo 18-20).
 Le affermazioni che abbiamo appena esposte ripropongono nella sostanza ciò che dice il grande documento del Vaticano II sulla liturgia. Il Vaticano II ci ricorda che la liturgia è il mezzo principale mediante il quale i fedeli possono esprimere nella loro vita nonché manifestare agli altri il mistero di Cristo e la vera natura della chiesa.
Il “mistero di Cristo” sta nel fatto che egli rivela la misericordia di Dio nella natura umana e ci salva con la sua vita piena d’amore, con la sua morte e risurrezione. La “vera natura della chiesa” consiste nel suo essere consapevolmente, liberamente, responsabilmente unita a Cristo nella sua opera. La chiesa è segno e sacramento di Cristo nel mondo, oggi. Non possiamo più vederlo, eppure dobbiamo continuare a vederlo. Egli è visibile nella sua chiesa, un corpo di persone riunite insieme, non soltanto per il fatto di essere fisicamente vicine l’una all’altra nello stesso edificio, ma unite nella sua grazia, consapevoli di percepire ed esercitare la loro responsabilità le une verso le altre e nei confronti del mondo.

L’eucaristia

La messa, dunque, è molte cose. La celebrazione dell’eucaristia rende presente il sacrificio di salvezza di Cristo. In essa Cristo si unisce al suo popolo in un solo corpo proteso in adorazione. E’ il corpo di Cristo – individui che liberamente si uniscono ad altri – che accetta la salvezza di Cristo. La messa è il Cristo che adora, la chiesa è qui con lui in adorazione.
Qui la parola chiave è “chiesa”. La chiesa non è qualcosa di astratto, molto lontano, che si trova “laggiù” da qualche parte. La chiesa non è il papa e i vescovi. Né è costituita da un popolo di persone particolarmente sante. La chiesa siamo tutti noi, che mediante la grazia divina volontariamente accettiamo la chiamata di Cristo ad essere salvati per suo mezzo come membri del suo corpo. La chiesa siamo noi!
Questa non è una spiegazione arbitraria o semplicemente funzionale. E’ nella vera natura delle cose: non posso amare Dio senza amare il mio prossimo e viceversa. Non posso amare Dio come essere umano senza esprimere questo amore mediante il mio corpo, in maniera visibile ed esteriore. Quindi la messa, e tutta la liturgia, esprime sia l’unione con Dio, sia quella con il prossimo. La chiesa, perciò, è insieme una comunità o una realtà sociale; una realtà dunque visibile, esterna, pubblica. Il suo scopo è quello di indicarci che tutto ciò che facciamo come cristiani è, in definitiva, diretto alla lode di Dio con Cristo nostro fratello.
+ Domande per la riflessione. – Chi agisce nella liturgia? Qual è la vera natura della chiesa? Perché l’adorazione deve essere sia pubblica e comunitaria, sia privata?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Il sacerdozio di Cristo nella Lettera agli ebrei, cap. 4,14-16, capp. 5, 6, 10, 12, 13. Larranaga, Nostro fratello, pp. 282-285

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Vi sentite pronti ad accettare la chiamata alla “piena, attiva e consapevole partecipazione” alla liturgia? Sentite la partecipazione come un vostro “diritto e dovere”? Ogni volta che prendete parte alla celebrazione della messa, provate a capire i vari modi di partecipare alla liturgia: “acclamazioni, risposte, salmodia, antifone, canti, atti, gesti, atteggiamenti del corpo, silenzio riverente”.

+ Preghiera. – O Dio, ti lodo e ti rendo grazie perché nel tuo nome ci raduni come un popolo che celebra la tua bontà. Desidero fare esperienza di te che sei presente nella liturgia e nelle persone dei miei compagni cristiani. Ti ringrazio per il privilegio di essere uno fra molti che ti amano. Amen.

Riflessione 27

Eucaristia: contemplare il mistero

Come egli apparve ai santi apostoli in vera carne, così ora si mostra a noi nel pane consacrato. E come essi con lo sguardo fisico vedevano solo la sua carne, ma contemplandolo con gli occhi della fede, credevano che egli era Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, vediamo e fermamente crediamo che il suo santissimo corpo e sangue sono vivi e veri. (San Francesco, Ammonizione 1: FF 144).

Contemplare il mistero

Dal momento che l’eucaristia è un “mistero”,vale a dire, essa rivela e nello stesso tempo nasconde Dio, noi non comprenderemo mai tutta la profondità della sua bellezza. Cristo ci donò il suo mistero così da poter “perpetuare il sacrificio della croce attraverso i secoli, fino al suo ritorno”. Secondo le parole della liturgia stessa: “O sacro convito, in cui Cristo è nostro cibo, si perpetua il memoriale della sua Pasqua, l’anima nostra è colmata di grazia e ci è dato il pegno della gloria futura”.

Punti per la meditazione

La messa si conclude in un periodo di tempo relativamente breve. Difficilmente riusciamo a divenire consapevoli di almeno uno dei suo significati profondi dinanzi a noi, e meno ancora di tutti insieme. Le considerazioni che seguono sono offerte per la meditazione, la preparazione e il ringraziamento dopo la messa. Forse sarà utile meditarne una al giorno. (Esse sono tratte dal volume L’impegno cristiano di padre Karl Rahner). Che cosa si fa durante la messa:

1 – Proferiamo con Cristo sacerdote il suo supremo ringraziamento per averci creati e redenti. Abbiamo ricevuto, ognuno a proprio modo, una partecipazione al sacerdozio di Cristo e siamo in grado di stare davanti a Dio per esprimere il ringraziamento del mondo intero per il suo amore e la sua misericordia.

2 – Entriamo liberamente nell’amore di nostro Signore che si rende presente per unirci. Lo accettiamo. Ne facciamo esperienza per gli altri. Quello che offriamo non è un amore che ci costruiamo da soli. Lo condividiamo nell’amore che Gesù ha per il Padre. L’eucaristia ci rende visibilmente presente questo amore, così che possiamo penetrarvi.

3 – Celebriamo la morte del Signore. “Celebrare” significa “eseguire, fare”. Siamo fatti presenti alla morte che dona la vita e alla risurrezione di Gesù.

4 – Ci abbandoniamo alla debolezza e alla vulnerabilità umane, alla nostra sottomissione alla morte e al male, come circostanze in cui il potere divino opera in noi. Non possiamo salvare noi stessi dalla tragedia del peccato che ha danneggiato tutta la razza umana. Ci accettiamo come una stirpe di peccatori, chiamati alla redenzione che solo Dio può portare a compimento.

5 – Diamo la nostra personale approvazione all’obbedienza con cui Gesù morì per noi. Non siamo salvati automaticamente, anche se tutta la forza della nostra salvezza viene da Cristo. Dobbiamo pregare per avere il dono di dire “si!”, liberamente, con gioia e con tutto il cuore. “Il nostro desiderio di ringraziarti è un tuo dono”.

6 – Rinnoviamo il consenso di nostro Signore alla croce e alla morte come legge della nostra vita. Vivere è morire a tutto ciò che non è Dio, morire a ogni egoismo e a ogni autosufficienza. Vivere è essere consapevoli e liberi con la forza dello Spirito.

7 –Entriamo nel perdono dei peccati ottenuto dalla morte e risurrezione di Cristo salvatore. Accettiamo il perdono e lo offriamo agli altri. L’eucaristia è perdono. E’ il segno che Dio ci ha innalzati da morte e ha infuso il suo Spirito in noi.

8 – Prendiamo parte alla vittoria di Cristo nella sua risurrezione e glorificazione. Siamo già partecipi. La nostra vita è una tensione fra il “già” – siamo già in Cristo, segnati per la risurrezione – e il “non ancora” – la piena condivisione della vittoria.  
 
9 – Celebriamo la risurrezione e la glorificazione del Signore. Non è stata solo la sua morte a salvarci. Inseparabile dalla croce, come l’altra faccia della stessa medaglia, la gloriosa risurrezione di Gesù è anche la promessa del Padre a noi.

10 – Diciamo “si” alla nuova alleanza suggellata dal sangue di Cristo. Dio ha fatto un patto solenne con noi che siamo il corpo di Cristo.  Egli è il nostro Dio e noi siamo il suo popolo.

11 – Prendiamo parte alla venuta del regno. Il regno è Dio che ci possiede nell’amore. E’ la nostra volontà di aprirci liberamente all’amore di Dio. Il regno viene per mezzo di Cristo. Diventa visibile mediante la chiesa, segno innalzato fra le nazioni.

12 – Ratifichiamo la trasformazione e il perdono del mondo che ebbero inizio con la morte e risurrezione di Cristo. Non siamo spettatori passivi della salvezza. Prendiamo parte al progetto che viveva nel cuore di Dio fin dall’eternità.

13 – Attendiamo con ansia, con fiducia e con speranza la venuta di Cristo. Il giudizio, per noi, dovrebbe essere qualcosa di gradito, la dichiarazione che abbiamo accettato Cristo e che viviamo la sua vita. Forse abbiamo una comprensibile paura della morte, ma siamo anche sicuri e ansiosi di vedere Cristo. Vieni, Signore Gesù!

14 – Riceviamo il corpo e il sangue di Cristo come segno della grazia che abbiamo ricevuto e della grazia che riceveremo. Non c’è sacramento o segno dell’amore divino più perfetto di questo: ci ha dato se stesso in vera unione fisica. Egli ci dona tutto se stesso: Dio e uomo, anima e corpo. Egli non ha riposo finché tutto il suo essere – divinità e umanità – non sia unito a tutto il nostro essere. Dio vuole realmente formare una sola cosa con noi.

San Francesco

Mentre meditiamo su tali imperscrutabili misteri, possiamo essere spinti a dire con san Francesco: “O sublime umiltà! O umile sublimità! Che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, debba umiliarsi tanto da nascondersi per la nostra salvezza in poca apparenza di pane! Guardate, fratelli, all’umiltà di Dio e aprite davanti a lui i vostri cuori. Umiliatevi anche voi, perché egli vi esalti” (Lettera al capitolo generale e a tutti i frati, II: FF 221).

+ Domande per la riflessione.- Perché la messa è un mistero? Qual è lo scopo primario della messa?

+ Connessioni bibliche e francescane. – La pazienza, una fede vivente, nella Lettera di Giacomo. Larranaga, Nostro fratello, pp. 292-297.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Quale dei molteplici aspetti della messa è per voi il più significativo? In che modo tutta la vita, e non solo i pochi minuti della messa, è “eucaristia” o “rendimento di grazie”? Pregate per una più profonda comprensione dell’autentico significato della messa. Fate in modo che ciò di cui fare esperienza a messa cambi il nostro approccio alla vita quotidiana.

+ Preghiera. – “Mio Dio e mio tutto” (san Francesco).

Riflessione 28

La liturgia delle ore

Perciò scongiuro, come posso, il ministro generale, mio superiore,  che faccia osservare da tutti inviolabilmente la Regola, e che i chierici dicano l’Ufficio con devozione, non badando alla melodia della voce, ma alla rispondenza della mente, e la mente poi concordi con Dio affinché possano, mediante la purezza del cuore, piacere a Dio e non accarezzare gli orecchi del popolo con la mollezza del canto. (San Francesco, Lettera al Capitolo Generale: FF 227).
 
La liturgia delle ore

Per decisione del concilio Vaticano II,la Liturgia delle Ore (Breviario,Ufficio divino) fu oggetto di una riforma. Nei “Principi e norme per la Liturgia delle Ore” troviamo al n. 20 queste parole: “Le assemblee dei fedeli curino anch’esse, e possibilmente in chiesa, la celebrazione comunitaria delle Ore principali . Fra queste assemblee hanno un posto preminente le parrocchie, vere cellule della diocesi, organizzate localmente sotto la guida di un pastore che fa le veci del vescovo. Esse “rappresentano in un certo modo la chiesa visibile stabilita su tutta la terra” (cf. Sacrosanctum Concilium, n. 42).

La Liturgia delle Ore nell’Ordine francescano secolare

I francescani secolari possono scegliere diverse formule per la recita quotidiana dell’Ufficio divino: 1) Preghiera del mattino e della sera tratta dalla Liturgia delle Ore (Lodi e Vespero) o una forma abbreviata della stessa; 2) il piccolo Ufficio della beata vergine Maria; 3) l’Ufficio della passione di san Francesco d’Assisi; 4) l’Ufficio dei dodici Padre Nostro; 5) altre forme di preghiera liturgica contenenti salmi, letture tratte dalla Bibbia e preghiere; 6) forme speciali di preghiera proprie dei tempi liturgici quali la via crucis, il rosario o la Corona francescana (cf. Rituale dell’Ordine francescano, pp. 67; 79ss; 463-480).

L’importanza della Liturgia delle Ore

La Liturgia delle Ore è la preghiera della chiesa. Non è, quindi, una preghiera privata, neppure quando è recitata da una sola persona. Come ogni liturgia, essa è la preghiera di Cristo e del suo corpo compiuta lungo l’arco di tutta la  giornata. La cosa migliore che possiamo fare è citare direttamente dall’Istruzione generale della Liturgia delle Ore:

La preghiera pubblica e comune del popolo di Dio è giustamente ritenuta tra i principali compiti della chiesa. Per questo sin dall’inizio i battezzati “erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (Atti degli apostoli, 2,42). Più volte gli Atti degli apostoli attestano la preghiera unanime della comunità cristiana (cf. 1,14; 4,24; 12,5.12 e Lettera agli efesini 5,19-21).
Le testimonianze della chiesa primitiva attestano che anche i singoli fedeli, in ore determinate, attendevano alla preghiera. In seguito si diffuse la consuetudine di destinare tempi particolari alla preghiera comune, come, per esempio l’ultima ora del giorno, quando si fa sera e si accende la lucerna, oppure la prima ora, quando la notte al sorgere del sole volge al termine.
Nel corso del tempo si cominciano a santificare con la preghiera anche altre ore (…). Questa preghiera fatta in comune e arricchita di letture, è principalmente una preghiera di lode e di supplica, e precisamente è preghiera della chiesa con Cristo e per Cristo (Principi e norme della Liturgia delle Ore, nn. 1-2).

La preghiera di Cristo

Venendo per rendere gli uomini partecipi della vita di Dio, il Verbo che procede dal Padre come splendore della sua gloria, “il sommo sacerdote della nuova ed eterna alleanza, prendendo la nostra umana natura, introdusse in questa terra d’esilio quell’inno di lode che viene cantato da tutta l’eternità nelle sedi celesti”.
Da allora, nel cuore di Cristo, la lode di Dio risuona con parole umane di adorazione, espiazione e intercessione. Tutte queste preghiere, il capo della nuova umanità e mediatore tra Dio e gli uomini, la presenta al Padre a nome e per il bene di tutti (ivi, n. 3).

La chiesa continua la preghiera di Cristo

In questo dunque sta la dignità della preghiera cristiana, che essa partecipa dell’amore del Figlio Unigenito per il Padre, e di quell’orazione che egli durante la sua vita terrena ha espresso con le sue parole e che ora, a nome e per la salvezza di tutto il genere umano, continua incessantemente in tutta la chiesa e in tutti i suoi membri (ivi, n. 7)

L’azione dello Spirito Santo

Lo stesso Spirito “viene in aiuto alla nostra debolezza” e “intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili” (Lettera ai romani 8,26) (ivi, n. 8)

La natura comunitaria della preghiera

Sebbene la preghiera fatta nella propria stanza e a porte chiuse sia sempre necessaria e da raccomandarsi, e venga anch’essa compiuta dai membri della chiesa per Cristo nello Spirito Santo, tuttavia all’orazione della comunità compete una dignità speciale, perché Cristo stesso ha detto: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Matteo 18,20) (ivi, n. 9).

Eucaristia e Liturgia delle Ore

La Liturgia delle Ore estende alle diverse ore del giorno la lode e il rendimento di grazie, la memoria dei misteri della salvezza, le suppliche e la pregustazione della gloria celeste, che sono le prerogative del mistero eucaristico (…). La Liturgia delle Ore è un’ottima preparazione per la celebrazione dell’eucaristia stessa, poiché ispira e approfondisce in modo appropriato le disposizioni necessarie per una fruttuosa celebrazione dell’eucaristia, quali sola la fede, la speranza, la carità, la devozione e il desiderio dell’abnegazione di sé (ivi, n. 12).

Lode e resa a Dio in unione con la chiesa celeste

Nella Liturgia delle Ore la chiesa, esercitando l’ufficio sacerdotale del suo Capo, offre a Dio “incessantemente” il sacrificio di lode (…). Questa preghiera è  “la voce della sposa stessa che parla allo sposo; anzi è la preghiera che Cristo, unito al suo corpo, eleva al Padre”. Perciò tutti quelli che compiono questa preghiera stanno adempiendo da un parte l’obbligo proprio della chiesa, e dall’altra partecipano al sommo onore concesso alla sposa di Cristo, poiché celebrando le lodi di Dio, stanno dinanzi al suo trono a nome della madre chiesa (ivi, n. 15).

Supplica e intercessione

Ma oltre alla lode di Dio, la chiesa nella Liturgia delle Ore esprime i voti e i desideri di tutti i cristiani; anzi supplica Cristo per mezzo di lui il Padre, per la salvezza di tutto il mondo. Questa voce non soltanto della chiesa, ma anche di Cristo, poiché le preghiere vengono fatte a nome di Cristo, cioè “per il nostro Signore Gesù Cristo”, e così la chiesa continua a fare quelle preghiere e suppliche che Cristo offrì nei giorni della sua vita terrena (ivi, n. 17).

San Francesco

La Liturgia delle Ore è un’altra via che la chiesa ci offre per mettere in pratica le parole di san Francesco, secondo il quale noi dobbiamo operare in modo tale da “non estinguere lo spirito di preghiera e devozione, a cui tutte le cose temporali devono essere subordinate”.

+ Domande per la riflessione. – Chi può celebrare la Liturgia delle Ore? Ricordate la definizione generale di liturgia. Perché è chiamata Liturgia delle Ore?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Consigli e ammonimenti da san Pietro in 1Pietro, capp. 1-3; 2Pietro, capp. 2-3. Larranaga, Nostro fratello, pp. 159-163.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – In che modo il vostro pregare la Liturgia delle Ore fa parte di tutta la preghiera di Cristo e della sua chiesa? Mentre pregate la Liturgia delle Ore, fate uno sforzo particolare per capire la vostra unione con Cristo e con tutta la chiesa. Visualizzate voi stessi come parte integrante della preghiera di fede di tutto il mondo.

+ Preghiera. – Venite, prostrati adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci chiama a essere il suo popolo. Amen. (cf. Salmo 94.
Riflessione 29

Pregare in gruppo

E ovunque, noi tutti, in ogni luogo, in ogni ora, in ogni tempo, ogni giorno, senza cessare, crediamo veramente e umilmente e teniamo  nel cuore e amiamo, onoriamo, adoriamo, serviamo, lodiamo e benediciamo, glorifichiamo ed esaltiamo, magnifichiamo e ringraziamo l’altissimo e sommo eterno Dio…  (San Francesco, Regola non bollata, 23,32: FF 71)

A metà strada fra la grande preghiera liturgica della chiesa e la preghiera privata individuale c’è la preghiera di un gruppo di persone che si riuniscono volontariamente per pregare. Questa forma di preghiera è meno strutturata e più spontanea rispetto alla preghiera della messa e di altri sacramenti. Senza implicare per questo una qualche inferiorità della preghiera personale privata, si deve ricordare che Cristo ha promesso una speciale benedizione per coloro che pregano insieme: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Matteo 18,20). La preghiera di gruppo non sostituisce né la preghiera liturgica né quella privata, tuttavia può arricchire entrambe. Come frutto della preghiera privata e come preparazione per l’eucaristia o altre celebrazioni sacramentali, la preghiera di gruppo rende evidente che la dimensione comunitaria è fondamentale nella chiesa.
Suggerimenti per organizzare una preghiera in gruppo

Molte persone si trovano bene a seguire una certa struttura flessibile per la preghiera di gruppo, che si può organizzare seguendo questo ordine: 1) un inno di apertura; 2) silenzio e raccoglimento; 3) lettura di un salmo, in modo lento e chiaro, come spunto per proseguire la preghiera; 4) risposta al salmo con il silenzio o con la preghiera spontanea di lode e di rendimento di grazie, oppure con un inno o una adeguata lettura biblica; forse ancora un salmo letto da qualcun altro; 5) si può cantare il Magnificat o qualche altro inno; seguito da 6) preghiere di supplica formulate da varie persone e prolungate per quanto tempo si desidera; 7) una preghiera finale di ringraziamento a Dio per aver ascoltato le nostre preghiere.

La preghiera libera è un’opzione

Altre persone possono preferire la preghiera non strutturata, senza salmi particolari o altre preghiere scelte in anticipo. Due o più persone semplicemente si raccolgono in silenzio riverente, in attesa che l’ispirazione dello Spirito guidi la loro preghiera.

Elementi essenziali

Sebbene le preghiere di supplica siano parte della preghiera comune, l’aspetto che dovrebbe risaltare maggiormente è quello della lode e ringraziamento al Padre nello Spirito di Gesù. L’esperienza più grande è la presenza di Cristo che prega con la comunità radunata, la cui preghiera è gradita a Dio. Anche se è un gruppo di preghiera, i membri dovrebbero prestare attenzione in primo luogo alla presenza di Cristo e non a quello delle persone. Dio, o la centralità di Cristo, sono il cuore della preghiera. La preghiera comunitaria si basa principalmente sulla Sacra Scrittura. Tutti quelli che partecipano al gruppo dovrebbero portare con sé la propria Bibbia.

Silenzio

Quando il gruppo è composto da persone che pregano abitualmente, sono frequenti prolungati momenti di silenzio. Solitamente più il gruppo ha raggiunto maturità di preghiera, più ricchi sono i momenti di silenzio, dato che tutti stanno sperimentando consapevolmente la presenza di Dio, e le preghiere saranno più adeguate ai periodi di silenzio.

 

 

Il canto

Cantare è importante. “Colui che canta bene prega due volte”. Cantate con gioia. Cantate con lode.

Preparazione

La preghiera condivisa ha una grande componente di spontaneità. Eppure, come qualunque cosa importante, richiede preparazione. La preparazione consiste nella preghiera personale e nella penitenza di ciascun membro e nel serio tentativo di essere aperti al Signore sempre.
Quando il gruppo si raduna è bene evitare la conversazione. Il momento della condivisione avverrà successivamente, ma il primo passo è prestare piena attenzione alla presenza di Dio, invitando lo Spirito a illuminare e a rafforzare il gruppo nella lode e nel ringraziamento a Dio. Un luogo tranquillo dove radunarsi, forse una candela accesa e una Bibbia aperta possono aiutare il gruppo a concentrarsi.

Verificare i frutti della preghiera

Il gruppo può conoscere tutte le tecniche della preghiera condivisa e può pregare molto bene, tuttavia ciò non basta. Il valore della preghiera di gruppo dipende dalla verifica che ciascun individuo deve fare nel proprio cuore. Deve scoprirvi una sempre più profonda relazione personale con Cristo e di conseguenza un amore per il prossimo seguendo l’esempio di Cristo.

Comportamenti da evitare

La preghiera condivisa non è un momento di confessione pubblica o di lamentele sulle difficoltà della vita, né un’implicita condanna di altri per i quali si prega “devotamente”; si deve evitare ogni forma di ostentazione personale.
Durante la preghiera arriva il momento di formulare una petizione per le proprie personali necessità e un momento da dedicare alla condivisione delle esperienze di fede con gli altri. Ciò sostiene ed edifica la fede di tutti gli individui presenti.  La preghiera condivisa per molti è difficile. Alcune persone possono trovare faticoso o addirittura impossibile pregare ad alta voce con parole proprie davanti agli altri. Questo fatto dovrebbe essere accettato dal gruppo, che dovrebbe impegnarsi a evitare pressioni su qualcuno affinché “produca” a tutti i costi una preghiera. Si può pregare in silenzio così come a voce alota. Ciò che conta è che tutti preghino insieme in lode a Dio.

La preghiera di gruppo dell’Ordine francescano secolare

Oltre a partecipare agli incontri mensili della fraternità, i francescani secolari sono invitati a radunarsi settimanalmente per pregare in piccoli gruppi. Se questo viene fatto secondo lo spirito tranquillo e umile di san Francesco, ne troveranno un aiuto incommensurabile per tutta la loro vita cristiana.

+ Domande per la riflessione. – Qual è lo scopo della preghiera condivisa? In che modo essa si relaziona alla nostra preghiera durante la messa e alla preghiera individuale?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Prima lettera di san Giovanni, cap. 3. Larranaga, Nostro fratello, pp. 97-99.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Avete fatto l’esperienza benefica di pregare con qualcun altro o di avere qualcuno che prega con voi specialmente nei momenti di sofferenza o di difficoltà? Come si potrebbe approfondire la vostra spiritualità se poteste pregare più spesso con gli altri? Siete aperti alla possibilità di pregare vcon qualcun altro o di unirvi a un gruppo per condividerne la preghiera.

+ Preghiera. – Ti prego, Gesù, per gli amici spirituali con i quali posso radunarmi alla tua presenza, per lodarti, parlarti, ascoltarti. Entra nei nostri cuori e nelle nostre preghiere per renderci una cosa sola in te con la certezza che non affronteremo mai la vita da soli. Amen. 

 

 

Riflessione 30

Chiara, luce che abbaglia

Chiara fu la prima pianticella del giardino di Francesco, esalò il suo profumo come candido fiore di primavera e risplendette come stella fulgentissima. (San Bonaventura, Leggenda maggiore, 6: FF 1074)

Considerare la vita francescana senza riflettere su Chiara d’Assisi è come avere una moneta con una sola faccia, un canto senza musica, un arcobaleno senza sole. Chiara era giovane e innamorata della vita quando divenne testimone del fervore di Francesco nel seguire Cristo. Probabilmente sarà arrossita nel vedere Francesco di diversi anni più anziano di lei, restituire tutto ciò che possedeva persino gli abiti che indossava, a suo padre, Pietro Bernardone. Forse in quel momento capì che le e Francesco erano spiritualmente fratello e sorella, poiché, nel ridare al proprio padre terreno tutto quanto aveva ricevuto, Francesco riconobbe che Dio nel cielo era ora il suo unico Padre. Francesco e Chiara erano anche innamorati, sebbene non nel senso in cui il mondo normalmente considera gli innamorati; bensì erano un uomo e una donna che amavano Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima e in quell’amore si sentivano avvolti l’un l’altro.

La lezione di Chiara

Che cosa ci insegna Chiara circa il seguire Gesù? Ci insegna a seguire Francesco, il quale seguì Gesù in modo così perfetto e cercò la povertà autentica in modo tale da non desiderare null’altro che il Signore. Chiara ci insegna che possiamo essere impegnati come fedeli seguaci di Francesco e di Gesù, facendo ciò nel modo proprio a ciascuno di noi, a seconda delle circostanze specifiche della nostra vita. Sia Chiara che Francesco sacrificarono ogni attaccamento ai beni materiali alla ricerca della vita cristiana che furono chiamati a seguire. Il cammino di Francesco nel mondo lo portò in terre lontane. Egli percorse centinaia di miglia lungo quella penisola che oggi si chiama Italia. Si avventurò fino alla terra del sultano di Damietta.
Per contrasto, Chiara percorse solo la breve distanza che separava la casa di suo padre dalla chiesetta di Santa Maria degli Angeli, soprannominata da Francesco la Porziuncola, che significa “piccola porzione”. Lì ella fu ricevuta dai fratelli. Dopo un breve soggiorno presso le suore benedettine, si accinse a trascorrere il resto della sua vita nel convento di San Damiano, la piccola cappella dove il Signore aveva parlato a Francesco dal crocifisso dicendo “Va’ e riedifica la mia chiesa”.
Chiara ebbe in sorte una dimora permanente. Francesco aveva luoghi particolari che visitava, ma se fosse vivo oggi potremmo definirlo una persona “senza fissa dimora”. Francesco incontrava e predicava a grandi folle sconosciute, lungo strade polverose, nelle piazze delle città, nelle chiese e nelle cappelle disseminate nella campagna circostante, in accampamenti di paesi stranieri. Chiara diffondeva l’amore di Dio attraverso la preghiera che attirava seguaci al suo stile di vita francescano, Le sue preghiere procuravano guarigioni. Ella scrisse lettere a colore che si trovavano in terre straniere per incoraggiarli nelle loro peregrinazioni francescane. Ma lei rimase sempre vicina alla sua casa a San Damiano. Due stili di vita drasticamente diversi perseguirono lo stesso scopo: amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con ogni forza.
Pochi di noi si sentono chiamati a liberarsi di tutti i beni posseduti. In molti casi, questa rinuncia potrebbe veramente trasformarsi in un gesto irreligioso poiché abbiamo delle responsabilità verso altri – coniuge, figli, genitori anziani – che Dio ci affida. Dio ci ha concesso doni speciali da usare per i suoi fini: come lavoratori o commercianti, amici della fraternità, consolatori degli afflitti, sostenitori degli oppressi. . Non lasciamo cadere i nostri vestiti sulla piazza del nostro paese in cambio di una tunica lacera con una corda per cintura, come fece Francesco. Non ci facciamo tagliare i capelli in segno di umiltà per imitare Chiara. Ma possiamo dedicare la vita al seguito di Gesù, imitando il modello di Francesco e Chiara nei modi adeguati ai tempi in cui viviamo. La sfida che ci lanciano Francesco e Chiara è scoprire qual è la nostra strada e perseverare in essa, realizzando l’ideale francescano nelle forme adatte alla nostra epoca e secondo le caratteristiche proprie a ciascuno di noi.

 

 

Luoghi tranquilli

Anche una cittadina collinare del dodicesimo secolo come Assisi vibrava per il gran chiaso che facevano le persone, gli animali, i carri e i loro conducenti; il rumore era tale da soffocare la voce del silenzio. Non solo i suoni, ma anche il il semplice pensiero di tutto quello che dobbiamo fare ci distrae, quando cerchiamo Dio nella preghiera. Per questo sia Chiara che Francesco amavano ritirarsi in luoghi raccolti dove poter sentire il Signore che parlava ai loro cuori. Sapevano che Dio aveva molto da dire loro, se solo avessero saputo cogliere il messaggio. Il luogo tranquillo per Chiara fu il monastero; Francesco invece si appartava nelle grotte fra i monti.
Il mondo odierno è di certo più chiassoso della Assisi di otto secoli fa. Le distrazioni abbondano. Il rumore imperversa. Persino quando crediamo di avere scoperto uno spazio silenzioso al mattino presto, prima dell’alba, un jet romba sulla nostra testa o i camion della nettezza urbana iniziano il loro giro quotidiano. Il silenzio è un bene prezioso, del quale fare tesoro. Dio ha tanto da dirci, come aveva tanto da dire a Chiara e Francesco, se riusciamo a trovare lo spazio e il luogo per ascoltare.

Immagini di Chiara

Il nome di Chiara significa “luce”. Brillò come una stella splendente, riflettendo nel mondo l’amore di Dio, pur restando in un convento di clausura dove visse con le sue sorelle spirituali, prima conosciute come “le povere dame”, e più tardi come le Clarisse. Quella luce oggi continua a brillare attraverso i monasteri di Clarisse esistenti in tutto il mondo, poiché esse continuano a pregare per il mondo.
Chiara viene indicata anche come la “pianticella” di Francesco. Si può anche immaginare un ramo, colto da una pianta e piantato nel suolo affinché metta radici, finché diventa poi una nuova pianta. Così fu l’essenza spirituale di Chiara, radicata in Francesco. Entrambi erano rami cresciuti dal Signore che proclamò: “Io sono la vite, voi i tralci” (Giovanni, 15,5). Cristo è lo specchio di Dio. “Specchio di perfezione” è un’espressione usata per descrivere Francesco. E Chiara fu davvero lo specchio di Francesco. Ella colse ciò che Francesco insegnò mediante il suo stile di vita, e poi lo diffuse nel mondo attraverso le sue sorelle, le sue preghiere, i suoi scritti, e l’Ordine che fondò.
Anche noi possiamo diventare specchio di Gesù, di Francesco e di Chiara, con il nostro stile di vita e nel nostro tempo.

+ Domande per la riflessione. – La decisione di Chiara di lasciare la sua famiglia per seguire la via di Francesco appare saggia o avventata? Quale aspetto del modo di Chiara di seguire Francesco e Gesù pensate che potreste includere nella vostra vita? Che cosa dovreste sacrificare per questo?

+ Connessioni bibliche e francescane. – La prima lettera di san Giovanni, cap. 4. Larranaga, Nostro fratello, pp. 202-207.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Trovare un luogo silenzioso per trascorrervi ogni giorno un po’ di tempo soli con Dio. Forse può essere una stanza di casa vostra con il telefono fuori portata. Un angolo della biblioteca del vostro quartiere durante la pausa del pranzo, una cappella, una stanza vuota nel posto di lavoro, o una panchina del parco possono diventare il vostro monastero per un momento di contemplazione. Impiegate questo tempo solo per ascoltare Dio. Annotate nel vostro diario l’esperienza che avete tratto. Incoraggiate un amico o un parente a ricercare una pausa di silenzio in cui ascoltare Dio. In che modo si può rispecchiare Chiara, oggi, a casa propria o nel posto di lavoro?

+ Preghiera. – O santa Chiara, la vastità e la chiarezza della tua visione, l’unicità del tuo proposito e lo splendente esempio della tua vita ti rendono la adatta patrona della televisione. Ti chiediamo di interceder per i dirigenti e tutti i lavoratori impegnati in quel campo importante, affinché la televisione possa diventare un benefico influsso per tutti coloro che la guardano, a onore e gloria di Dio. O santa Chiara, alla quale Dio ha rivelato se stesso anche su questa terra, aiutaci a scorgere la sua divina sapienza nello stupefacente sviluppo della scienza, così che possiamo impiegarlo per vie tanto sagge  da condurci all’eterna visione di Dio, per mezzo di Cristo nostro Signore. Amen.

 

 

 

PARTE QUARTA

L’apostolato

L’apostolato è la missione di un apostolo. Apostolo fu ciascuno dei dodici discepoli di Gesù che partirono per portare la sua Parola e la sua opera in tutto il mondo. Se scegliamo di seguire Gesù e di condurre altri alla sua verità, diventiamo apostoli dei tempi moderni. Abbiamo una missione, un apostolato. Forme di apostolato sono anche i nostri modi personali di vivere secondo lo stile di vita di Gesù. Forse guidate un gruppo di studio sulla Bibbia nel vostro quartiere o insegnate religione ai bambini di una scuola. Potreste lavorare come volontari in un “centro di aiuto alla vita” o in una casa di accoglienza. Il vostro apostolato può essere anche vivere una vita veramente cristiana nel vostro posto di lavoro. La maggior parte dei cristiani hanno diversi apostolati, sebbene possano non chiamarli con questo nome. Tutti i modi in cui aiutiamo Gesù a vivere nel mondo, diventano oggi apostolato.
Nell’Ordine francescano secolare ci sono delle commissioni apostoliche create per il sostegno degli apostolati del lavoro, della giustizia, della pace, dell’ecologia e della famiglia all’interno della fraternità. Della massima importanza nella struttura della fraternità, a tutti i livelli, sono anche la commissione della formazione e la commissione dei giovani. Tutte le forme di apostolato aiutano a portare i doni di Gesù della fede, della speranza e dell’amore in modo pratico e concreto. Nelle riflessioni che seguono, prenderemo in esame queste varie forme di apostolato.

Riflessione 31

Vita familiare: santità al primo posto

Beati coloro che sostengono infermità e tribolazioni, perché da te, Altissimo, saranno incoronati (San Francesco, Cantico delle creature; cf. FF 263)

La vita nuova a cui Dio ci chiama non è rinchiusa in vuoto astratto. Non si diventa cristiani per poi ritirarsi dalle relazioni con il prossimo. La santità non è qualcosa che vive al di fuori della normale attività umana di ogni giorno. Per essere più precisi, non aderiamo all’Ordine francescano secolare a scapito di qualunque rapporto umano preesistente. Una moglie che trascura il marito, o un marito che trascura la propria moglie perché adesso “ha scoperto la religione”, hanno un’idea sbagliata della religione.
Per essere ancora più precisi, ogni frutto che nasce dal seguire Gesù e san Francesco deve manifestarsi principalmente nelle relazioni basilari della nostra esistenza, cioè nella vita familiare. Carità e preghiera, penitenza, povertà, umiltà, tutte queste virtù devono portare i primi frutti nel contributo che diamo all’atmosfera di casa nostra.

La famiglia: cellula prima e vitale della società

A volte non apprezziamo i veri valori semplicemente perché sono così preziosi che non ce ne rendiamo conto. La nostra civiltà è fondata sul rapporto tra un uomo e una donna nel matrimonio. Il buon senso abituale, le nostre tradizioni, è lì che vengono trasmesse ed è lì che se ne fa esperienza. I genitori non “producono” solamente figli. Essi stabiliscono la qualità della cultura e della religione. E’ vero però che gli influssi dall’esterno sembrano avere un impatto maggiore oggi rispetto a quando la tivù non ci aveva ancora resi onniscienti e le auto e gli aeroplani non ci avevano ancora fatti diventare le creature più mobili della storia. Tuttavia, niente può distruggere l’unità basilare fatta da un uomo, una donna e i loro figli e che Dio ha voluto come roccia su cui si fonda la società.

 

 

 

La famiglia: piccola chiesa

Ugualmente ovvio è il fatto che non ci sarebbe nessuna “grande chiesa” se non fosse per le migliaia di “piccole chiese” dove il Vangelo mette radici nelle più intime relazioni personali: marito-moglie, genitori-figli, fratello-sorella. Il gruppo di persone che si raccoglie intorno all’eucaristia è – o sta cercando di essere – una comunità. Quelle persone ci riusciranno nella misura in cui hanno dato e perdonato, sofferto e gioito nella piccola comunità dalla quale provengono.

Genitori, primi maestri della fede

E’ giusto dare importanza alle scuole cattoliche. Esse offrono esperienze che la famiglia non può dare. Possono presentare la dottrina cattolica in modo organico e meglio di quanto lo possano i genitori. Possono coinvolgere i ragazzi nel servizio agli altri su scala più vasta, anche se nessun insegnante potrebbe sostituire un padre e una madre coscienziosi. Il senso della vita cristiana si impara meglio e se ne fa migliore esperienza per mezzo di coloro con i quali abbiamo relazioni più profonde. Come dice il vecchio detto: “La migliore cosa che un padre può fare per i suoi figli è amare la loro madre”.

L’educazione

Il concilio Vaticano II conferma il ruolo della famiglia: “I genitori devono essere considerati come i primi e i principali educatori dei propri figli. Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può a stento essere supplita” (Gravissimum educationis – L’educazione cristiana, n. 3; EV, vol. 1, 826).
“La famiglia è una scuola di umanità più completa e più ricca. Perché però possa attingere la pienezza della sua vita e del suo compito, è necessaria una amorevole apertura vicendevole di animo tra i coniugi e la consultazione reciproca e una continua collaborazione tra i genitori nella educazione dei figli. La presenza attiva del padre  giova moltissimo alla loro formazione, ma deve essere anche salvaguardata la presenza e la cura della madre nella casa, di cui abbisognano specialmente i figli più piccoli, pur senza trascurare la promozione sociale della donna” (Gaudium et spes, n, 52: EV, vol. 1, n. 1485).
La dichiarazione sopra può provocare reazioni da parte di alcune donne. “Ma io devo lavorare! I miei bambini devono trovare cibo in tavola!”, spiega una giovane ragazza madre. Certo, alcune madri che lavorano non hanno scelta. E’ la situazione economica a determinare quello che devono fare. In alcune famiglie i genitori preparano dei complicati orari così che un genitore o l’altro possa badare ai figli quando questi sono a casa.
Tuttavia, quella dichiarazione rappresenta il pensiero della chiesa fondato su secoli di esperienza nell’osservazione delle famiglie. I figli hanno bisogno che i genitori li sostengano e li guidino il più possibile negli anni della loro formazione. Per alcune famiglie questo può voler dire sacrificare nella vita alcuni “extra”. Forse un apparecchio tivù o un paio di pattini devono essere un piacere che viene rimandato. La cena si può preparare in casa, anziché acquistarla in un ristorante o ordinarla in rosticceria. Ci si può accontentare di una casa modesta o di un appartamento, invece dell’allettante modello più grande, da acquistare o da prendere in affitto; così si riduce un po’ il peso economico. Gli “extra” potranno arrivare in seguito. I figli sono importanti ora.

Testimoni

Mariti e mogli sono testimoni del mistero d’amore di Cristo, da lui rivelato al mondo per mezzo della sua morte e risurrezione a nuova vita. Quando la fede cristiana pervade tutto lo stile di vita delle persone, gradualmente lo trasforma. Nelle case cristiane mariti e mogli trovano la loro vocazione nell’essere testimoni gli uni gli altri e verso i figli della fede in Cristo e dell’amore per lui.

 

 

 

Che cosa possono fare le famiglie

“Tra le molteplici attività dell’apostolato familiare”, si afferma nel documento sull’apostolato dei laici del concilio Vaticano II, “si possono enumerare le seguenti: adottare come figli i bambini abbandonati, accogliere con benevolenza i forestieri, dare il proprio contributo nella direzione delle scuole, assistere gli adolescenti con il consiglio e con i mezzi economici, aiutare i fidanzati affinché si preparino meglio al matrimonio, collaborare alla catechesi, sostenere i coniugi e le famiglie materialmente e moralmente in pericolo, prendersi cura degli anziani”  (Apostolicam actuositatem, n. 11, in EV, vol. 1, n. 955).

Le persone che non si sposano

L’accento sulla famiglia come roccia della chiesa e dello stato inevitabilmente porta al confronto tra coppie sposate e persone singole. Anche le persone che vivono una vita da celibi, e forse da sole, hanno la propria testimonianza da dare. Esse hanno tratto beneficio dalla vita vissuta in famiglia e vi hanno dato il loro contributo. E ora possono essere pienamente coinvolte nelle varie attività apostoliche di cui abbiamo parlato poc’anzi. Esse non prendono parte alle particolari soddisfazioni e ai problemi della vita coniugale; un sacrificio da un lato, un vantaggio dall’altro, per cui possono essere più libere di impegnarsi nelle attività apostoliche sopra menzionate. La loro testimonianza di vita caritatevole, gioiosa e casta è giustamente onorata come parte integrante della vita e dell’attività della chiesa. I primi due francescani laici furono una coppia sposata, Lucchesio e Donna Bona. Ma, come scrisse il segretario di san Bonaventura, “il Terzo Ordine (l’Ordine francescano secolare) è ugualmente per chierici e laici, fanciulle, vedove e coppie sposate”.

+ Domande per la riflessione. – Qual è il dono più grande che i genitori devono fare ai figli? Descrivere con parole vostre l’importanza della vita familiare nella società odierna.

+ Connessioni bibliche e francescane. – La creazione, il castigo, la promessa della redenzione in Genesi, capp. 1-5. Larranaga, Nostro fratello, pp. 72-75.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Come genitori, prendete la ferma decisione di non perdere fiducia nei normali processi della vita familiare di fronte a tutte le influenze esterne. Come persone singole, impegnatevi a non sottovalutare mai la forza della vostra testimonianza. Fate attenzione agli influssi che penetrano in casa vostra, cercando sempre di rafforzare la scelta familiare di seguire Cristo. Questa settimana scegliete una nuova attività che possa favorire il ravvicinamento dei membri della loro vostra famiglia gli uni e con gli altri e con Dio.

+ Preghiera. – Ti ringrazio, Signore, per le benedizioni e gli stimoli della mia famiglia che mi aiutano a diventare la persona speciale che sono stato creato per essere. Aiutami a perdonare le ferite della vita familiare e a gioire per i suoi miracoli d’amore. Amen.

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

17 – Nella loro famiglia vivano lo spirito francescano di pace, fedeltà e rispetto per la vita, sforzandosi di farne il segno di un mondo già rinnovato in Cristo. I coniugati in particolare, vivendo le grazie del matrimonio, testimonino nel mondo l’amore di Cristo per la sua chiesa. Con una educazione cristiana semplice e aperta, attenti alla vocazione di ciascuno, camminino gioiosamente con i propri figli nel loro itinerario umano e spirituale.

 

 

 

 

Riflessione 32

Carità: amare tutta la gente

E ovunque sono e si troveranno i frati, si mostrino familiari tra loro. E ciascuno manifesti con fiducia all’altro le sue necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, con quanto più affetto uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale. (San Francesco, Regola bollata, 6: FF 91).

Essere Dio significa amare. Condividere la vita di Dio significa dunque amare come Dio, o meglio amare come il Dio fattosi uomo. L’essenza del cristianesimo è amare Dio, il prossimo e se stessi come ha fatto Cristo e mediante la forza del suo Spirito. Nessuno sapeva questo meglio di Francesco d’Assisi. Il suo ideale non fu solo quello di praticare la povertà, ma anche amare il Cristo povero, ed essere liberato, per mezzo dello spirito di povertà, da tutto quanto poteva rovinare il suo amore per Dio e per gli uomini.

Che cos’è l’amore

Dal momento che l’amore è fondamentale, è altrettanto fondamentale avere una chiara comprensione di ciò che esso è esattamente. La definizione che segue probabilmente è la meno romantica che sia mai stata data, ma si tratta di una definizione valida per tutte le stagioni: l’amore è volere il vero bene per qualcuno. Ma analizziamo più da vicino il significato della definizione: a) “volere”, un libero e consapevole atto della nostra volontà, una decisione che diventa un atteggiamento. Diciamo “volere” anziché “dare” poiché spesso non possiamo dare ciò che vorremmo, come per esempio la salute a una persona malata, cibo a tutti gli affamati, sollievo a una persona turbata. Ma in ogni caso ciò che conta è la nostra genuina volontà; b) il “vero bene”, non quello che egoisticamente potremmo volere noi, non quello che la persona potrebbe volere in modo sbagliato, ma ciò che il nostro migliore giudizio di coscienza ci dice che Dio vuole per lei.
Ci accorgiamo , qui, che l’amore può avere diversi gradi. L’amore perfetto vuole tutto ciò che è bene per qualcuno. L’amore perfetto si preoccupa di ogni necessità. L’amore meno perfetto si preoccupa principalmente del bene genuino di un altro, non comprende tutte le sue necessità. Per esempio, un marito può amare molto la propria moglie e lavorare sodo per il suo mantenimento e per darle una vita confortevole, e tuttavia può non preoccuparsi abbastanza delle sue necessità emotive o spirituali.
Possiamo amare qualcuno genuinamente e allo stesso tempo desiderare ciò che questi può fare per noi. Molte persone sono così attraenti che ci basta solo essere in loro compagnia (per l’autentico piacere che ci danno). Possiamo lavorare per un candidato politico perché lo ammiriamo e vogliamo che abbia successo, e nello stesso tempo renderci conto che trarremo vantaggio dalla sua elezione. Ovviamente, quando stiamo solamente cercando il nostro piacere, difficilmente si può dire che amiamo qualcuno. C) “Per qualcuno”: cioè noi stessi o qualcun altro. Il grande comandamento dice: “…il prossimo tuo come te stesso”, naturalmente sottintendendo che siamo chiamati ad amare noi stessi.

Amore di sé

Infatti, non possiamo amare gli altri sinceramente se non amiamo noi stessi. Molte persone sono vittime del tremendo errore di ritenersi indegne. Hanno un’opinione talmente bassa di sé da non poter credere che gli altri possano amarle. E poiché sono convinte di non valere praticamente niente, sentono di non avere niente da offrire agli altri.
La maggior parte di noi è abbastanza fortunata da avere una buona madre e un buon padre: essi si sono affaccendati intorno alla nostra culla, sussurrandoci parole tenere, abbracciandoci, dandoci così la convinzione che eravamo dei piccoli esseri importanti. Nel lungo processo di maturazione, siamo diventati persone pienamente realizzate, rendendoci conto che siamo chiamati a prenderci cura degli altri proprio come i nostri genitori si sono presi cura di noi. La vita si intende come un processo di “creazione” sempre in corso mediante il quale tutti continuiamo gli uni per gli altri ciò che i nostri genitori hanno iniziato. Siamo chiamati a essere co-creatori insieme a Dio di noi stessi e degli altri. A volte, amare una persona pienamente è un difficile processo di guarigione, per qualcuno che non ha fatto l’esperienza di essere stato creato dall’amore altrui.

La ricchezza dell’amore

L’amore è qualcosa di complesso. Si apprende gradualmente e cresce mediante lo sviluppo delle relazioni personali. Poco alla volta, arriviamo a capire che quella meravigliosa esperienza che riceviamo e contraccambiamo con gli altri è condividere qui in terra la stessa vita divina. Impariamo che il vero amore prende la sua forza da Dio ed è divino (non è mai semplicemente “naturale”), sia che ce ne rendiamo conto o no.
Infine, impariamo che Dio ha amato tanto il mondo da rendere visibile il suo amore in Gesù e da mostrarci a quale altezza suprema giunge l’amore nella morte di Gesù sulla croce, da lui liberamente accettata.
L’amore di Gesù per se stesso, per tutta la gente e per Dio è l’esempio e la fonte anche del nostro amore. Non possiamo amare veramente noi stessi senza renderci conto che è cosa “normale” uscire da noi stessi per amare gli altri. Non possiamo amare Dio senza desiderare di condividere quella relazione con gli altri né senza renderci conto della nostra dignità. Dovunque ci sia amore sincero c’è Dio.
Se un uomo e una donna “pagani” si amano l’un l’altro in modo autentico nella più remota terra deserta o in una giungla, è lo Spirito Santo a creare quell’amore e a vivere in esso, anche se non hanno mai sentito parlare di Dio o di Gesù o dello Spirito. Qualunque vero amore è amore divino.

L’amore cristiano

In che cosa, dunque, si diversifica l’amore cristiano? E’ un amore che prende piena coscienza dell’amore di Dio reso manifesto in Cristo. L’amore cristiano è consapevole di tutto ciò che Dio ha detto e fatto. Esso agisce con la comprensione del fatto che “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato” (cf. Romani 5,5). Tutto quello che facciamo agli altri è fatto a Cristo e per Cristo. L’unica forza di amare che possediamo è la forza di Dio in noi. L’ amore cristiano afferma che Dio ci ha uniti insieme nella sua famiglia, ci ha fatti membri della sua comunità divina e in Gesù ci ha mostrato un perfetto modello di amore nelle circostanze più difficili. Un uomo e una donna possono amarsi reciprocamente in modo divino senza esserne consapevoli, anche se ciò è di gran lunga più difficile. “L’amore è la ragione di tutto” dice una vecchia canzone. L’amore sta al centro perché è la manifestazione suprema della vita di Dio. L’amore rappresenta il rispetto di noi stessi che può mantenersi solamente mediante il rispetto degli altri. L’amore è il dono che restituiamo a Dio, amando gli altri.

+ Domande per la riflessione. – Che cos’è l’amore? Se esso è vero, è “soprannaturale”? Quali sono le tre caratteristiche dell’amore?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Noè e l’arca in Genesi, Capp. 6-11. Larranaga, Nostro fratello, pp. 337-339

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Per quale ragione amate Dio? Che cosa amate nel vostro prossimo? Perché amate voi stessi? In che modo avete dimostrato amore oggi? Esaminate i motivi insiti nel vostro amore per la persona che vi è più vicina.

+ Preghiera. – Signore, pensavo che carità significasse dare qualcosa agli altri, e in effetti significa proprio questo. Ti ringrazio per avermi reso capace di vedere quel significato in un modo nuovo. Carità significa dare me stesso nell’amore per te e per gli altri. Ti prego, preservami dall’essere avaro nel donare me stesso. Amen.

 Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

12 –  Testimoni dei beni futuri e impegnati nella vocazione abbracciata all’acquisto della purità di cuore, si renderanno così liberi all’amore di Dio e dei fratelli

 

 

 

 

Riflessione 33

Il perdono di Cristo

Io stesso riconoscerò se tu ami il Signore e se ami me, suo servo e tuo, se farai questo, e cioè: che non ci sia alcun frate al mondo che abbia peccato quanto più poteva peccare, che dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne ritorni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede. E se non chiedesse il perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se comparisse davanti ai tuoi occhi mille volte, amalo più di me per questo, affinché tu lo possa conquistare al Signore, e abbi sempre misericordia di tali frati. (San Francesco, Lettera ad un ministro: FF 235)

La prova della carità è il perdono

Veniamo direttamente al punto critico. La prova della nostra carità è la situazione in cui non siamo amati: qualcuno non ci chiede scusa; qualcuno continua a fare qualcosa che ci irrita, ci esaspera, ci ferisce o ci offende. In quella particolare situazione Cristo ci dice: “Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Matteo 5,44). E’ molto facile gradire e amare la brava gente. Può essere relativamente facile perdonare coloro che chiedono il nostro perdono. Può non costituire un grande sacrificio perdonare una grave, drammatica offesa. Ma la prova più grande del nostro amore per Dio e per il prossimo sta nei mille episodi quotidiani in cui non riusciamo a fare a modo nostro, quando, in effetti, qualcun altro ci impone la sua volontà.

Nessuna autodifesa?

Il perdono deve accompagnare il giusto perseguimento dei nostri diritti. Possiamo trovarci nella condizione di dover parlare quando si verifica un problema di ingiustizia nei nostri confronti o ei confronti di altri. Possiamo essere costretti a chiamare la polizia, a intentare una causa legale, a rivolgerci a un’autorità superiore, a discutere, a insistere. Nessuno di questi comportamenti è incompatibile con il perdono. Il perdono è amare un’altra persona, indipendentemente da ciò che essa ha fatto o da ciò che noi dobbiamo fare.

Se possediamo la vita di Dio, dobbiamo agire come Dio

Inevitabilmente noi pensiamo a Dio come a nostra immagine. E quindi pensiamo a Dio come a qualcuno che è “infuriato” con noi per qualcosa che abbiamo fatto. Poi ci pentiamo e Dio supera la sua “furia” e ci perdona. La verità è invece che l’amore di Dio non cambia mai. Il suo amore non dipende dalla nostra virtù (mentre la nostra felicità sì). Il perdono di Dio significa semplicemente che egli continua ad amarci come ha sempre fatto. L’amore di Dio assume la forma del segno-sacramento della riconciliazione e la certezza della buona amicizia. In questa forma sembra come un nuovo sviluppo. Ma Dio non è cambiato.
Dal momento che Dio è così e noi possediamo la vita divina, non abbiamo altra scelta che quella di agire allo stesso modo. Abbiamo il privilegio di essere come Dio. Si osservi che la ragione data da Gesù per il perdono dei nemici è questa: “… perché siate del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti (Matteo 5,45). Se essere come Dio non fosse una ragione valida per perdonare, allora non esisterebbe una ragione abbastanza valida.
 

 

 

 

 

 

L’ira peccaminosa è vendetta

La maggior parte delle persone non pensano a se stesse come a esseri particolarmente vendicativi. Eppure ogni ira peccaminosa non è altro che cedere al desiderio di vendetta. Se il nostro orgoglio è ferito, perché ci sembra che gli altri ci disprezzino – perfino coloro che ci amano -, sentiamo che dobbiamo colpire a nostra volta, ferirli, dimostrare che anche noi abbiamo potere.
Dall’altro lato, l’ira giustificata è un attacco contro il male, non contro le persone. Tale ira sarà moderata e bene intenzionata. Non possiamo immaginare Cristo, nel tempio, intento a colpire i suoi simili con la frusta semplicemente per l’orgoglio ferito, per vendetta, per esasperazione o per aver perso la calma. Nostro Signore fece semplicemente ciò che doveva per onorare il Padre. Ma egli amava quelli stessi ipocriti, quegli adulteri e quegli assassini tanto da morire per loro. E noi che siamo i suoi seguaci non possiamo fare di meno.
Ci possono essere delle volte in cui è solo una questione di prudenza preferire una persona anziché un’altra, opporsi alla nomina di qualcuno a un determinato incarico, fare un rimprovero e perfino punire. Il solo modo di provare se l’ira è caritatevole o meno è questo: Sto veramente cercando di fare del bene a questa persona come farebbe Gesù?
Non ha importanza che cosa qualcuno ci ha fatto: noi possiamo e dobbiamo augurargli la benedizione di Dio. Non siamo obbligati a fare gesti fuori del comune come sarebbe il dimostrare affetto. Ma dobbiamo usare a questa persona tutta la cortesia che di regola ci si aspetta in simili circostanze.
Il perdono non significa provar piacere per quello che un altro fa. D’altra parte, il detto: “Ti amo, ma non mi piaci” sembra contenere in sé i semi del fallimento. Se amiamo qualcuno, possiamo almeno provare a cercare in lui qualcosa che ci piace.

Abbiamo bisogno del perdono di Dio

Nell’offenderci l’un l’altro, nel non amarci l’un l’altro, non facciamo la volontà di Dio; “offendiamo Dio”. Solo Dio può perdonare il peccato. Noi, che riceviamo il perdono di Dio, dobbiamo perdonarci l’un l’altro. “Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi” (Lettera ai colossesi 3,13).

Liberarci

Uno degli episodi più stupendi della vita di san Francesco è centrato intorno al tema del perdono (cf. Specchio di perfezione, 32: FF 1718). Francesco incontrò un uomo intento a maledire amaramente il suo datore di lavoro che lo aveva imbrogliato – desiderando veramente che Dio lo dannasse. Francesco lo supplicò di trovare il perdono nel suo cuore così da potersi rendere libero. Non possiamo essere figli di Dio liberi e pacifici se nel cuore nutriamo un atteggiamento vendicativo.

+ Domande per la riflessione. – Qual è la “prova del fuoco” della vera carità? Perché dovreste perdonare il vostro prossimo? Che cosa significa perdonare? Quando l’ira è immorale? Qual è la ragione più pratica per perdonare gli altri?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Abramo, padre del popolo eletto, in Genesi, capp. 12-17. Larranaga, Nostro fratello, pp. 333-334

+ Applicazione alla vita quotidiana. – In che modo potete affrontare meglio il perdono della persona che vi irrita di più? Potete giustificare il modo in cui vi opponete agli altri? Quanta parte della vostra ira è ragionevole e conforme a Cristo? Siete troppo severi e troppo esigenti con gli altri? Siete capaci di passare sopra agli errori degli altri in silenzio? Mentre recitate il Padre nostro, pensate alla misericordia che vi sarà riservata attraverso il perdono degli altri.

+ Preghiera. – “Perdona le nostre colpe come noi perdoniamo coloro che ci hanno offeso”. Tu lo hai fatto, Gesù. Aiutami a perdonare come hai fatto tu. Amen.

 

 

 

Riflessione 34

Essere Cristo per gli altri

Negli anni più tardi della vita di san Francesco, un lebbroso fornì l’occasione per un altro stupendo esempio della sua carità e della sua forza nell’imitazione di Cristo. Il lebbroso si lamentava che i frati non si prendevano cura di lui in modo appropriato. Francesco disse semplicemente: “Mi prendo cura io di te?”. Il lebbroso rispose: “Mi piacerebbe”. Francesco disse: “Farò tutto quello che vuoi”. E il lebbroso: “Allora voglio che mi lavi tutto, l’odore è così cattivo che non posso sopportarlo”. Allora Francesco prese dell’acqua calda con erbe aromatiche, svestì l’ammalato e cominciò a lavarlo. Dove Francesco toccava il corpo del lebbroso con le mani, la lebbra scompariva e rimaneva la carne perfettamente sanata. E anche l’anima del lebbroso cominciò a essere sanata. Il lebbroso si mise a piangere, dapprima in silenzio, poi più forte. “Sono degno dell’inferno per l’ingiustizia che ho commesso contro i frati, e per la mia impazienza e la mia empietà”. Ma Francesco ringraziò Dio per un miracolo così grande e si affrettò ad allontanarsi,per timore che gliene venisse reso onore. (J.Joergensen, San Francesco d’Assisi, pp. 466-467; Fioretti, cap. 25: FF 1857).

Essere e vedere

La pratica della carità può essere riassunta in due frasi: 1) essere Cristo per gli altri e vedere Cristo negli altri ; 2) amare gli altri come Cristo li ha amati e amare Cristo negli altri.
Quasi tutti noi ci siamo posti la domanda, almeno in cuor nostro: “Come posso vedere Cristo in lui? In lei?” Forse troveremo la risposta se prima avremo cura di essere Cristo per gli altri. Solo allora potremo trovarlo facilmente in coloro che serviamo.

Cristo “ha bisogno” di noi

Noi che siamo il corpo di Cristo, continuiamo oggi la vita e l’opera di Cristo sulla terra. Se il mondo deve conoscere come Cristo ama, guarisce, perdona, deve avere degli esempi visibili nei membri della chiesa.
Ora l’essenza della vita di Cristo è nel fatto che egli semplicemente “passò beneficando e risanando” le persone che incontrava (cf. Atti 10,38). Egli continua quell’attività anche oggi. Il Capo ha bisogno delle mani, anche delle nostre, per benedire e sanare, e lavare le ferite degli altri.

Che cosa siamo chiamati a fare?

Ecco un elenco indicativo di come possiamo vivere concretamente l’amore verso gli altri:
– Parlare agli altri, offrendo comprensione incoraggiamento, buon umore, pazienza, pace;
– Aiutarli a sostenere i propri oneri e a credere che sono amati da Dio (noi ne siamo la prova!);
– Essere aperti alle loro necessità e rispettare la loro vita privata; ammirare e sostenere la loro sofferenza fisica, emotiva, o spirituale;
– Dare loro cibo,  vestiario, un tetto;
– Sostenerli nella lotta per i diritti umani,per una giusta opportunità di crescere umanamente e come figli di Dio
– Soffrire con loro e per loro, in Cristo; impegnarci per la loro salvezza mediante la preghiera e la penitenza.

 

 

 

 

 

Il potere di agire come Dio

Siamo chiamati ad essere Cristo, il Figlio prediletto del Padre, il fratello di ogni essere umano. Siamo diventati figli adottivi del Padre e partecipiamo alla stessa vita di Dio. Il risultato più ovvio è che dobbiamo agire come Dio, così come ogni figlio agisce come il proprio padre e la propria madre. Essere cristiano significa amare come ama Dio e come ama Cristo, il che è la medesima cosa. Poiché Dio ci ha dato la sua vita, abbiamo ricevuto, nell’universo, il potere di amare come Dio. Ciò non significa soltanto imitare esternamente quanto Cristo fece sulla terra. Possediamo una realtà interiore: la vita divina che vive dentro la nostra libertà, per mezzo della quale amiamo come ama Dio, con la sua forza, la sua gioia e la sua fecondità.

Il Santo cavalleresco

San Francesco nutriva un grande amore per la terra di sua madre, la Francia, e per i racconti di gloria cavalleresca e amor cortese. Dopo la sua conversione, rimasero in lui una delicata gentilezza e il rispetto di ogni persona. La carità di Francesco non fu soltanto drammatica ed eroica, esercitata su larga scala in seno alla chiesa. Essa si estendeva ai drammi minori della vita quotidiana, dove la maggior parte di noi tende a essere “fuori servizio”.
Forse la storia più bella sulla cortesia di Francesco è quella che si riferisce allo spuntino di mezzanotte a Rivo Torto. In quell’ora buia e desolata, si udì una voce nel piccolo dormitorio affollato. “Oh, sto morendo, sto morendo!”. Francesco e gli altri frati si svegliarono e accesero una luce. Francesco chiese – e possiamo immaginarlo mentre sorride: “Chi sta morendo?”. Allora uno dei frati confessò che stava morendo di fame. Anziché fare una ramanzina all’uomo facendolo sentire un carattere debole fra giganti in ascetismo, Francesco propose gentilmente di fare tutti insieme uno spuntino. Probabilmente non si trattò di pizza e birra – ma piuttosto carote e acqua o simili – ma fu comunque una semplice, deliziosa festicciola nella quale si riconobbe l’umana debolezza, facendola diventare piccola cosa.
Essere Cristo non è solo dare la vita sulla croce. E’ ordinare del cibo per una fanciulla appena risorta da morte , è chiedere di bere dell’acqua perché la samaritana aveva bisogno della sua consolazione, è essere sensibile di fronte all’imbarazzo di una  coppia di sposi a Cana e stringere fra le braccia i bambini.

+ Domande per la riflessione. – Come potete continuare la carità di Cristo? Quale autorità avete per dire che Cristo ha bisogno di voi?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Isacco, figlio di Abramo, in Genesi, capp. 18-23. Larranaga, Nostro fratello, pp. 336-337.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Come potete essere Cristo nella vostra casa? e per strada? Al lavoro? A una festa da ballo? Domandatevi il più frequentemente possibile: che cosa farebbe Cristo proprio adesso? Cristo che cosa vuole che facciate, e che cosa vorrebbe fare dentro di voi stessi, proprio adesso?

+ Preghiera. –Signore Gesù, è stato detto che non hai mani per compiere la tua opera e per le tue cure oggi sulla terra, all’infuori delle nostre mani. Ti prego, usa le mie. Amen.

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

14 – I francescani secolari, insieme con tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati a costruire un mondo più fraterno ed evangelico, per la realizzazione del regno di Dio. Consapevoli che chiunque “segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa egli stesso più uomo”, esercitino con competenza le proprie responsabilità nello spirito cristiano di servizio.

 

 

 

Riflessione 35

Vedere Cristo negli altri

“Chiunque verrà da essi, amico o nemico, ladro o brigante, sia ricevuto con bontà… Essi devono essere lieti quando vivono fra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, infermi e lebbrosi, e tra i mendicanti lungo la strada”. (San Francesco, Regola non bollata, 7 e 9: FF 26 e 30)

Possiamo davvero vedere Cristo negli altri?

Naturalmente,non possiamo vedere Cristo nella rabbia di qualcuno, nell’egoismo, nella pigrizia, nella crudeltà o nell’ostinazione. E dal momento che la maggior parte di noi ha in sé almeno un pizzico di tutte queste caratteristiche, non è forse questo ideale di vedere Cristo negli altri solo, appunto, un ideale, e anche piuttosto lontano da raggiungere?
Siamo sicuri, in teoria, che non è un ideale impossibile, ma esso rimane la virtù difficile della vita cristiana poiché implica la fede, il perdono nonché il rifiuto di giudicare gli altri. Il vero amore non è divisibile. L’autentico amore per Dio implica l’amore per il prossimo e per sé. L’autentico amore per il prossimo e per sé può venire solo dall’amore per Dio. Fin qui, tutto chiaro. 
Ciò che possiamo scorgere nel nostro prossimo vendicativo, sconsiderato, prepotente (e anche in noi stessi, che non siamo senza macchia) è un’immagine “viva” di Dio. Vediamo una persona completa che Dio ama così com’è perché quella persona, sotto il peccato e la bruttezza, riflette almeno alcuni degli attributi di Dio: è libera, intelligente, capace, dell’amore più intenso. Anche se quella libertà è stata imprigionata, o quell’intelligenza è oscurata da ostacoli fisici, emotivi o morali, quella persona è almeno come quella canzone che attende di essere liberata dalla gola del cantante addormentato.
Non dobbiamo mai farci l’idea che Dio ci favorisca, ci tratti come se fossimo meritevoli di essere amati, quando tutti sanno che non lo siamo. Dio non finge e non fa cose in modo esitante o “ufficiale”.Egli prende sul serio ciascuno di noi.

Umano e divino

Possiamo affermare che Cristo ha “aggiunto” una nuova dignità alla natura umana mediante l’unione dell’umano con il divino. Nell’unica persona di Cristo, la natura umana è inseparabilmente e per sempre unita a Dio.
Ma è forse altrettanto importante dire che Cristo non ha “aggiunto” nulla alla natura umana. Piuttosto rese visibile quell’amore che non era mai cambiato. I primi esseri umani erano già circondati da quell’amore e nella sua dottrina teologica Duns Scoto sostiene che dall’eternità Cristo era destinato a essere il capo e in centro della razza umana. La sola ragione di tutto ciò è che Dio è amore.
Ogni essere umano, quindi, è un amico di Dio dal valore inestimabile, rivestito dell’amore di Dio e contrassegnato con il più perfetto segno visibile dell’amore di Dio: una natura umana come quella del capo della razza umana.
Noi siamo i figli di Dio “incompleti”. Dio sta lavorando duramente su di noi. Naturalmente, egli non ha difficoltà ha scorgere il prodotto finale che ha in mente – esseri umani unici, ciascuno tanto unico quanto le proprie impronte digitali, e ciascuno depositario della propria somiglianza familiare con il Figlio primogenito.
Non si tratta di un gioco, quando diciamo di “vedere” Cristo negli altri. Ma se lo diciamo solo a parole, per gioco, allora “vedere Cristo negli altri” può diventare una finzione senza senso.

 

 

 

 

L’esempio di Francesco

Alcune delle storie più affascinanti su Francesco nascono dalla sua visione molto realistica di Cristo negli altri. Quando donava qualcosa agli altri, egli aveva la sensazione di darlo a Cristo. Una volta, per esempio, venne a sapere di una povera donna che non poteva sostenere le spese di un trattamento medico per i suoi occhi. Egli chiamò uno dei suoi frati che era so superiore e disse: “Fratello superiore, dobbiamo restituire un prestito”. “E qual è il prestito, fratello?”. Francesco rispose: “Questo mantello che abbiamo preso in prestito da quella povera donna malata. Dobbiamo restituirglielo”. Meravigliandosi della fede di Francesco il superiore disse: “Fratello, fate come meglio credete”. Allora Francesco, molto compiaciuto, chiamò uno dei suoi amici e disse: “Prendi questo mantello e una dozzina di pagnotte. Vai da quella povera donna e dille: “Il pover’uomo al quale hai prestato questo mantello ti ringrazia per il prestito. Prendi ciò che è tuo”. La donna dapprima fu sospettosa, poi sorpresa, e infine felice. Ma stette attenta a partire nel cuore della notte, per paura che quello strano uomo potesse cambiare idea (Specchio di perfezione, 33: FF 1719).

L’intenzione di Dio

L’intenzione di Dio è che ogni persona che incontriamo sia, un giorno, con noi in paradiso, purificata e gloriosa, con intelligenza equilibrata e brillante, con amore simile a quello di Cristo e con un corpo fulgido e perfetto. Dobbiamo veder tutto questo realizzabile qui e ora. Poiché questo sarà il nostro giudizio: “Ero affamato (di gentilezza) e me l’hai data. Ero assetato (di pazienza) e me l’hai data. Ero ammalato (a causa del peccato) e ti sei preso cura di me. Ero imprigionato (nel mio stesso egoismo) e mi hai aiutato a spezzare le catene”.

+ Domande per la riflessione. – Perché Dio ama ogni essere umano? Cristo ha “aggiunto” qualcosa alla natura umana? Qual è il progetto di Dio per ciascuno di noi?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Giacobbe, padre delle dodici tribù d’Israele, in Genesi, capp. 25-29. Larranaga, Nostro fratello, pp. 197-200.

Applicazione alla vita quotidiana. – Che cosa vede Dio, in voi, di Cristo? Perché siete degni di amore? Questa caratteristica è presente in tutti coloro che incontrate? Fate uno sforzo deliberato per vedere Cristo, attraente o deforme, in una particolare persona.

Preghiera. – Insegnami, Signore, a guardare in profondità negli altri per trovarti là. E’ così facile concentrasi sulla parte “incompleta” di una persona e non scorgere il tuo Spirito che potrebbe essere nascosto dietro un volto burbero, una parola scontrosa, un’espressione fiera. Donami gli occhi del tuo Spirito per vedere come tu vedi. Amen

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

13 – Come il Padre vede in ogni uomo i lineamenti di suo Figlio, primogenito di molti fratelli e sorelle, così i francescani secolari accolgono tutti gli uomini con animo umile e cortese, come dono del Signore e immagine di Cristo. Il senso di fraternità li renderà lieti di mettersi alla pari di tutti gli uomini, specialmente dei più Piccoli, per i quali si sforzeranno di creare condizioni di vita degne di creature redente da Cristo.

 

 

 

 

 

 

Riflessione 36

Giustizia: il primo requisito della carità

 

Non si deve creare un’artificiosa opposizione là dove non esiste, e cioè tra il perfezionamento del proprio essere e la propria presenza attiva nel mondo, quasi che non si possa perfezionare se stessi soltanto cessando di svolgere attività temporali… Quando si è motivati dalla carità di Cristo, ci si sente uniti agli altri e si sentono come propri i bisogni, le sofferenze e le gioie degli altri. (Giovanni XXIII, Mater et magistra, nn. 232 2 235)

  Giustizia e carità

Per quanto concerne la giustizia e la carità possiamo commettere due errori gravi. Primo, possiamo pensare che la giustizia riguardi ciò che dobbiamo fare per gli altri mentre la carità ciò che possiamo fare per loro, una specie di virtù in sovrappiù. Secondo, possiamo collocare la giustizia nella categorie delle cose – pagare il denaro dovuto – e la carità nella sfera delle persone – ama il tuo prossimo.
Tale sfortunato divorzio ha portato a conseguenze incredibili. Cia ha resi capaci di essere molto “onesti” – non potremmo immaginare di rubare neppure un centesimo – e tuttavia per niente preoccupati del fatto che molti nostri fratelli e sorelle vivono in perenne privazione dei diritti più basilari. Abbiamo in qualche modo sentito che era caritatevole mandare loro aiuti umanitari in cibo e vestiti usati. In effetti, non dovevamo loro nulla nel modo in cui dobbiamo qualcosa al banchiere o al lattaio. Insomma, potevamo in un modo o nell’altro essere giusti ma privi di amore, oppure capaci di amare ma ingiusti.
La giustizia è impossibile senza amore. L’amore è assoluto e insostituibile. Tutte le altre virtù e le altre pratiche devono essere espressione di esso. Se la giustizia deve essere un valore cristiano, deve essere una giustizia d’amore oppure non è affatto giustizia. E’ importante –come l’amore giusto o la giustizia che ama – pagare i debiti e rispettare i contratti. Ma c’è l’impellente necessità di interessarsi alla giustizia su un piano più basilare, con particolare attenzione verso i poveri, i deboli, i disoccupati, gli analfabeti, i portatori di handicap. La più grande ingiustizia viene perpetuata dalle istituzioni, a causa dei complicati sistemi che gli esseri umani escogitano per portare avanti i loro scopi. L’ingiustizia si può costruire proprio all’interno della cultura e delle tradizioni sociali di una nazione.   
Modelli di accoglienza discriminativi vengono sostenuti da persone che “vogliono solo ciò che è meglio per i loro figli” e che vogliono “mantenere un’istruzione di qualità”. L’inganno nel governo viene approvato da tutti coloro che capiscono che “è necessario fare qualche taglio nelle spese per far quadrare i bilanci”. Così vengono ridotti gli investimenti sociali per le scuole o per la sanità e gli accordi commerciali tengono i paesi in via di sviluppo in una condizione di povertà, perché noi dobbiamo mantenere ricca la nostra economia.

L’esempio di Francesco

Gran parte della gente non penserebbe d’istinto a san Francesco come a un riformatore sociale, eppure lo stesso Terz’Ordine (l’Ordine francescano secolare) fu un grande strumento di riforma. A nessun francescano laico fu permesso di portare armi da usare contro qualcuno. Questo rappresentò un colpo mortale contro un sistema di servizio militare obbligatorio, mediante il quale meschini signori feudali potevano costringere i loro sudditi a combattere le loro guerre di conquista e di vendetta. A Faenza, per esempio, molti cittadini si unirono ai Fratelli della Penitenza, come venivano allora chiamati i membri dell’Ofs. Quando il potestà chiese loro di fare il consueto giuramento di obbedienza mediante il quale sarebbero stati obbligati a impugnare le armi nel momento in cui le autorità lo avessero ordinato, essi rifiutarono (precursori dei nostri moderni obiettori di coscienza!), sostenendo che fare un simile giuramento implicava l’uso delle armi e la cosa andava contro la Regola. Il podestà cercò di obbligare la fraternità a giurare. Ovviamente, trovandosi in stato di necessità, si rivolsero per aver aiuto all’amico di Francesco, il cardinale Ugolino. Il papa allora ordinò al vescovo di prendere i Fratelli della penitenza sotto la sua protezione. La disputa si diffuse presto in tutta Italia. Come una sorte di punizione, le città assoggettarono i Fratelli delle penitenza al pagamento di tasse supplementari e proibirono loro di dare i propri beni ai poveri. In una lettera circolare a tutti i vescovi italiani, il papa ordinò tutto il clero di schierarsi dalla parte dei Fratelli contro le autorità pubbliche. E così il Terz’Ordine determinò almeno un parziale disarmo delle litigiose repubbliche italiane (cf. Joergensen, San Francesco d’Assisi, p. 389).

I problemi odierni

I francescani secolari di oggi possono non trovarsi di fronte ad una scelta così drastica fra l’accettazione e il rifiuto di un giuramento militare. Ma il fatto che i nostri problemi siano di un genere più complesso ed emotivo non è una scusa per evitarli. Uno di questi, quasi certamente il più grave, è il problema del razzismo. Si tratta di un problema morale, non di un problema culturale, economico o politico. Ha a che fare con gli uomini, che sono figli di Dio. Non ci dovrebbe essere bisogno di dire che i cristiani si preoccupano del benessere materiale e spirituale dei propri fratelli e sorelle. La maggior parte dei cristiani sono convinti di essere veramente interessati al problema e senza pregiudizi. Eppure a volte continuano a usare nomi spregiativi nei confronti di persone appartenenti ad altri gruppi etnici, a far tesoro di racconti su ciò che “essi” fanno, continuando così a dare scandalo per la chiesa.

Il Vangelo

La giustizia è una questione che riguarda il prendere sul serio la carità. Se siamo con la chiesa come lo era Francesco, allora saremo spronati dal chiaro richiamo all’azione di papa Paolo VI e dei vescovi durante il sinodo del 1971: “L’azione in favore della giustizia e la partecipazione alla trasformazione del mondo ci appare pienamente una dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo”. (In altre parole, l’azione per la giustizia è uno degli elementi che costituiscono la proclamazione della buona novella. Se manca, il Vangelo è reso inefficace).

+ Domande per la riflessione. – Ci può essere giustizia senza carità? Ci può essere carità senza giustizia? Citate due errori a questo riguardo.

+ Connessioni bibliche e francescane. – Giuseppe che salva i suoi fratelli, in Genesi, capp. 37-50. Larranaga, Nostro fratello, pp. 216-217.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Quale pensate che sia la più grande ingiustizia nel vostro Paese? Nella vostra regione? Nella vostra città? Nel vostro quartiere? E nel vostro modo di considerare la vita? Cercate di esaminare il linguaggio che usate nelle vostre conversazioni per vedere se contiene espressioni di pregiudizio di cui non vi rendete conto.

+ Preghiera. – Ti chiedo, Signore, un cuore capace di amare abbastanza da desiderare il meglio per tutta la gente. Amen.

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

15 – Siano presenti, con la testimonianza della propria vita umana e anche con iniziative coraggiose tanto individuali che comunitarie, nel promuovere la giustizia, e in particolare nela campo della vita pubblica, impegnandosi in scelte concrete e coerenti con la loro fede.

 

 

 

 

 

 

 

 

Riflessione 37

Giustizia: portare il Vangelo nel mondo

I fedeli, e più precisamente i laici, sono schierati in prima fila nella chiesa, e attraverso essi la chiesa è il principio vivente della società umana. Di conseguenza, essi in particolare devono avere la sempre crescente consapevolezza non solo di appartenere alla chiesa, bensì di essere la chiesa. (Pio XII)

L’apostolato di giustizia e di pace

A molte persone piacerebbe fare del bene, essere apostoli, aiutare la società, ma non sanno da dove cominciare. In ogni modo, che cosa ci si aspetta che faccia un laico?
Per prima cosa, esaminiamo il problema in generale. I pontefici, nelle loro encicliche ci dicono che abbiamo un duplice dovere. Dobbiamo cercare di formare una società moralmente migliore e dobbiamo promuovere una società le cui istituzioni siano migliori.

 Le istituzioni sociali

Il termine “istituzione” ha bisogno di essere spiegato. Indica semplicemente i grandi sistemi organizzati mediante i quali la società si prende cura delle proprie necessità e fa funzionare gli ingranaggi della civiltà. Certe necessità basilari dell’umanità sono state sempre presenti. La società potrà essersene interessata in modi diversi, ma i bisogni primari sono sempre gli stessi:
Politica: abbiamo bisogno di (e adottiamo) qualche forma di organizzazione governativa.
Economia: abbiamo bisogno di (e adottiamo) un metodo di produzione e di distribuzione dei beni.
Istruzione: abbiamo bisogno di (e adottiamo) un metodo per l’istruzione e l’insegnamento ai giovani.
Famiglia: abbiamo bisogno di (e abbiamo) un sistema di vita familiare per la procreazione e l’educazione dei figli.
Tempo libero: abbiamo bisogno di (e abbiamo) un modo per promuovere lo svago e il divertimento.
Religione: dobbiamo adorare Dio in quanto società.

L’influsso delle istituzioni

Quello che i vescovi australiani dissero anni or sono continua a essere vero anche oggi. La “causa prima della sofferenza di massa dei popoli” sta nel fatto che essi “sono dominati da enti organizzati le cui linee di condotta sono dettate da uomini che agiscono sfidando la legge morale. Il peccato si è innalzato fino al livello della politica, a causa di determinate organizzazioni le cui azioni dominano la vita di intere comunità. E la ricompensa del peccati di massa è la morte di massa”. I papi sono stati molto preoccupati per tali istituzioni che esercitano su di noi un influsso così grande. Non dobbiamo trattare solo cose strettamente “spirituali”.Dobbiamo cercare di cristianizzare le sei istituzioni sopra menzionate. Il cardinale francese Suhard, ha dichiarato: “Il laico non può accontentarsi di santificare le vite individuali; il suo compito specifico è di cristianizzare le “istituzioni sociali” come il suo quartiere, la sua categoria, le attività di svago, il cinema, la radio…”.

Riformare le istituzioni

Qualcuno potrebbe dire: “La società è costituita da individui. Quindi, si convertano gli individui e la società sarà convertita automaticamente”. Tuttavia, le cose non funzionano esattamente così. Le stesse istituzioni sono troppo potenti. Per fare un esempio, gli individui potrebbero voler migliorare le condizioni lavorative e i salari in un’industria altamente competitiva. Se lo fanno da soli, però, potrebbero trovarsi in bancarotta. Dovranno operare per unire tutti insieme i datori di lavoro affinché migliorino l’intera istituzione economica. Un genitore non vuole che i propri figli siano costretti a vedere le riviste pornografiche in vendita presso il negozio all’angolo. Se agisce da solo, però, quel genitore non riuscirà ad ottenere tanto quanto otterrà se si unirà ad altri genitori per far pressione sugli editori e i distributori.  L’apostolato sociale dovrà quasi sempre essere organizzato allo scopo di portare nella società il contributo del nostro impegno personale. Poche persone si troveranno nella posizione di influire direttamente sulla società; sono coloro che detengono importanti incarichi di governo, negli affari, nei sindacati, nelle organizzazioni  comunitarie. La maggior parte della gente può aiutare solo in modo indiretto. Forse oggi la necessità più impellente è l’istruzione negli insegnamenti sociali della chiesa. Molti movimenti buoni si spengono per mancanza di interesse da parte della gente. La gente non è interessata perché non sa nulla su questi argomenti.
Tuttavia, mentre l’unità nello sforzo comune di un gruppo può esercitare una più grande influenza nel riformare le istituzioni, non dobbiamo mai dimenticare che la gran parte delle attività dei gruppi inizia con il riconoscimento di un bisogno, con la visione e l’energia di un individuo. Come individui non dobbiamo mai sentirci impotenti quando agiamo per la giustizia.

Un esempio specifico di apostolato sociale

Per ricapitolare, prendiamo come esempio una giovane coppia istruita, sposata, con bambini in età prescolare. Per loro, l’apostolato come laici presenta tre aspetti:
Primo, c’è l’apostolato personale della preghiera e del buon esempio. Ogni cattolico può e deve fare questo, indipendentemente da qualsiasi cosa un uomo o una donna possa o non possa fare.
Secondo, questo marito e questa moglie devono cristianizzare la loro vita familiare. Ciò deve avere la priorità su qualsiasi altro lavoro. Forse essi fanno parte di un gruppo che li aiuterà a farlo per loro conto e allo stesso modo aiuterà altre famiglie. I gruppi familiari parrocchiali, dove esistono, sono ottime iniziative a tale scopo.
Terzo, la coppia può impegnarsi a portare Cristo nella società in cui vive. In base al tempo che la coppia ha a disposizione, dopo aver assolto ai doveri della famiglia e del lavoro, nonché sulla base delle personali qualità e capacità, la coppia potrà prendere parte a un’ organizzazione per il miglioramento politico e sociale.

In ogni caso, questi sposi non saranno preoccupati di salvare soltanto la propria anima; ciascuno si preoccuperà di salvare le anime degli altri. Non saranno interessati solo al proprio benessere materiale, ai propri diritti e ai privilegi; si preoccuperanno dei diritti e del benessere di tutti gli esseri umani. Si tratta di un compito enorme, complesso che impegnerà per tutta la vita . Ma dobbiamo fare quello che possiamo finché lo possiamo. Dobbiamo imparare a riconoscere i problemi, a cercare le opportunità per aiutare, a unirci agli altri in organizzazioni per “riformare le istituzioni”.

+ Domande per la riflessione. – Qual è il nostro duplice dovere? Che cosa sono le “istituzioni” della società? Perché la cristianizzazione degli individui non è sufficiente? Il bisogno sociale più impellente dei cattolici che cosa può essere? Qual è il primo dovere di una persona? Qual è il primo dovere di un marito o di una moglie?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Mosè, capo del popolo eletto, in Esodo, capp. 1-5. Larranaga, Nostro fratello, pp. 333-334.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Vi ricordate di essere mai stati fortemente interessati a operare per la giustizia nella vostra comunità? A impegnarvi per un adeguato salario per tutte le famiglie? Avete omesso di votare senza una valida ragione? Su quale delle sei istituzioni sopra citate potreste forse incidere direttamente? E quale di esse potete cercare di cristianizzare indirettamente? Possiamo ignorare una qualsiasi di esse? Fate un esame di coscienza per scoprire se siete stati egoisti nei confronti di un dovere sociale.

+ Preghiera. – Ognuno dei tuoi santi, Signore, possiede la qualità del coraggio. Riempimi della forza del tuo cuore, chiamata coraggio, per vivere il Vangelo in un mondo che troppo spesso rinnega che sei tu il Signore. Amen.

 

 

 

 

 

 

 

Riflessione 38

Giustizia: nuovi problemi sociali

O Signore, dov’è odio, fa’ ch’io porti amore; dov’è offesa, ch’io porti il perdono. (Preghiera semplice)

Cercare giustizia

Papa Paolo VI promulgò una lettera apostolica dal titolo Octogesima adveniens, in occasione dell’ottantesimo anniversario della grande enciclica Rerum novarum di papa Leone XIII. Più recentemente, papa Giovanni Paolo II ha richiamato nuovamente l’attenzione su quel documento centenario, dichiarando che il suo “insegnamento non si è limitato alla protesta, ma ha gettato uno sguardo lungimirante nel futuro” (cf. Varcare le soglie della speranza, p. 145). Papa Paolo VI decifrò nuove aree che la giustizia sociale cristiana deve considerare. Questo capitolo tocca alcune delle questioni che più lo preoccupavano riassumendo le sue parole in alcuni esempi.
“Oggi” egli disse “il fatto di maggior rilievo è che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale. Una rinnovata presa di coscienza delle esigenze del messaggio evangelico impone alla chiesa di mettersi al servizio degli uomini, per aiutarli a cogliere tutte le dimensioni di questo grave problema e convincerli dell’urgenza di una azione solidale in questa svolta nella storia dell’umanità… Tali questioni, per la loro urgenza, la loro ampiezza e complessità, devono essere al centro delle preoccupazioni dei cristiani negli anni prossimi” (Octogesima adveniens, nn. 5 e 7: EV 4/720-722). I punti che seguonosono una sintesi di quanto contenuto nei nn. 8-21 di tale enciclica.

Urbanizzazione

La civiltà precedente a quella attuale era fondata sull’agricoltura, ma ora quest’ultima sta perdendo sempre più la sua importanza. La fuga dalle campagne, l’aumento dello sviluppo industriale, l’incremento demografico e l’attrazione esercitata dalle grandi città sono la causa delle grandi concentrazioni di popolazione (talvolta si tratta di milioni di persone). Nel frattempo, l’industrializzazione consente a certi settori di mercato di svilupparsi mentre altri scompaiono o si spostano.
Così, sorgono nuovi problemi sociali: la disoccupazione per un settore professionale o per un’area, il trasferimento dei lavoratori, l’eliminazione di alcuni lavori e la creazione di altri mediante i cambiamenti della tecnologia, condizioni impari in vari rami dell’industria. La concorrenza sfrenata creata dai moderni sistemi pubblicitari e il commercio via Internet lanciano incessantemente nuovi prodotti sul mercato e cercano di attirare nuovi consumatori mentre altri impianti industriali, ancora in grado di funzionare, diventano inutili. Vaste aree di popolazione non possono soddisfare i bisogni primari mentre vengono abilmente creati bisogni superflui. Così, un quesito inquietante si pone all’attenzione: dopo aver controllato la natura, l’uomo sta ora diventando schiavo delle cose che produce?

I cristiani in città

In una società industriale, l’urbanizzazione può turbare la famiglia, il quartiere, e finanche la struttura della comunità cristiana. L’uomo fa esperienza di una nuova solitudine, tra la folla anonima che lo circonda, nella quale egli si sente un estraneo.  Nuove classi lavoratrici sono sorte nel cuore della città, talvolta abbandonate dai ricchi. Esse formano una cintura di miseria, una silenziosa protesta contro il lusso, il consumismo e lo spreco che vedono così vicino a loro. La grande città può covare la discriminazione e l’indifferenza. Si presta a nuove forme di sfruttamento e di dominio. La miseria si diffonde laddove la dignità umana si abbassa in mezzo alla delinquenza, alla violenza, alla criminalità, all’abuso di droghe e sesso.
C’è l’urgente necessità di rifare il tessuto sociale in modo che tutti gli esseri umani possano crescere e migliorare se stessi e le loro condizioni, provvedendo alle proprie necessità. Si devono creare o sviluppare dei centri culturali a livello di comunità o di parrocchia. I cristiani devono scoprire nuovi modi di intrattenere rapporti di buon vicinato, devono applicare la giustizia sociale in maniera originale e assumersi la responsabilità per un futuro comune a tutti.

 

Giovani

Da sempre ci sono incomprensioni e difficoltà nella comunicazione fra generazioni. Errori commessi in questo campo talvolta sono causa di gravi conflitti, anche all’interno delle famiglie. Il nostro compito come cristiani è quello di rispettare l’energia, le aspirazioni e le richieste dei nostri giovani, e nello stesso tempo offrire loro i valori sui quali si fonda la nostra società e la religione.

Il ruolo delle donne

C’è una vitale richiesta di porre fine alle discriminazioni delle donne e di stabilire la parità dei diritti. Nel perseguire tali scopi, però, dobbiamo aver cura di impedire che un distorto concetto di uguaglianza neghi alle donne l’opportunità di scegliere e adempiere il proprio ruolo storico nel cuore della famiglia e della società. La legge e il nostro atteggiamento cristiano dovrebbero proteggere le donne, la loro indipendenza come individui e il loro pari diritto di partecipazione alla vita culturale, economica, politica e sociale.

I lavoratori

Ogni individuo ha diritto al lavoro, allo sviluppo delle sue qualità e della sua personalità nell’esercizio di una professione, e alla corresponsione di un giusto salario che consentirà alla sua famiglia di condurre una vita dignitosa sia sul piano materiale che su quello sociale, culturale e spirituale. I lavoratori devono aver diritto all’assistenza sanitaria nonché al soddisfacimento dei bisogni che sorgono nell’età avanzata.
Si deve riconoscere l’importante ruolo svolto dalle associazioni sindacali, le quali rappresentano lavoratori, collaborano insieme per il progresso economico della società, e hanno una responsabilità nel perseguimento del bene comune. Ma talvolta nasce la tentazione di imporre, specialmente mediante gli scioperi, condizioni che possono essere dannose all’economia complessiva e alla società.
Non dobbiamo mai dimenticare che lo scopo, nel dedicarci alle nostre professioni è quello di usare il talento che Dio ci ha donato per guadagnarci da vivere, non per fare quattrini. Con questo concetto in mente ci ricorderemo che per salari giusti s’intendono salari buoni per i lavoratori di entrambe le estremità della scala dei salari: non assegni paga colossali e competenze favolose a un’estremità della scala e invece paghe misere, a livello di sussistenza, dall’altra.
I francescani confermano la posizione di Gesù e di san Francesco, secondo la quale gli individui valgono non a causa di ciò che possono produrre ma per quello che sono agli occhi di Dio.

Vittime del cambiamento

E’ necessario un certo discernimento per scoprire le radici delle nuove situazioni di ingiustizia. In una società industrializzata con le sue costanti e rapide evoluzioni, un sempre maggior numero di persone è personalmente svantaggiato. La chiesa rivolge l’attenzione a questi nuovi “poveri” – i disabili e le persone con problemi mentali, gli anziani, vari gruppi di minoranza, i lavoratori poveri – con lo scopo di riconoscerli, aiutarli, e difendere il loro posto e la loro dignità in una società indurita dalla competizione.
Si devono proteggere i diritti dei lavoratori al mantenimento dei benefici dell’assistenza sanitaria e delle pensioni di anzianità, in particolare quando il ridimensionamento aziendale e la ristrutturazione creano perdite di posti di lavoro.

Discriminazione

Fra le vittime dell’ingiustizia si devono collocare anche coloro che subiscono discriminazioni per razza, origine etnica, cultura, sesso, tendenza sessuale o religione.
La discriminazione razziale ed etnica assume particolare rilievo nel nostro tempo e rea tensioni in tutto il mondo. Tutti i membri della razza umana sono depositari dei medesimi diritti e doveri di base e condividono lo stesso eterno destino. Tutti dovrebbero essere uguali davanti alla legge, trovare pari ammissione alla vita economica, culturale, civile e sociale, e beneficiare di una giusta condivisione delle ricchezze e delle opportunità nazionali.

 

I lavoratori immigrati

Molti lavoratori immigrati hanno difficoltà di inserimento sociale nei paesi di accoglienza anche se costituiscono un’importante forza lavoro. Questi lavoratori dovrebbero essere integrati, provvedendo al loro avanzamento personale e professionale, in modo che possano disporre di alloggi decorosi dove farsi raggiungere anche dalle loro famiglie. Tutti, i cristiani in particolare, dovrebbero collaborare per la fratellanza universale. In tutta sincerità, non possiamo appellarci a quel Dio che è il Padre di tutti se ci rifiutiamo di agire in modo fraterno verso certi uomini e donne anch’essi creati a immagine di Dio.

I media

I mezzi di comunicazione hanno grandemente influenzato la quantità e la qualità delle informazioni che riceviamo, trasformando la nostra società. I responsabili di tali mezzi hanno una grande responsabilità morale di fronte alla verità, ai bisogni e alle reazioni che provocano e ai valori che propongono. Abbiamo tutti la grande responsabilità morale di far sì che i mezzi di comunicazione siano sempre attenti al proprio ruolo e di far sì che tale responsabilità sia sempre riconosciuta.

L’ambiente

All’improvviso siamo divenuti consapevoli che il nostro sfruttamento della natura comporta gravi rischi per la salute e la vita nostra e dell’intero pianeta. Dobbiamo essere consapevoli di come le nostre scelte quotidiane possono contribuire alla distruzione dell’ambiente. Sprechiamo, forse, l’energia di cui la nostra società è una sproporzionata consumatrice? Riduciamo i nostri consumi, riutilizziamo il più possibile ciò che possiamo riciclare? Cerchiamo dei modi per semplificare il nostro stile di vita che ci aiutino a creare un ambiente più sano?

Una chiamata all’azione

“I laici devono assumere come loro compito il rinnovamento dell’ordine temporale (…), spetta a loro, attraverso la loro libera iniziativa e senza attendere passivamente consegne o direttive, di infondere lo spirito cristiano nella mentalità, nei costumi, nelle leggi e nelle strutture della comunità in cui vivono. Le parole sono inutili senza una viva consapevolezza della responsabilità personale e senza un’azione effettiva. La speranza del cristiano viene principalmente dal fatto di sapere che il Signore sta compiendo la sua opera nel mondo insieme a noi” (cf. Octogesima adveniens, n. 48: EV 4/775).
“Non temete” disse Gesù ai suoi discepoli (cf. Luca 24,36). Giovanni Paolo II scelse quelle parole per iniziare il suo pontificato. Oggi, esse riecheggiano fino a noi. Non dobbiamo temere di andare avanti per compiere ciò che Gesù stesso compirebbe per creare un mondo migliore, a cominciare dal luogo in cui viviamo.

 

+ Domande per la riflessione. – Quali principi cristiani fondamentali hanno a che fare con la discussione di queste problematiche? La chiesa – e anche i singoli cristiani – ha una responsabilità nel collaborare per risolverle?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Le piaghe, l’agnello pasquale in Esodo, capp. 6-12. Larranaga, Nostro fratello, pp. 299-301.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Quali esempi concreti di ingiustizia sofferta dai poveri potete portare? Scegliete una certa situazione e decidete una cosa semplice che potete fare per portarvi giustizia. Pensate a un modo pratico con il quale potete semplificare il vostro stile di vita e aiutare l’ambiente.

+ Preghiera. – Dio Creatore, tu ordinasti al genere umano da te creato di essere fecondo e di moltiplicarsi, e così abbiamo fatto. Siamo in tanti e molto spesso non riusciamo ad andare d’accordo gli uni con gli altri. Le famiglie si spaccano, i cittadini discutono e lottano, i paesi si fanno la guerra. In mezzo a tanti conflitti, aiutaci a vivere la tua soluzione ai nostri problemi sociali: “Amatevi l’un l’altro come io vi ho amato”. Amen.

Riflessione 39

La pratica della giustizia

E ciascun membro dovrà dare al tesoriere un denaro di moneta corrente. Il tesoriere deve raccogliere questo denaro e distribuirlo su consiglio dei ministri tra i fratelli e le sorelle poveri, specialmente fra i malati e coloro che rimarrebbero privi delle esequie; e poi fra gli altri poveri. Offrano inoltre una certa somma di denaro alla chiesa dove tengono i loro incontri. (San Francesco, Prima Regola del Terzo Ordine, 1221: FF 3381, ed. minor).

La testimonianza della chiesa

Uno dei documenti importanti della tradizione ecclesiastica sulla giustizia sociale si intitola La Giustizia nel mondo, e fu promulgato dal sinodo dei vescovi riunito da papa Paolo VI nel 1971. Questa lezione è una sintesi del terzo capitolo, intitolato “L’attuazione della giustizia”, di quel documento (cf. EV 4/1274-1308)
 La chiesa riconosce che chiunque ha il coraggio di parlare della giustizia alla gente deve lui per primo essere giusto di fronte agli altri. Perciò è necessario fare un esame circa lo stile di vita che si trova entro la stessa chiesa, circa il nostro modo di agire e i beni materiali che possediamo.
I diritti devono essere rispettati all’interno della chiesa per coloro che la servono con il proprio lavoro. Coloro che sono alle dipendenze della chiesa, laici, uomini e donne, dovrebbero avere mezzi di sussistenza sufficienti mediante un equo salario e un sistema di promozione per il godimento della sicurezza sociale abitualmente praticata in quella regione. Sono stati fatti progressi nell’esercizio da parte dei laici di importanti funzioni concernenti l’amministrazione dei beni della chiesa, e si auspica che possano svolgere tale ruolo in maniera crescente.

 Libertà di espressione e di pensiero: la chiesa riconosce il diritto di ciascuno a una conveniente libertà di espressione e di pensiero, il che comprende il diritto di ciascuno ad essere ascoltato in uno spirito di dialogo che protegga la legittima diversità all’interno della chiesa.
Procedimento giudiziario: l’accusato ha diritto di conoscere i suoi accusatori nonché il diritto a una adeguata difesa. Per essere completa, la giustizia deve includere la rapidità nel processo. Ciò è richiesto in particolare nelle cause matrimoniali.
Condivisione della responsabilità: in conformità con le regole stabilite dal Vaticano II e dalla Santa Sede, i membri della chiesa dovrebbero partecipare alla preparazione delle decisioni. I laici dovrebbero assumere un ruolo attivo negli organismi consultivi (consigli) ecclesiastici a tutti i livelli che trattino temi che interessano tutti i membri della chiesa.
Beni terreni: non deve mai accadere che la testimonianza evangelica della chiesa venga oscurata dalle ricchezze materiali che possediamo, indipendentemente dall’uso che ne facciamo. Lo stesso si deve dire riguardo ai privilegi di cui gode la chiesa. La nostra fede esige una certa parsimonia nell’uso delle cose da parte nostra. Dovremmo vivere e amministrare i nostri beni in modo tale che la buona novella sia proclamata ai poveri in maniera convincente. Se la chiesa appare identificata con i ricchi e i potenti del mondo, la sua credibilità ne verrà sminuita o sarà perduta.
Stile di vita: vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, tutti sono tenuti a esaminare il proprio stile di vita. Il fatto di appartenere alla chiesa ci pone forse in un’isola di ricchezza in mezzo alla povertà? Nella nostra società opulenta, il nostro stile di vita offre un esempio di quella parsimonia nei consumi che proclamiamo necessaria per poter nutrire milioni di persone affamate nel mondo?

Educazione alla giustizia

L’educazione alla giustizia viene impartita prima in famiglia, poi nel posto di lavoro, a scuola, nella chiesa. Il contenuto di tale educazione implica necessariamente il rispetto della persona e della sua dignità. Prima di tutto, viene posto l’accento sull’unità della famiglia umana. Tutti gli esseri umani, in Cristo, sono destinati a prendere parte alla natura divina.  I principi fondamentali mediante i quali la vita evangelica può farsi sentire nella vita sociale contemporanea si trovano negli insegnamenti raccolti nei documenti del Vaticano II e nelle seguenti encicliche sociali: Gaudium et spes: costituzione pastorale della chiesa nel mondo moderno; Apostolicam actuositatem: decreto sull’apostolato laico; Laborem exercens: sul lavoro umano; Christifideles laici: la vocazione e la missione dei fedeli laici nella chiesa e nel mondo; Rerum novarum di papa Leone XIII; Quadragesimo anno di papa Pio XI; Mater et magistra e Pacem i terris di papa Giovanni XXIII; Populorum progressio di papa Paolo VI; la Giustizia nel mondo, documento del sinodo del 1971. (Per ulteriori informazioni su questi documenti vedere la bibliografia).
In tutti i modi, piacevoli o meno, abbiamo il dovere di mettere la parola di Dio al centro di ogni situazione umana. Le nostre dichiarazioni dovrebbero essere sempre in armonia con le circostanze di luogo e di tempo ed essere un’autentica espressione di fede. La nostra missione esige anche che denunciamo l’ingiustizia, con carità, prudenza e fermezza, e nel dialogo sincero con tutte le parti coinvolte.
Per finire, la liturgia può servire grandemente all’educazione alla giustizia, aiutandoci a scoprire l’insegnamento dei profeti, del Signore e degli apostoli sul tema, appunto, della giustizia. La preparazione al battesimo costituisce l’inizio della formazione della coscienza cristiana. La pratica della riconciliazione dovrebbe mettere in evidenza la dimensione sociale del peccato e del sacramento. L’eucaristia forma la comunità e la colloca al servizio dell’umanità.

Cooperazione delle chiese

Dovrebbe esistere una grande cooperazione fra le chiese cattoliche delle regioni povere e delle regioni ricche, sia attraverso la comunione spirituale sia mediane la condivisione delle risorse umane e materiali. Noi cattolici dovremmo cooperare anche con le chiese cristiane sorelle per la promozione della dignità umana e dei diritti umani fondamentali, specialmente il diritto alla libertà di religione. Possiamo unire i nostri sforzi nella comune lotta alla discriminazione basata sulla religione, la razza, la cultura o il sesso. La collaborazione si estende anche allo studio degli insegnamenti evangelici come ispirazione per tutte le attività cristiane. E davvero dovremmo cooperare con tutti i credenti in Dio nella promozione della giustizia sociale, della pace e della libertà.

L’azione internazionale

L’ordine internazionale affonda le sue radici negli inalienabili diritti e nella dignità dell’essere umano. La dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Unite dovrebbe essere osservata da tutti. Le Nazioni Unite, i movimenti per la pace nonché altre organizzazioni internazionali dovrebbero essere supportate fintanto che costituiscono il punto di partenza di un sistema che lotta per limitare i conflitti armati e i conflitti territoriali fra le nazioni mediante metodi pacifici. Si dovrebbe riservare attenzione alle posizioni dei vescovi sui problemi di giustizia sociale. Tra questi ci sono anche quelli riguardanti la riduzione del debito ai paesi del terzo mondo, prezzi più equi per le materie prime, l’apertura dei mercati delle nazioni più ricche e il rispetto dei diritti umani nei posti di lavoro in tutte le nazioni.

Un mondo di speranza

Nel mondo la forza dello Spirito Santo è continuamente all’opera. Il popolo di Dio è presente fra i poveri e fra coloro che patiscono la persecuzione e l’oppressione. Il corpo di Cristo, che è la chiesa, vive sulla propria carne la passione di Cristo e porta a tutti i popoli la testimonianza della sua risurrezione.
La trasformazione radicale del mondo attraverso il mistero pasquale dà pieno significato agli sforzi compiuti dagli uomini per ridurre l’ingiustizia, la violenza e l’odio, e per progredire uniti nella giustizia, nella libertà, nella fratellanza e nell’amore.

+ Domande per la riflessione. –  L’Ordine francescano secolare come può cooperare con gli obiettivi dell’insegnamento della chiesa sulla giustizia sociale? E in che modo una fraternità locale può contribuire al raggiungimento di quegli obiettivi?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Il popolo eletto nel deserto, la manna e l’acqua, in Esodo, capp. 13-18. Larranaga, Nostro fratello, pp. 179-183.

+ Applicazione alla vita quotidiana.- Quale dei punti descritti nel paragrafo “La testimonianza della chiesa” è per voi il più significativo? Avete letto qualcuno dei documenti citati? Considerate seriamente l’idea di studiare o di collaborare a un progetto per la promozione della giustizia e della pace.

+ Preghiera. – Signore, per praticare veramente la giustizia nel mondo devo guardare le cose non soltanto dal mio punto di vista bensì dalla prospettiva degli altri: i poveri, gli ignoranti, i prigionieri, i perseguitati. Ti prego, Signore, dammi una visione più ampia del mondo, perché impari a vederlo come lo vedi tu, e dammi il coraggio di divenire uno strumento di cambiamento. Amen.

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare
6 – Sepolti e risuscitati con Cristo mediante il battesimo che li rende membri vivi della chiesa, e a essa più fortemente vincolati per la professione, si facciano testimoni e strumenti della sua missione fra gli uomini, annunciando Cristo con la vita e con la parola.
Ispirati da san Francesco e con lui chiamati a ricostruire la chiesa, si impegnino a vivere in piena comunione con il papa, i vescovi e i sacerdoti, in un fiducioso e aperto dialogo di creatività apostolica.
Riflessione 40

L’apostolato della pace

Il Signore mi rivelò che dicessi questo saluto: “Il Signore ti dia pace”. (San Francesco, Testamento, 27: FF 121)

Francesco e la pace

Francesco di Assisi fu un uomo estremamente semplice, che comprese la vera essenza della vita. Sappiamo che il desiderio di pace è uno dei desideri più profondi del cuore umano ( e di Cristo). Dovunque Francesco andasse, egli salutava la gente dicendo: “Il Signore ti dia pace!”. E lo voleva davvero!

Beati gli operatori di pace

San Francesco visse le beatitudini di nostro Signore. L’insegnamento di Gesù “beati gli operatori di pace” rappresentò la sorgente continua del suo apostolato. Poiché queste parole erano nel Vangelo, egli volle che fosse una particolare regola di vita per tutti i suoi fratelli e sorelle. Sin dall’epoca di Francesco, il saluto dei francescani è stato “Pax et bonum!”. “Pace e ogni bene a voi!”. “Pace e bene!”. La memoria di Francesco può aggiungere grande calore a questo saluto tra francescani, e che i francescani fanno ad altri.

Che cos’è la pace?

La pace non è semplicemente una sensazione di benessere o l’assenza di problemi, di tentazioni e di sofferenza. Cristo fu in pace sulla croce, e Maria si sentiva in pace quando perse suo figlio. La chiesa ha la pace anche se deve sempre soffrire. La definizione di pace di sant’Agostino è classica. Egli chiamava pace la”tranquillità dell’ordine”. Con questo egli intendeva dire che per ottenere la vera pace ogni cosa deve essere in ordine. Se la nostra vita è governata dalle leggi dell’amore di Dio, il nostro rapporto con Dio così come il nostro rapporto con gli altri, è pacifico. E indipendentemente dai turbamenti che ci possono essere sulla superficie della nostra vita, come cristiani noi possiamo essere pacifici con una serenità interiore che nulla ci può togliere. Un vivere veramente virtuoso è la chiave per avere la pace. Dovrebbe essere ovvio che la sensazione di pace interiore deve precedere ogni autentico operare per la pace.

Le virtù dei costruttori di pace

Un costruttore di pace deve essere umile. Quando le persone si prendono per la gola le une contro le altre, non sono certo dell’umore adatto a subire prediche, ma possono essere calmate grazie alla calma presenza di qualcuno da cui non hanno nulla da temere.
Un costruttore di pace deve essere caritatevole. Egli non cercherà di imporre la sua volontà a qualcuno, né di guadagnarsi la reputazione di arbitro intelligente. Egli cercherà di garantire verità e bontà. Cercherà di creare un piccolo spazio vitale per l’amore di Dio. L’operatore di pace deve essere prudente e paziente. San Paolo dice: “Se possibile, siate in pace con tutti gli uomini”. Si deve perdonare quando il sarcasmo darebbe gran soddisfazione, e a pazientare quando ci sono tutte le ragioni per rinunciare.
Talvolta dobbiamo essere soddisfatti di un programma a lungo termine. Anche se la coppia della porta accanto sta litigando, i due si chiuderebbero a riccio, se qualcuno dall’esterno cercasse di redarguirli. Ma un costante bombardamento di cortesia, allegria e gentilezza ammorbidirà le loro tensioni e la rabbia.

 

 

 

I costruttori di pace devono essere a immagine di Cristo

Tutto questo è per dire che i francescani secolari devono essere a immagine di Cristo nell’operare la pace. “Vi do la mia pace ma non come ve la dà il mondo”. Il genere di pace che Cristo dà può essere acquistata talvolta solo al prezzo del dolore. Egli disse: “sono venuto non per portare la pace ma la spada”. Questo vuol dire che, a volte, la conseguenza dell’ insegnamento di Cristo ci porterà faccia a faccia con l’opposizione maligna. Allora, scomparirà ogni ingannevole e superficiale piacevolezza, come accadde sul Calvario. Ma la pace della buona volontà, che solo Dio può dare, sarà sempre il segno dei suoi figli. Francesco non ebbe la pace con suo padre, ma ebbe la pace di Cristo.
Come accade in guerra, anche la pace talvolta viene fatta mediante la resa, non perché si rinuncia a un principio ma perché si cede alle preferenze altrui. A volte possiamo sentirci costretti alla rinuncia per mantenere la pace. Possiamo arrenderci senza amarezza né rancore, come Cristo si abbandonò al potere umano, con amore e dignità.
La storia di Francesco e dei suoi seguaci è riccamente intessuta di esempi di pacificazione. Nell’Ordine, Antonio, Bernardino da Siena, Giovanni da Capistrano, Elisabetta d’Ungheria, sono fulgidi esempi della pace interiore che trabocca e pervade le vite altrui.

+ Domande per la riflessione. – Che cos’è la pace?  Perché un francescano dovrebbe compiere uno sforzo particolare ai fini della pace? Qual è il segreto della pace? Che cosa significa: “Sono venuto non per portare la pace, ma la spada”?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Giosuè, successore di Mosè, in Giosuè, capp. 1-3, 6, 24. Larranaga, Nostro fratello, pp. 333-334.

+ Applicazione alla vita quotidiana.- Quali sono i vostri doveri nei confronti della pace? Potete trovare la pace nella tentazione? Nella sofferenza? Nell’aridità dello spirito? E’ da codardi cedere per mantenere la pace? Quando? La diplomazia della gentilezza a lungo termine è contraria alla semplicità francescana? Ricordate: la pace dipende dalla verità. Attenetevi ai fatti nel mantenere la pace. Contribuite a portare la pace nel vostro quartiere lasciando cadere le voci e i pettegolezzi che vi giungono all’orecchio. Per la vostra stessa pace cercate di essere sempre in unione con Dio.

+ Preghiera. – Signore, fa’ di me uno strumento… (vedi la Preghiera semplice, pag 2)

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

19 – Quali portatori di pace e memori che essa va costruita continuamente, ricerchiamo le vie dell’unità e delle fraterne intese, attraverso il dialogo, fiduciosi nella presenza del genere divino che è nell’uomo e nella potenza trasformatrice dell’amore e del perdono. Messaggeri di perfetta letizia in ogni circostanza, si sforzino di portare agli altri la gioia e la speranza. Innestati nella risurrezione di Cristo, la quale dà il vero significato a sorella morte, tendano con serenità all’incontro definitivo con il Padre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riflessione 41

Aver cura del creato

Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. (Genesi 1,31)
 

Far tesoro del creato

Francesco d’Assisi nel 1989 fu nominato il santo patrono dell’ecologia per una buona ragione. Potremmo dire che Francesco vedeva con gli occhi di Dio. Egli vide che tutto della creazione era buono, molto buono. Francesco considerava come un tesoro ogni cosa creata che vedeva, dal monte Subasio sul quale si appollaiava guardando Assisi, fino al più piccolo lombrico strisciante incontrato sulla strada polverosa vicino alla sua cittadina. Francesco era convinto che tutto il creato era un dono di Dio e perciò andava trattato come un tesoro. Nel Cantico delle creature, Francesco lodò Dio per tutto il creato: il sole, la luna, le stelle e il cielo, il vento e l’aria, l’acqua e il fuoco, i fiori e i frutti e l’erba. Il cuore di Francesco era colmo di gratitudine per tutti questi doni di Dio.
Francesco stava seguendo Gesù, il quale aveva egualmente considerato il creato come un tesoro fino al punto da usare immagini tratte dalla natura come base per spiegare le verità spirituali a coloro che gli si affollavano intorno. Egli parlò di semi e di pecore, dia alberi di fico e di campi, di perle e piante, di grano e acqua. Egli parlò di questi elementi del creato per portare la gente più vicina a Dio.
Pensate per un momento all’oggetto più caro che possedete. In che modo ve ne prendete cura? Forse lo contemplate amorevolmente o lo maneggiate con cura. Ringraziate la persona che ve lo ha dato. Riflettete sul suo significato nella vostra vita. Lo usate con rispetto. Scegliete di non usarlo in modi che potrebbero distruggerlo. E’ questo il modo in cui siamo chiamati a rispettare tutto il creato, che Dio ci ha affidato per il nostro uso.
Il poeta irlandese Oscar Wilde scrisse: “Dove c’è dolore c’è terra sacra”. Dove vediamo corsi d’acqua inquinati, foreste devastate dalla pioggia acida o dall’eccessivo disboscamento, mucchi di ciarpame abbandonato, l’aria appesantita dalle emissioni industriali e dai gas di scarico dei motori, e proviamo per tutto ciò un senso di dolore, ebbene potrebbe essere l’inizio per ricreare quelle zone come “terra sacra”. Dall’osservazione dell’attuale condizione della terra deriva l’inizio del cambiamento riguardante il modo che scegliamo di usare il prezioso dono divino della creazione.

Ecologia e consumismo

Si è dato molto rilievo alla moderna cultura del possesso. Tale concetto va contro gli insegnamenti di Gesù. Gesù fu tanto lontano dall’idea di dare valore alle cose possedute da dire ai suoi seguaci: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Matteo 8,20). Egli non dava valore neppure a un posto dove dormire la notte. Si tratta di una scelta piuttosto estrema, ma il cristianesimo è estremo quando viene messo a confronto con i valori di molte culture. Il cristianesimo ci spinge ad allontanarci da noi stessi per andare verso gli altri: da “me” a Dio. Questo movimento si deve riflettere nelle nostre abitudini negli acquisti. Indipendentemente dalla scarsa o abbondante ricchezza materiale a nostra disposizione, siamo chiamati ad usare la saggezza di Dio nel determinare come spenderla. Non dobbiamo giudicare il comportamento degli altri, ma dobbiamo considerare, con la riflessione e la preghiera, in che modo le nostre abitudini intaccano la salute della terra.
Secondo uno studio, un bambino nato negli Stati Uniti consumerà le risorse naturali della terra in quantità centro volte superiore a quella di un bambino nato in un paese in via di sviluppo. Si tratta probabilmente di una stima moderata. Non c’è bisogno di dire che non vogliamo che l’esistenza dei bambini sia come quella estremamente misera alla quale sono costretti i bambini dei paesi del terzo mondo. E nemmeno vogliamo essere noi la causa della povertà nel mondo per il modo in cui ne sfruttiamo le risorse. Non esiste un’unica risposta “esatta” al problema. Ciascuno di noi deve cercare la propria risposta attraverso la preghiera, attraverso l’informazione sulle fragili condizioni ambientali sulla terra, attraverso l’osservazione di ciò che ci circonda e l’analisi delle nostre abitudini. Quindi dobbiamo agire in conformità con la direttiva che Dio ci dà.

La Regola dell’Ordine francescano secolare richiama i francescani a una “Fratellanza universale” con il creato. Questo ci dice che siamo tutti imparentati gli uni con gli altri e con l’universo. Ciò che viene inflitto alla terra ferisce in un modo o nell’altro anche me e la mia famiglia attraverso la catena della vita che ci lega tutti. E ciò che viene risanato in qualunque parte della terra favorisce anche il risanamento vicino a casa nostra.
 
+ Domande per la riflessione.-  A chi appartiene la terra? Che cosa avete fatto, recentemente, per migliorare l’angolo della terra in cui vivete? In termini di denaro che cosa rappresenta “abbastanza” per voi? Proprietà? Edifici? In che modo percepite l’importanza della “fratellanza universale” nella vostra vita?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Il Creato nel Salmo 8. Larranaga, Nostro fratello, pp. 330-333.

+ Applicazione alla vita quotidiana.- Scoprite dove sono le discariche dei rifiuti e del ciarpame nella vostra zona e andate a visitare il luogo. Cercate di ridurre il vostro contributo a quell’accumulo diminuendo la quantità dei vostri acquisti, riutilizzando, quando possibile, le cose usate e riciclando tutto il materiale riciclabile. Diventate difensori attivi della riduzione dei consumi, del riutilizzo delle cose e del riciclaggio dei materiali. Passeggiate in un parco o in un altro ambiente naturale e pacifico ricordando fra voi: questo è un suolo sacro. Condividete le riflessioni fatte durante le passeggiate con un amico. Quale cosa potete cominciare a fare oggi stesso in maniera diversa per conservare o recuperare un po’ del creato? 

+ Preghiera.- Lodato sii, mio Signore, per nostra sorella madre Terra, la quale ci nutre e ci governa, e produce diversi frutti con colorati fiori e l’erba. Amen. (San Francesco, Cantico delle creature: cf. FF 263).

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

18 – Abbiano, inoltre, rispetto verso le altre creature, animate i inanimate, che “dell’Altissimo portano significazione”, e si sforzino di passare dalla tentazione di sfruttamento alla concezione francescana di fratellanza universale.

Riflessione 42

Lavoro: un progetto comune nel creato

Vivrai del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai d’ogni bene. (Salmo 127/128, 2). Chi non vuol lavorare, neppure mangi (1Tessalonicesi 3,10). Ciascuno dovrebbe restare nel mestiere e nella posizione cui è stato chiamato… Sempre si dovrebbe fare qualcosa di degno; allora il diavolo vi troverà sempre indaffarati. (San Girolamo, Epistola 125)

Il lavoro è un dono

Se ci sentiamo esausti dopo una difficile giornata di lavoro, forse dubitiamo dell’idea che il lavoro sia un dono. In effetti, potrebbe non sempre apparire come un dono. Tuttavia, provate a considerare le alternative quando una persona non ha l’opportunità di lavorare: disoccupazione, disperazione, mancanza di una casa, incapacità di badare a se stessa e alla propria famiglia. Coloro che sono costretti ad affrontare tale situazione sanno quanto è allarmante non poter lavorare. Una delle maggiori frustrazioni causate dalla malattia o dall’invalidità fisica è l’incapacità di lavorare nel modo consueto. Quando lavoriamo, facciamo uso dei doni che Dio ci ha dato. Forse un corpo robusto è il dono che ci rende abili al lavoro manuale. Una mente curiosa può portarvi a diventare scienziati, insegnanti o scrittori. Una grande sensibilità verso i bisogni altrui può collocarvi in una professione sociale o farvi dei genitori capaci. Qualunque lavoro facciamo, fintanto che non causa scandalo e non ci impedisce di essere fedeli seguaci di Gesù,è un dono che Dio ci fa.
I doni di Dio non ci sono concessi per noi soltanto. Io non lavoro per avere di più e di più per me. Il lavoro è un dono che riceviamo. Il lavoro è un dono che facciamo. Usiamo i nostri doni per continuare l’opera della creazione divina e nel farlo Dio continua a crearci. Scoprire i nostri talenti e le nostre capacità e farne un uso produttivo ci aiuta a scoprire noi stessi. Quando eravamo piccini scoprimmo le nostre dita. Poi scoprimmo che cosa quelle piccole dita potevano fare. Esse potevano raccogliere un pezzo di banana o stringere le dita del babbo. In seguito, quelle piccole dita possono aver imparato a suonare il flauto o a tenere una mazza di baseball. Forse nel corso della vita quelle dita hanno fatto funzionare un computer, hanno progettato edifici, o hanno eseguito interventi chirurgici. Il gioco è il lavoro mediante il quale il bambino scopre le sue doti particolari che continueranno a creare il mondo.
All’inizio di ogni giornata, possiamo esprimere un ringraziamento a Dio per il lavoro che ci aspetta, per il dono del talento che ci rende capaci di eseguire quel lavoro, per le persone con le quali lavoreremo, per i risultati della nostra fatica che ancora non riusciamo a vedere. Se il nostro lavoro non ci gratifica, potremmo chiedere a Dio la capacità di sviluppare i nostri doni in nuove direzioni. In quel caso, dobbiamo essere disposti a lavorare per il nostro sviluppo mediante l’esercizio e l’istruzione.

Francesco e il lavoro

Quando Francesco sentì la chiamata di Dio, gli fu detto: “Va’ e riedifica la mia chiesa”. Dal momento che Francesco non temeva il lavoro fisico, iniziò immediatamente a restaurare piccole chiese nella pianura umbra. Egli raccolse e trasportò pietre, mendicò altri materiali e usò la forza dei suoi muscoli e il sudore della sua fronte per rattoppare mura sgretolate e rifare tetti crollati. Egli lavorò.
Qualcuno potrebbe pensare che in seguito Francesco avesse sviluppato avversione al lavoro per il fatto che insisteva affinché i suoi fratelli mendicassero il cibo e cercassero riparo in luoghi abbandonati piuttosto che costruire case per se stessi, piuttosto che costruire case per se stessi, piuttosto che guadagnare il denaro per recarsi al mercato o affittare un posto dove vivere. Comunque, i frati furono incoraggiati a continuare le attività che avevano intrapreso prima di diventare seguaci di Francesco. Per paga fu loro permesso di accettare qualunque cosa fosse essenziale per le loro necessità quotidiane, eccetto il denaro.  Il lavoro rappresentava un dono per coloro per i quali era fatta la fatica. Una ricompensa sotto forma di cibo o vestiario era un dono da parte di coloro che beneficiavano della fatica dei seguaci di Francesco. Essi erano attenti a non permettere che il lavoro interferisse con la loro vita spirituale. Essi “dovrebbero lavorare in uno spirito di fede e  devozione ed evitare la pigrizia, che è nemica dell’anima, senza tuttavia estinguere lo spirito di preghiera e devozione, ai quali ogni considerazione temporale deve essere sottomessa” (San Francesco, Omnibus, p. 61; cf. FF 88).
In quanto coppie sposate, a coloro con famiglia che sceglievano di seguire la via di Francesco la proibizione a ricevere paghe in forma di denaro fu modificata. Mentre le responsabilità dei laici erano pari a quelle dei religiosi nel non lasciare mai che il lavoro diminuisse lo spirito di preghiera e devozione, fu loro permesso di ricevere paghe in denaro.
Il luogo in cui lavoriamo – in un ufficio, in un cantiere, a casa nostra, in un magazzino o in un ospedale – è il luogo in cui siamo chiamati a vivere “il Vangelo nella vita e la vita nel Vangelo”. Viviamo il Vangelo nel posto in cui lavoriamo e il posto del lavoro ci incoraggia a imparare la via del Vangelo più pienamente. Le paghe ricevute in cambio del lavoro eseguito possono essere utilizzate in modi creativi per il miglioramento di altri che possono essere meno fortunati di noi. I francescani secolari, oggi comprendono che guadagnarsi da vivere è un modo di vivere onorevole, ed è un modo per usare i doni che Dio ci ha fatto. Lavorare significa diventare co-creatori insieme a Dio.

Trasformare il lavoro in gioco

Francesco rese il suo lavoro un gioco. Percorrendo le strade dell’Umbria, egli diffuse il suo carisma di gioia. Intonava canti – spesso in francese, la lingua dei trovatori che ammirava  – mentre si recava ad accudire i lebbrosi nei loro nascondigli isolati. Suonava il suo violino immaginario fatto di bastoncini mentre si recava di città in città a predicare il Vangelo che tanto amava. Egli stava compiendo l’opera di Dio! Forse, se anche noi pensassimo al nostro lavoro come al lavoro di Dio, se riuscissimo a considerare il nostro lavoro come un gioco, troveremmo maggior gioia nel servire la società con la nostra fatica.
Potremmo cantare canti di lode durante il tragitto quotidiano verso il posto di lavoro. Potremmo recitare in silenzio preghiere di ringraziamento gioioso nel corso della giornata. Potremmo cercare occasioni per sorridere agli altri e per ridere con i nostri colleghi o clienti. Possiamo diventare Francesco nei luoghi dei nostri commerci.

 

 

 

+ Domande per la riflessione. – In che modo il vostro atteggiamento sul luogo del lavoro riflette lo stile di vita cristiano? Quali giustificazioni trovate per non vivere secondo lo spirito cristiano? In che modo i lavoratori gioiosi rendono anche voi capaci di lavorare in maniera più produttiva e gioiosa?

+ Connessioni bibliche e francescane.- Prima lettera a Timoteo, cap. 6,1 – 11. Larranaga, Nostro fratello, pp. 125-128.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Per una settimana, prendetevi nota di ciò che nel lavoro vi porta gioia e ciò che invece ve ne priva. Rendete grazie per il primo caso; chiedete aiuto a Dio per il secondo. Ogni giorno chiedetevi come il vostro lavoro ha contribuito alla creazione del mondo, sempre in corso, da parte di Dio. Mentre leggete i giornali o guardate la televisione, riflettete su come il lavoro sia usato per rendere le persone libere oppure per imprigionarle. Che cosa potete fare per rendere le cose diverse laddove gli individui sono resi “prigionieri” del proprio lavoro?

+ Preghiera.- Caro Dio, quando sono stanco dopo una giornata di lavoro, aiutami a ricordare che il lavoro è un tuo dono. Sono stato dotato della grazia mediante il privilegio del duro lavoro il quale continua la tua opera di creazione. Ti ringrazio per le capacità e il talento che mi hai dato nel mio lavoro. Amen.

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

16 – Reputino il lavoro come dono e come partecipazione alla creazione, alla redenzione e al servizio della comunità umana.

 

Riflessione 43

Carità verso i sofferenti

Il Cantico delle creature, pur dimostrando una grande attenzione verso le creature, è nondimeno una preghiera sincera. Ciò che lo rende più straordinario è il fatto che sia stato scritto durante la malattia finale di Francesco e fra intense sofferenze e tuttavia rivela un cuore pieno della più profonda gratitudine verso l’Altissimo Dio, perfino per la sofferenza e per sorella Morte. (da Omnibus)

Compagni del Cristo sofferente

Prima di considerare il modo in cui dovremmo trattare sofferenti, dovremmo prendere in considerazione il significato cristiano della stessa sofferenza. Di per sé, la malattia e la sofferenza sono tragiche e prive di senso, costituiscono l’eredità del peccato originale. Ma Cristo ha santificato anche i dolori della natura umana. Il terribile flagello del dolore può essere trasformato in una benedizione, attraverso l’unione con le sofferenze di Cristo.

Il Corpo mistico continua la vita del Cristo sofferente

Molte persone non riescono a cogliere il significato di questo privilegio sublime: non conta niente per loro. Pensano di non essere sufficientemente buone e che la loro malattia non ha alcuna importanza. La credono una punizione. Eppure Cristo vuole prendere la nostra sofferenza individuale, l’emicrania, l’artrite o il cancro, per unirla alla sua. Ricordiamo che “il capo non può dire alla mano: non ho bisogno di te”. Di tutte le affermazioni di san Paolo sul fatto che noi siamo chiamati a continuare la vita di Cristo, nessuna è più sconcertante di questa: Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo, che è la chiesa” (Lettera ai colossesi 1,24). Nostro padre Francesco ricevette la più alta prova dell’amore di Cristo e del bisogno che aveva lui quando il suo corpo fu letteralmente posto sulla croce con Cristo mediante la realtà delle cinque piaghe delle stimmate.

 

Perché Cristo soffrì?

Il Figlio di Dio volle entrare nella miseria umana che era derivata dal peccato. Lasciò che il male all’apparenza fosse vittorioso sopra di lui, e scese perfino negli abissi della morte come chiunque altro. Ma facendo questo, il Cristo umano era completamente posseduto dall’amore del Padre e quell’amore era infinitamente più potente di tutte le forze del male. Cristo conservò una perfetta fiducia indipendentemente da ciò che gli accadde. Egli era totalmente nelle mani del Padre.
A tutti i fratelli e le sorelle di Cristo che soffrono viene chiesto di entrare a far parte del grande atto d’amore di Cristo sulla croce continuandolo e offrendolo in sostituzione di tutti i peccati mai commessi. “Carissimi, non siate sorpresi per l’incendio di persecuzione che si è acceso in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Ma nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare” (1Pietro 4,12-13).

La gioia di Francesco

La tradizione francescana ci chiama a conservare lo spirito di Francesco specialmente nella sofferenza. I francescani secolari che sono ammalati, disabili o afflitti da qualunque tipo di infermità, non devono considerare tali afflizioni come altrettante punizioni di Dio bensì come la conseguenza di vivere nella fragilità di un corpo umano. Dobbiamo cercare la guarigione che ci può offrire l’abilità della professione medica, che è sempre un dono di Dio. E per la guarigione dobbiamo fare appello alle preghiere della comunità. Possiamo chiedere l’unzione degli infermi. E alla maniera di Francesco, ci ricorderemo di queste parole per conservare il senso della gioia anche nella sofferenza: “prego il frate infermo di rendere grazie di tutto al Creatore e quale lo vuole il Signore, tale desideri di essere, sia sano o malato” (san Francesco, Regola non bollata, 10,4: FF 35).

(Quando all’autore di questo libro, padre Leonard Foley, Ofm, fu diagnosticato un cancro e fu rivelato che gli restava poco tempo da vivere, egli disse ai suoi amici: “Non dimenticatelo mai Dio è buono e la vita è meravigliosa!”. Il suo cancro può essere stato in fase terminale ma la sua gioia era eterna!)

I malati sono membri importanti del Corpo mistico

Forse, la cosa più grande che un uomo o una donna fanno nella vita è soffrire insieme a Cristo nella malattia. I malati fanno passi da gigante verso la santità e il Corpo mistico ne trae beneficio. Essi non devono mai credere di essere inutili. Cristo compì la sua opera più grande quando si trovò indifeso e “inutile” sulla croce.
Il concilio Vaticano II dice alcune parole di grande effetto circa i malati: “Con la sacra unzione degli infermi e la preghiera dei sacerdoti, tutta la chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché alleggerisca le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi spontaneamente alla passione e morte di Cristo, per contribuire così al bene del popolo di Dio” (Lumen gentium, n. 11; EV 1/3 14).
Si dovrebbe tenere presente che il sacramento dell’unzione degli infermi è per coloro che sono malati, senza che siano necessariamente in punto di morte. Tutti i cattolici dovrebbero sforzarsi di adottare questo salutare atteggiamento verso il sacramento e cancellare una volta per tutte la falsa idea che ricevere tale unzione sia una sorta di certificato di morte.

Francesco e i malati

San Francesco dimostrò un tenero riguardo verso gli ammalati apportando un’eccezione a una delle sue più rigide regole:

Nessun frate ,ovunque sia o dovunque vada, in nessun modo prenda con sé o riceva da altri o permetta che sia ricevuta moneta o denaro, né col pretesto di acquistare vesti, libri, né per compenso di alcun lavoro, insomma per nessuna ragione, se non per una manifesta necessità dei frati malati (Regola non bollata, 8,3: FF 28).
Essi devono essere lieti quando vivono fra persone di poco conto e disprezzate, fra i poveri e i deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada (ivi, 9,3: FF 30).
Se un frate cadrà ammalato, ovunque sarà, gli altri frati non lo lascino  finché non siano collocati un fate o più, se sarà necessario, che lo servano come “vorrebbero essere serviti loro stessi”… E prego il frate infermo di rendere grazie di tutto al Creatore (ivi, 10,1.3; FF 34-35).

La tradizione dell’Ordine francescano secolare pone un grande accento sulla carità verso gli ammalati e gli infermi. Francesco vide che il Cristo dei Vangeli non solo predicava la venuta del regno alla mente e al cuore delle persone, ma anche si fermava lungo la strada per dare sollievo alla sofferenza e alla malattia dei loro corpi. E Francesco non poté fare dimeno! In pratica, quindi, i francescani secolari devono preoccuparsi, con speciale riguardo, di visitare ammalati e infermi con senso di solidarietà, parole di incoraggiamento e carità fraterna. Niente potrebbe essere più vicino alla mente di san Francesco che vedere Cristo nel malato e dare sollievo alla sua sofferenza. Il valore della sofferenza è accresciuto soltanto dai sorrisi che possiamo portare dinanzi ai volti degli ammalati e dall’incoraggiamento che la nostra solidarietà porta ai loro cuori. Più di tutto, però, le nostre preghiere danno loro la forza per portare avanti il loro attuale compito nel Corpo mistico.

+ Domande per la riflessione. – Che cosa possono fare i cristiani per coloro che sono malati? Che cosa si offre a Dio effettivamente in tempo di sofferenza?

+ Connessioni bibliche e francescane.  – Dio e l’Alleanza in Deuteronomio, cap. 4,44-49, capp. 5-11. Larranaga, Nostro fratello, pp. 301-305

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Che siate sani o malati, cercate di vedere la sofferenza e la malattia nella loro unione con il Cristo sofferente e vittorioso. Questa settimana cercate di visitare o di contattare mediante un messaggio scritto o almeno con una telefonata un ammalato o qualcuno costretto in casa. Portategli un piccolo dono. Offritegli la vostra disponibilità per un servizio di cui quella persona può aver bisogno.

+ Preghiera. – Signore, la tua vita sulla terra fu piena di attenzioni per i malati. Ora abbi compassione di tutti coloro che condividono il tuo dolore. Dona loro la guarigione della mente e del corpo; fa’ che recuperino le loro forze e conforta il loro spirito. Possano sentirsi consolati sapendo che preghiamo per loro e possano trovare pace nel sentire la tua presenza. Fa’ che sentano di essere uniti in modo speciale alla tua sofferenza. Possano contribuire al benessere di tutto il popolo di Dio associandosi liberamente alla tua passione e morte per la salvezza del mondo. Benedici coloro che si prendono cura dei malti. Nel tempo del loro bisogno, possano ricevere cento volte tanto le benedizioni che hanno donato. (Leonard Foley, Ofm, in Patti Normile, Prayers for caregivers – Preghiere per coloro che si prendono cura degli altri – p. 78).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riflessione 44

L’apostolato: “ripara la mia chiesa”

Udendo che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via…, ma soltanto predicare il regno di Dio e la penitenza, Francesco, subito, esultante di Spirito Santo,esclamò: “E’ questo ciò che voglio, questo chiedo, questo desidero fare con tutto il cuore”.  (Tommaso da Celano, Vita prima, 22: FF 356).

L’indice tematico dei documenti del concilio Vaticano II contiene ben 153 riferimenti all’”apostolato”. Anche ammettendo qualche riferimento doppio, certamente non possiamo fare a meno di ricordarci che essere cristiani significa essere apostoli. Ricevere le ricchezze di Cristo significa desiderarne la condivisione.
Dal momento che la vita cristiana non può essere cosa separata dall’apostolato, possiamo affermare che tutto questo libro è sull’apostolato. Ma facciamo un’ultima panoramica complessiva sull’apostolato nella chiesa e sulla nostra chiamata all’unione e alla diffusione di tutto il cristianesimo.

“Ripara la mia chiesa”

Una grande svolta nella vita di Francesco fu rappresentata dall’episodio in cui Cristo gli parlò dal crocifisso. Egli stava passando nei pressi della chiesetta di San Damiano. Si sentiva triste poiché l’edificio stava andando in rovina ed era del tutto trascurato, quindi entrò e si mise a pregare dinanzi all’altare. Mentre pregava, udì una voce proveniente dal crocifisso che gli parlava: “Francesco, va’ e ripara la mia chiesa che come vedi è completamente in rovina”.
Francesco trasalì. Il suo Maestro gli aveva parlato! Interpretò quelle parole come rivolte alla povera chiesetta di quel luogo e nella sua umiltà rispose senza indugio: “Con gioia, Signore, la riedificherò. Se avesse speso il resto della sua vita a non fare altro che ricostruire le pietre di quella o di qualunque altra chiesa diroccata, egli ne sarebbe staro estremamente felice. Era un nulla, ma era per il Signore. Solo più tardi divenne evidente che Francesco era chiamato a riedificare la chiesa di Cristo, non tanto le strutture materiali bensì il fondamento spirituale.

Il sogno di papa Innocenzo III

Sarebbero giunti grandi benefici alla chiesa da quel gruppo cencioso di giullari del Vangelo radunati intorno a Francesco. Però il papa Innocenzo III ebbe un moto di rifiuto quando Francesco gli si presentò dinanzi la prima volta. E fu quasi contro la sua volontà che alla fine si sentì attratto dal poverello di Assisi. Egli si ricordò di un sogno che aveva fatto. La chiesa madre della cristianità, San Giovanni Laterano, stava vacillando nelle fondamenta. Una persona religiosa, bassa di statura e dall’aspetto insignificante, era arrivata e l’aveva tenuta in piedi appoggiandosi con le spalle contro le mura. Il papa si rese conto che quell’uomo era Francesco e concesse la sua prima approvazione al nuovo Ordine.

La riforma viene da coloro che ne hanno bisogno

La chiesa siamo noi, è Cristo unito ai suoi membri. Siamo noi la gloria e la vergogna della chiesa. La costante purificazione della chiesa, quindi, deve essere compiuta da coloro che costituiscono la chiesa e che necessitano della purificazione, vale a dire da tutti noi. Noi sciupiamo ciò che Dio ha fatto, perciò anche la purificazione deve iniziare dentro di noi. Neppure la nostra penitenza è una faccenda privata. Vi siamo coinvolti tutti insieme,consentendo a Dio di purificare e riformare noi, gli altri e la chiesa.

L’apostolato nella parrocchia

I francescani secolari devono sempre essere consapevoli della presenza del Corpo mistico di Cristo in tutto il mondo. Ma i francescani secolari troveranno il proprio apostolato più pratico e benefico nell’ambito della loro parrocchia. Questo significa collaborare, innanzi tutto, alle sue attività. Se i francescani secolari devono promuovere pratiche di devozione spiritual e di opere buone, devono essere più fedeli nel frequentare le liturgie della chiesa: se possibile, dovrebbero partecipare quotidianamente alla messa; ricevere spesso i sacramenti; essere presenti nelle celebrazioni particolari e nei momenti devozionali; nella ripresa delle attività pastorali e in altre occasioni come matrimoni o i  funerali. Ma forse, oggi, la più importante riforma di cui ha bisogno la chiesa è proprio l’accettazione dell’idea di riforma. Il Vaticano II cominciò in uno slancio di gloria, ma le sue promesse e i suoi ideali sostanzialmente non hanno cambiato l’atteggiamento di molti cattolici. Benché siano passati diversi decenni, la polarizzazione tra progressisti e conservatori, tra chi enfatizza nella teologia alcuni temi a preferenza di altri, ha prodotto problematiche che continuano a essere un grave ostacolo nella chiesa. Se ci fu mai un impegno di pacificazione per i francescani secolari, esso costituisce nel ricostruire le proprie parrocchie, nel tendere a creare armoni laddove le differenze minacciano di dividere la chiesa.

L’impegno per la catechesi

Le chiese hanno bisogno di laici per l’insegnamento dl catechismo ai bambini che frequentano le scuole pubbliche. Il gruppo dei catechisti è un esempio di apostolato fondamentale nella chiesa, localizzato all’interno di ciascuna parrocchia, nella quale molti francescani secolari possono trovare uno sfogo al proprio zelo. Ma è sempre più necessario proseguire l’istruzione religiosa anche per gli adulti. Ci sono in ogni diocesi incontri di formazione curati dagli uffici competenti, oppure promossi nelle parrocchie e nei vicariati: anche qui i francescani secolari possono dare il proprio contributo.

Aiutare i convertiti

Le parrocchie hanno bisogno dei laici che guidino i non-cattolici che stanno esplorando la fede cattolica attraverso il Rito per l’iniziazione cattolica degli adulti (RICA). I laici possono essere di grande aiuto nel condividere con altri la propria esperienza di fede. Possono dare risposta a domande che i non-cattolici non farebbero a un sacerdote. Ogni cattolico dovrebbe dimostrare amicizia ai convertiti che possono sentirsi estranei e soli in una nuova chiesa. Per loro può essere difficile andare in chiesa da soli. Possono sentirsi imbarazzati su molte cose nei rituali della chiesa. La semplice amicizia può fare un grande bene.

Aiutare i peccatori  

“Siamo mandati” dice san Francesco, “a sanare le ferite, a badare agli storpie a riportare indietro coloro che hanno smarrito la vita”. Fintanto che ci fosse un solo peccatore sulla terra, Francesco non si concederebbe riposo.
Così i francescani dovrebbero dimostrare una particolare gentilezza verso coloro che si sono allontanati dal manto protettivo della chiesa, sia per incomprensione, per rabbia, per un matrimonio non valido o per qualunque altra ragione. Più essi sono lontani dalla chiesa, più hanno bisogno della bontà di Cristo. Il saluto amichevole di un uomo o  una donna cattolici può costruire l’unico legame rimasto con la fede della loro infanzia. Dio può servirsi di questo come di una grazia per riportare quelle persone alla chiesa. Ci possono volere diversi anni, ma la carità non sbaglia mai.

Cristo è l’anima dell’apostolato

In un’occasione in cui Francesco si sentì scoraggiato, Cristo gli disse: “Dimmi, tu, omino semplice e ignorante, perché ti addolori tanto, quando un fratello abbandona l’Ordine e i fratelli non seguono la via che ti ho mostrato? Dimmi, dunque, chi ha fondato questa comunità? Chi li converte alla penitenza?”. Cristo solo è il missionario. Egli opera attraverso noi, e riesce soltanto nella misura in cui può prima creare la sua vita in noi.

+ Domande per la riflessione. – Che cos’è effettivamente la “buona novella”? In che modo essa viene proclamata nella chiesa?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Giosuè, successore di Mosè, in Giosuè, capp. 1-3, 6, 24. Larranaga, Nostro fratello, pp. 197-200

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Qual è la principale necessità nella vostra parrocchia? Siete “vecchia chiesa” o “nuova chiesa”? Siete disposti ad ascoltare le opinioni altrui sulla chiesa? Leggete il vostro bollettino parrocchiale e prendete in seria considerazione l’idea di offrire i vostri servizi nella zona dove potreste contribuire a rafforzare la vostra comunità di fedeli.

+ Preghiera. – Sono in ascolto, Signore Gesù. Quale parte della tua chiesa vorresti che io rieditassi? Mostrami la via. Amen.
Riflessione 45

L’apostolato: che tutti possano essere uno

Scongiuro, nella carità che è Dio, tutti i miei frati, siano essi sacerdoti o laici, siano essi impegnati nella predicazione, nella preghiera o nel lavoro, che cerchino di umiliarsi in tutte le cose; di non gloriarsi né godere tra sé, né di esaltarsi dentro di sé per le buone parole o le opere, anzi per nessun bene che Dio dica, faccia o compia in loro attraverso loro.
(San Francesco, Regola non bollata, 17,5-6: FF 47)

Ecumenismo

Uno dei risultati più sorprendenti del rinnovamento portato da papa Giovanni XXIII è stato il movimento ecumenico. Anziché pensare ai protestanti come a dei “ “nemici”, la maggior parte dei cattolici ora vede già esistente una certa unità dei cristiani. Ma poiché questo non rispecchia un’unità perfetta, se ne deve far tesoro e si deve collaborare per rafforzarla. Concentrarsi su questo è molto meglio che dare rilievo alle differenze. Davanti a noi abbiamo un cammino lungo e stimolante, ma si sono fatti dei progressi. Perlomeno si sta cominciando a rimuovere lo scandalo, che il settanta per cento del mondo – tanti sono coloro che non credono in Cristo – vedeva nel cristianesimo diviso.
Papa Giovanni Paolo II, quando gli fu chiesto cosa pensava della pluralità delle religioni nel mondo, mise a fuoco il problema in modo diverso e rispose: “Tenterò di mostrare che cosa costituisce per queste religioni l’elemento comune fondamentale e la comune radice” (da Varcare la soglia della speranza, p. 87)
Noi siamo chiamati a fare lo stesso, a cercare cioè quello che abbiamo in comune con le altre fedi. Nello stesso tempo dobbiamo vivere la nostra fede cristiana/cattolica/francescana con devozione e amore.

Le dichiarazioni del concilio Vaticano II

Per quanto possibile, tutti dovrebbero studiare almeno un punto essenziale del Decreto sull’ecumenismo del Vaticano II. Qui possiamo citare soltanto alcuni brani:

Ogni rinnovamento della chiesa consiste essenzialmente nell’accresciuta fedeltà alla sua vocazione (…). La chiesa peregrinante è chiamata da Cristo a questa continua riforma di cui, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno (…).
Non ci può essere ecumenismo vero senza interiore conversione; poiché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stessi e dal pieno esercizio della carità. Perciò dobbiamo implorare dallo Spirito divino la grazia di una sincera abnegazione, dell’umiltà e mansuetudine nel servire e della fraterna generosità di animo verso gli altri (…).
Tutti i fedeli di Cristo si ricordino che tanto meglio promuoveranno, anzi vivranno in pratica l’unione dei cristiani, quanto più si sforzeranno di condurre una vita più pura conforme al Vangelo. Pertanto, con quanta più stretta comunione saranno uniti col Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo, con tanta più intima e facile azione potranno accrescere le mutue relazioni fraterne (Decreto sull’ecumenismo, nn. 5-7; EV 1/520-524 passim)

Che cosa occorre per diffondere la fede?

I francescani secolari devono essere cattolici informati. Molti cattolici sentono di non avere sufficiente conoscenza per poter parlare di religione. Tuttavia, possono conoscere pi di quanto non si rendano loro stessi conto, ed essere semplicemente meno timidi. Altri possono ritenere di sapere moltissimo sulla propria chiesa quando, in realtà, non hanno più imparato nulla sulla fede dai tempi della scuola. Dovrebbero mettersi alla prova. Se risultano bene informati, possono far conto sulla propria conoscenza. Se sono effettivamente ignoranti in fatto di fede, allora hanno il dovere di imparare di più per il loro bene. In entrambi i casi , coloro che riconoscono il valore della propria fede vorranno condividerla con gli altri. Le persone non si stancano mai di incitare con entusiasmo gli altri per una causa nella quale credono profondamente.

 

I bisogni moderni

Inoltre, dobbiamo cercare di essere aggiornati il più possibile sui bisogni moderni, per la cui soluzione è necessario ricorrere ai principi evangelici. E’ istruttivo leggere il giornale diocesano e magari una o due riviste cattoliche. Dovremmo essere informati sulle dispute e sui movimenti che sorgono all’interno della chiesa, sulle dichiarazioni del Santo Padre e dei vescovi. Dobbiamo essere consapevoli dei problemi dei problemi riguardanti la società in cui viviamo. I principi non cambiano, ma vi sono situazioni nuove in cui i principi vanno applicati. La clonazione, la fecondazione artificiale, l’etica sui trapianti di organo, sono solo alcuni dei problemi che oggigiorno sfidano la moralità cattolica.

Dite ciò che è vero e buono

Il cristianesimo è diffuso per mezzo dello Spirito Santo. San Paolo disse: “E la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza” (1Corinzi 2,4).
Alla fede facciamo più male che bene se sembriamo interessati solo a schiacciare gli avversari nelle dispute. Inoltre, le dispute sono inutili quando ci si lascia prendere dall’emotività.
Possiamo fare molto per diffondere la fede. Ascoltare con rispetto gli altri che ci interrogano sulla nostra fede. Spiegare le credenze e le pratiche della fede a coloro che domandano: Perché sei andato a messa questa mattina, che è giorno feriale? E in ogni modo, che cos’è la messa? Che cos’è quell’ombra sulla tua fronte? Che cos’è la penitenza? Che cosa fai quando ricevi il sacramento della riconciliazione?
La bocca parla per l’abbondanza del cuore. Se siete pieni di fede, inconsapevolmente e automaticamente la applicherete con amore in ogni situazione. E in questo modo starete predicando il Vangelo, senza essere “predicanti”. Pensate agli effetti a lungo termine che otterrete se i vostri commenti sugli eventi quotidiani saranno più o meno di questo genere: “Spero che avrà un’altra occasione”. “No, non voglio un altro drink”. “Fermiamoci a salutare”. “Forse non sapevano quello che facevano”. “Sarò felice di farlo per te”. “Voterò per lui perché è onesto e preparato”. “Non è una giornata stupenda?”. “Hai fatto certamente un buon lavoro”. “Aspettiamo di esserci calmati tutti prima di risolvere la faccenda”.

+ Domande per la riflessione. – Che cos’è un messaggero? Quali sono le caratteristiche ovvie di una persona che annuncia la buona novella? Come si chiama il vostro giornale diocesano? Quali sono gli aspetti che più vi piacciono di quel giornale? Quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento nei confronti dei fratelli separati? Come si può diffondere la fede in una normale conversazione? Siete altrettanto bene informati sulla vostra fede come sul vostro lavoro, sulla moda, sulle automobili, i divertimenti, i personaggi del mondo dello spettacolo, il mercato azionario? Un cristiano evangelico (= appartenente a un’altra confessione cristiana) sarebbe invidioso del vostro zelo?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Il profeta Samuele, in 1Re, capp. 1-8. Larranaga, Nostro fratello, pp. 78-80.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Cercate di capire se dimostrate il vostro credo cristiano nella vita quotidiana. I vostri colleghi di lavoro possono contare su di voi per avere informazioni dirette sulla fede? Esercitatevi con un amico o un familiare sul modo di spiegare a un non cattolico: a) gli elementi essenziali del sacramento della riconciliazione; b) perché la messa costituisce il centro del cristianesimo. Se un personaggio pubblico della vostra città fa una dichiarazione falsa riguardo alla fede, scrivete una nota di protesta dichiarando la verità sostenuta dalla chiesa.

+ Preghiera. – Una persona che conosco ha bisogno di te nella sua vita, Signore. Dammi la fede e il coraggio di parlare per te e di invitarla al tuo amore. Amen.
 

 

 

 

 

Riflessione 46

L’apostolato del buon esempio

Tutti i frati predichino con le opere. (San Francesco, Regola non bollata, 17,2: FF 46)

La vita cristiana, l’apostolato, il vivere il Vangelo possono essere descritti in molti modi. Quello che più si adatta ai valori e al giudizio di ogni uomo è dato dal “buon esempio”.
Sia che parliamo di virtù o di peccato, la verità è che l’atteggiamento è importantissimo. Siamo ciò che decidiamo di essere, mediante una decisione radicale e permanente. Ma è anche vero che i nostri atteggiamenti più profondi devono potersi esprimere, e lo fanno. Non si continua a dare il “buon esempio” a lungo, a meno che esso non sia frutto di un autentico impegno interiore.

Un potente influsso

Talvolta pensiamo di avere uno scarso influsso sugli altri. Essi sembrano prestarci poca attenzione o addirittura nessuna. Tuttavia, diamo uno sguardo alla nostra vita. Dopo la grazia di Dio, tutta la bontà che riceviamo è il risultato del buon esempio. Abbiamo assorbito il potente influsso benefico di nostra madre e  nostro padre, degli insegnanti, degli amici, e della cerchia in costante espansione di brave persone che incontriamo nella vita. Siamo influenzati dall’esempio di coloro che ci hanno preceduto. Ci ricordiamo alcuni esempi in  particolare: sentirsi fortemente incoraggiati a pregare vedendo un amico che compie la Via crucis, stupirsi della silenziosa sopportazione di un offesa da parte di un amico, assistere a una sofferenza muta e simile a quella di Cristo, essere testimoni della coraggiosa difesa di una persona perseguitata.

La fedeltà dell’esempio

L’esempio degli altri influisce su di noi più di tutto. Per un momento possiamo sentirci commossi dell’azione insolita e spettacolare di qualcuno. Ma l’influsso che ci colpisce più profondamente è quello che si protrae giorno dopo giorno, anno dopo anno. Il costante buon esempio ha formato il nostro carattere. Vedere il babbo che si reca a fare la comunione ogni domenica è un’immagine che non ci dimenticheremo mai e che non smetterà mai di invitarci a fare lo stesso. Il ricordo della mamma che porta un cesto con la cena al vicino ammalato ci ispirerà a fare la stessa cosa.

Ciò che siete

Qualcuno una volta disse: “Ciò che sei ha un suono così forte, che non riesco a sentire quello che dici!”. Possiamo influire sugli altri solamente per quello che siamo. Per un po’ possiamo recitare, ma presto o tardi tutti sapranno esattamente che cosa e chi siamo. Dobbiamo fare un esame della nostra condotta esteriore, ma questo ci porterà faccia a faccia con il nostro spirito interiore. Se avremo cura della pace interiore che ci viene dal vivere vicini a Cristo, non avremo problemi a dare il buon esempio. Quando gli altri ci vedranno, vedranno Cristo.

L’esempio di Francesco

Una storia contenuta in una delle più antiche biografie di Francesco descrive la forza del suo esempio e il grande spirito che attirava tutti a lui. In uno degli incontri dei frati si disse che “se qualche fratello era afflitto da una tentazione o tribolazione, ascoltando Francesco parlare con tanta dolcezza e fervore, e vedendo come si comportava, si sentiva libero dalle tentazioni e mirabilmente alleviato dalle tribolazioni, poiché egli si rivolgeva loro con grande compassione , non come un giudice, ma come un padre affettuoso verso i suoi figli, o come un buon medico con i pazienti” (da La leggenda dei tre compagni, 59: FF 1470).

Dove c’è bisogno del buon esempio?

Papa Giovanni Paolo II ricordò ai fedeli “la chiamata universale alla santità nella chiesa. Questa vocazione è universale, riguarda cioè ciascun battezzato, ogni cristiano. Essa è sempre molto personale, collegata al lavoro, alla professione di ciascuno. E’ un rendere conto dei talenti che ogni persona ha ricevuto, sia che ne abbia fatto un uso buono o uno cattivo. E sappiamo che le parole del Signore Gesù, rivolte all’uomo che aveva sotterrato il talento, sono molto severe e minacciose (cf. Matteo 25,25-30)” (da Varcare la soglia della speranza, p. 198).
Anni prima, Papa Pio XII aveva detto: “Non posso entrare in (ogni) fabbrica, negozio, ufficio e miniera. C’è bisogno di migliaia di… missionari laici che rappresentano la chiesa nei loro ambienti di lavoro”. Dobbiamo combattere il peccato del mondo, ma non ritirarci dal conflitto. Prendiamo parte e diveniamo coinvolti nelle attività del mondo nelle quali possiamo porre lo spirito di Cristo. Nei teatri, nelle redazioni dei giornali, nei bagni e nei supermercati, nelle università, negli ospedali e nei ristoranti, dobbiamo essere Cristo per tutti. Dobbiamo essere in tali circostanze, ciò che anche Cristo sarebbe se vi fosse presente. Dobbiamo fare ciò che egli farebbe.

+ Domande per la riflessione. – Chi vi ha influenzati di più nella vostra vita? Che cosa, negli altri, vi incoraggia a vivere più fedelmente la vita cristiana? Su chi state esercitando un influsso? Come?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Saul, il primo re in 1Re, capp. 9-16. Larranaga, Nostro fratello, pp. 102-104.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Forse l’influsso che esercitiamo sugli altri – figli, amici, colleghi di lavoro, vicini di casa – è maggiore di quanto ci rendiamo conto. Pensate a qualche azione compiuta recentemente e riflettete su come quel vostro atto ha influito sugli altri positivamente… o negativamente. Ricordate che se permetterete a Dio di possedere la vostra mente e il vostro cuore, il buon esempio verrà da sé. Agite nella consapevolezza che influite sulle persone soprattutto mediante la costante fedeltà ai doveri quotidiani nello spirito di Cristo.

+ Preghiera. – Ti prego, signore, impediscimi di essere ipocrita. Voglio vivere la mia fede in te con sincerità. Indicami gli angoli segreti della mia vita che cerco di nascondere agli altri e a te. Amen

Riflessione 47

La perfetta letizia

Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo. (Lettera ai galati 6,14).

Un racconto classico ci viene da quel delizioso libro della tradizione francescana intitolata Fioretti, che ogni francescano secolare dovrebbe conoscere, poiché vi è rappresenta in sintesi lo spirito di san Francesco.
 
Non la santità

Un giorno d’inverno, san Francesco stava ritornando a Santa Maria degli Angeli da Perugia con frate Leone. Il freddo pungente li faceva soffrire terribilmente. San Francesco chiamò frate Leone, che stava camminando un poco avanti a lui e gli disse: “Frate Leone, anche se i frati minori di ogni paese dessero un grande esempio di santità e integrità e buon contegno morale, ciò nonostante scrivi e annota attentamente che la perfetta letizia non consiste in questo”.

Non i miracoli

E quando ebbero camminato per un po’ san Francesco chiamò di nuovo dicendo: “Frate Leone, anche se un frate minore donasse la vista ai ciechi, guarisse i paralitici, scacciasse i demoni, restituisse l’udito ai sordi, facesse camminare gli zoppi, ridonasse la parola ai muti, e cosa ancora più grande, riportasse in vita un uomo che era morto da quattro giorni, scrivi che la perfetta letizia non consiste in questo”.

Non la sapienza

E proseguendo ancora un po’, Francesco gridò di nuovo a gran voce: “Frate Leone, se un frate conoscesse tutte le lingue e tutte le scienze e la Scrittura, e se conoscesse altresì come predire e rivelare non solo il futuro ma anche i segreti delle coscienze e delle menti degli altri, scrivi e prendi nota attentamente che la perfetta letizia non consiste in questo”. E mentre proseguivano il cammino, dopo qualche tempo Francesco chiamò di nuovo con impeto: “Frate Leone, piccolo agnello di Dio, anche se un frate minore potesse parlare con la voce di un angelo e conoscesse il corso delle stelle e il potere delle erbe e sapesse tutto sui tesori della terra, e se conoscesse le caratteristiche degli uccelli, dei pesci, degli animali, degli uomini, delle radici, degli alberi, delle pietre e delle acque, scrivi e prendi nota attentamente che la vera letizia non consiste in questo”.
Non la predicazione

E proseguendo ancora un po’ avanti, san Francesco chiamò ancora con voce forte: “Frate Leone, anche se un frate minore potesse predicare tanto bene da convertire tutti gli infedeli alla fede di Cristo, scrivi che la perfetta letizia non è là”.

La perfetta letizia…

A quel punto, quando aveva continuato a parlare in quel modo per circa due miglia, frate Leone, con gran stupore gli chiese “Padre, ve lo chiedo in nome di Dio, ditemi dove sta la perfetta letizia”.
E san Francesco rispose: “Quando arriviamo a Santa Maria degli Angeli, bagnati fradici dalla pioggia, congelati dal freddo, imbrattati di fango e in preda alla fame, e suoniamo al portone del posto e il frate portinaio sopraggiunge e dice irritato: “Chi siete?”. E noi diciamo: “Siamo due dei tuoi fratelli”. Ed egli ci contraddice dicendo: “Non state dicendo la verità. Invece siete due furfanti che se vanno in giro ad imbrogliare la gente e a rubare quello che essa dà ai poveri. Andatevene!. Ed egli non ci apre, ma ci fa restare fuori sotto la neve e la pioggia, al freddo e affamati, finché cala la notte; allora, se sopportiamo tutti quegli insulti e quei secchi rifiuti crudeli con pazienza, senza sentirci afflitti e senza lamentarci, e se riflettiamo con umiltà e carità sul fatto che il portinaio ci conosce davvero e che è Dio a farlo parlare contro di noi, oh, frate Leone, scrivi che là è la perfetta letizia!”.

 E ancora…

“E se continuiamo a bussare, e il portinaio esce infuriato e ci caccia via con maledizioni e percosse come furfanti seccatori, dicendo: “Andate via di qui, sporchi ladri, andate all’ospizio! Chi credete di essere? Di certo non mangerete né dormirete qui!”, e se noi tolleriamo ciò pazientemente e accettiamo gli insulti con gioia e amore nel nostro cuore, frate Leone, scrivi che qui è la perfetta letizia!”.

E ancora…

“E se più tardi, soffrendo intensamente per la fame e per il freddo doloroso, mentre scende la notte, e ancora bussiamo e chiamiamo e gridando a gran voce li preghiamo di aprirci e di lasciarci entrare per l’amore di Dio, ed egli si arrabbia ancor di più e dice: “Questi individui sono canaglie sfacciate e senza pudore. Darò loro quel che si meritano!.
E se ne esce fuori con un bastone nodoso, e afferrandoci per la tonaca ci getta a terra, facendoci rotolare nel fango e sulla neve e ci colpisce con il bastone tanto da coprirci tutto il corpo di ferite, se sopportiamo tutti questi mali e questi insulti e i colpi con gioia e pazienza, dimostrando che dobbiamo accettare e tollerare le sofferenze di Cristo benedetto con pazienza per amor suo, oh, frate Leone, scrivi: ecco la perfetta letizia!
E ora senti la conclusione, frate Leone. Al di sopra di tutte le grazie e di tutti i doni dello Spirito Santo che Cristo dà ai suoi amici c’è quello di conquistare se stessi e con buona volontà sopportare le sofferenze, gli insulti, le umiliazioni e gli stenti per amore di Cristo. Poiché noi non possiamo vantarci di tutti gli altri meravigliosi doni di Dio dal momento che non sono nostri ma di Dio, come dice l’apostolo: “Che cosa possedete che non avete ricevuto?”.
Ma possiamo vantarci nella croce delle tribolazioni e delle afflizioni, perché quella è nostra, e così l’apostolo dice: “Non mi vanterò se non della croce di nostro Signore Gesù Cristo”.

+ Domande per la riflessione. – Quale frase riassume la descrizione di san Francesco della perfetta letizia? Qual è il motivo per vedere la perfetta letizia come la vedeva Francesco?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Davide agli inizi della sua attività, in 1Re, capp. 17-24. Larranaga, Nostro fratello, pp. 239-242.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Qual è, attualmente, la sofferenza più grande che dovete sopportare? E quale la vostra più grande croce personale? Quando sorge una situazione dolorosa, cercate di ricordare il racconto della gioia perfetta e applicatelo nel modo che Cristo vi ispira.

+ Preghiera. – La vera gioia guida la mia vita verso di te, caro Dio. La gioia può venire anche in tempo di tristezza, poiché tu sei con me nel dolore e nella sofferenza. Sei tu la mia gioia. Amen.
 
PARTE QUINTA

La struttura dell’Ordine francescano secolare

 

Tra le famiglie spirituali, suscitate dallo Spirito Santo nella chiesa, quella francescana riunisce tutti quei membri del popolo di Dio – laici, religiosi e sacerdoti – che si riconoscono chiamati alla sequela di Cristo sulle orme di san Francesco d’Assisi. In modi e forme diverse, ma in comunione vitale reciproca, essi intendono rendere presente il carisma del loro comune Padre serafico nella vita e nella missione della chiesa. (dalla Regola dell’OFS, cap. 1, n. 1).

 

Riflessione 48

Una comunità fraterna

 

     
Dopo che il Signore mi donò dei fratelli, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma l’Altissimo stesso mi rivelò che dovevo vivere secondo l’esempio del santo Vangelo. (San Francesco, Testamento, 16-17: FF 116)

Francesco da giovane stimava grandemente i rapporti di amicizia con i suoi coetanei. Insieme a loro fece baldoria, organizzò feste e andò perfino in guerra. Quando Francesco scoprì signora Povertà e sentì per la prima volta la chiamata del Signore che gli disse: “Và e riedificala mia chiesa”, ebbe inizio per lui un periodo di vita in solitudine. Si lasciò alle spalle gli amici e la famiglia poiché sapeva che essi non avrebbero compreso la sua chiamata. E davvero, a quel punto neppure lui la comprendeva. Coloro che non capivano il suo bisogno di cercare un significato potevano cercare di trattenerlo, di distoglierlo da ciò che per lui era più importante. Durante questo periodo della sua vita egli girovagò per la campagna umbra come un vagabondo solitario, cercando di capire la chiamata ricevuta da Gesù e sforzandosi di conoscere se stesso. Solo, egli entrava nelle grotte del monte Subasio a pregare, forse a chiamare a gran voce Dio, là dove nessuno poteva sentire le sue grida di dolore e di smarrimento quando il sogno appariva sbiadito.
Ma Francesco non poteva restare solo per due ragioni. Egli era una “persona che affascina”. Per questo motivo, Francesco fu una specie di calamita umana che attirava gli altri, i quali osservavano il suo modo di vivere e facevano esperienza della sua maturazione spirituale. Non avrebbe potuto restare solo neppure se lo avesse voluto. La vita che aveva scelto era semplicemente troppo attraente per coloro che amavano il Signore.
Bernardo di Quintavalle fu il primo seguace di Francesco. Bernardo aveva tutto quello che la gente ritiene essenziale per essere felici: ricchezza e una posizione sociale rispettabile nella città di Assisi. Ma a Bernardo mancava quella gioia di vivere che aveva visto nel “nuovo” Francesco.
Così Bernardo invitò Francesco a casa sua per una cena e per il riposo di una notte, poiché ora Francesco non aveva più una casa che potesse chiamare sua. Sopraggiunta la notte, Francesco finse di dormire, quindi trascorse la notte in preghiera. Essendo testimone, all’insaputa di Francesco, dell’intensità e umiltà di quella preghiera – “Mio Dio e mio tutto!” egli ripeté tutta la notte fino all’alba -,  Bernardo capì che Francesco era un sincero e fedele seguace del Signore. E con il sorgere del nuovo giorno arrivò anche l’alba dell’Ordine francescano: Francesco aveva il suo primo seguace. Né l’uno né l’altro potevano sapere che dalla loro reciproca amicizia e dall’amicizia con Gesù sarebbe nato un movimento che si sarebbe esteso attraverso i secoli in tutto il mondo. Ora erano semplicemente due persone anziché una, innamorate di Madonna Povertà, avviati verso la ricostruzione della chiesa di Gesù Cristo. Ma altre persone chiesero a gran voce di unirsi a loro perché erano buoni, gioiosi, perché erano uomini di Dio. I due divennero migliaia. A uomini scapoli si unirono donne, agli uomini sposati le loro famiglie. Se ciò non fosse avvenuto, il carisma francescano avrebbe resistito solo qualche anno dopo la morte di Francesco nel 1226. Avrebbe potuto essere citato nei libri di storia. Avrebbe potuto diventare una memoria beata nella storia della chiesa. Mo, non sui libri o nei ricordi ma nella vita di uomini, donne e bambini di tutto il pianeta.
Per questa ragione, coloro che sono chiamati a seguire Francesco sono chiamati a creare una comunità fraterna. La parola fraternità non esclude le donne. Vuole dire che Cristo è nostro fratello. Siamo dunque chiamati a essere fratelli e sorelle di Gesù con Francesco e gli altri suoi seguaci. La fraternità ci impedisce di diventare egoisti. La fraternità crea un luogo dove l’opera apostolica, nel mondo, viene incoraggiata e promossa. La fraternità ci dona forza quando siamo deboli. La fraternità ci offre l’opportunità di amare gli altri così come sono, con tutta la loro bontà e anche con i loro difetti e modi irritanti. E gli altri possono fare lo stesso con noi. La fraternità francescana costituisce una particolare famiglia spirituale nell’ambito della più vasta famiglia spirituale della chiesa, nella quale possiamo maturare in santità secondo il volere di Dio: “Voi sarete santi, perché io sono santo” (1Pietro 1,16).
L’Ordine francescano secolare in passato aveva membri “isolati”. Questi membri erano francescani che seguivano la via di Francesco per proprio conto senza il beneficio della fraternità. In alcuni casi, le distanze geografiche rendevano ciò apparentemente conveniente. Tuttavia, oggi i membri sono associati in fraternità geograficamente situate il più possibile vicine fra loro. Laddove la distanza è un impedimento, i membri vengono incoraggiati a spostarsi per partecipare agli incontri della fraternità, o a invitare gli altri a riunirsi presso di loro. Percorriamo la via di Francesco insieme, non come individui isolati che viaggiano per conto proprio.
Nella fraternità ci viene ricordato il nostro carisma francescano. Incontrarsi regolarmente fornisce l’occasione di lavorare insieme. I singoli individui crescono nell’amicizia col Signore e gli uni verso gli altri, mentre pregano insieme, lavorano insieme, si incoraggiano reciprocamente e condividono con gli altri il proprio cammino di fede. Le fraternità sono rifugi di gioia dove il riso e il buon umore alleggeriscono i pesi della vita. Le fraternità offrono un luogo dove imparare a risolvere i disaccordi pacificamente. Le fraternità sono luoghi dove si può imparare a perdonare a se stessi e agli altri, mentre noi ricominciamo ogni volta a seguire nuovamente Francesco e Gesù.

+ Domande per la riflessione. – Perché la fraternità è necessaria per vivere l’autentico stile di vita francescano? Quali sono gli aspetti della vita della fraternità francescana che potrebbero esservi utili nel vostro cammino di fede? Che cosa potreste fare se vi accorgeste che la fraternità a cui appartenete o nella quale state pensando di entrare scarseggia di entusiasmo? (Ricordate che questa parola deriva da en theos che significa “in Dio”).

+ Connessioni bibliche e francescane. – La vita della comunità in Atti degli Apostoli, cap. 2,46-47. Larranaga, Nostro fratello, pp. 109-111.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Se state cercando una fraternità francescana i cui membri possono aiutarvi nel vostro cammino di fede, chiedete ai francescani della vostra zona. Se fate già parte di una fraternità francescana, fate in modo di discutere durante uno degli incontri su come la fraternità potrebbe migliorare il proprio spirito di comunità fraterna.

+ Preghiera. – Signore, a volte la tentazione di cavarmela da solo è molto forte. Non riesco a vedere in che modo la mia vita attuale con la mia famiglia o con i miei fratelli e sorelle nella comunità mi consenta di crescere. Tutti intorno a me mi sembrano soltanto una distrazione o un peso, e vorrei solo poter lasciare tutto e tutti ed essere libero. Ma, Signore, la maggior parte delle volte è solo una tentazione. Poiché trovo te nei miei impegni e nelle mie responsabilità, nei miei affetti e nelle mie amicizie, e non nel rifuggirli. E nel trovare te trovo me stesso. Tu sei dove sono io, non da qualche altra parte. Signore Gesù, aiutami a scoprirti là dove mi trovo. Amen.

 

 

 

 

 

 

Riflessione 49

Organizzazione dell’Ordine francescano secolare

Il beato padre Francesco voleva che i suoi ministri fossero affabili verso gli inferiori, e tanto benigni e sereni che i colpevoli non avessero timore di affidarsi al loro affetto. Desiderava che fossero moderati nei comandi, benevoli nelle mancanze, più facili a sopportare che a ritorcere le offese, nemici dichiarati dei vizi ma medici per i peccatori. In una parola, esigeva in essi una condotta tale che la loro vita fosse specchio di disciplina per tutti gli altri. Però voleva anche che fossero circondati di ogni onore e affetto, come coloro che portano il peso delle preoccupazioni e delle fatiche. (Tommaso da Celano, Vita seconda, 187: FF 773)

San Francesco e l’organizzazione

Francesco aveva scarsa propensione per l’organizzazione. Egli era uno spirito libero, guidato dallo Spirito di Dio, che attirava altri uomini a seguirlo con la pura forza della sua vita evangelica. Egli pensava più allo spirito che alla legge, più all’ardente desiderio di suscitare cristiani convinti che alla prosaica prudenza dell’esperienza. Ma egli stesso riconobbe che migliaia di francescani non potevano più vivere sulla base di poche semplici regole. Ci voleva qualcosa per mantenere l’ordine nella famiglia francescana. Quindi Francesco riscrisse la Regola come richiedeva la situazione.
San Francesco saggiamente sottomise il suo movimento alla guida della chiesa. I pochi passi evangelici, messi nei primi tempi come fondamento della vita dell’Ordine, lasciarono il posto a una struttura più complessa. Idealmente, allora come oggi, la struttura aiuta tutti i francescani a contribuire all’apostolato della chiesa.

La fraternità

Al centro della vita cristiana c’è Gesù Cristo, che si manifesta nel suo corpo, esistente in mezzo al suo popolo. La fraternità francescana è radunata dallo Spirito come un corpo di persone chiamate insieme da Dio per vivere una vita evangelica fatta di preghiera e servizio. Essa è un gruppo di persone che condividono la visione della nuova vita cui sono state chiamate da Dio, che si preoccupano delle necessità reciproche, che danno vita a un luogo dove dimora Dio, persone gioiose che pregano e si sentono mandate a costruire il regno del Signore.
Una fraternità è un “piccolo gregge” del Signore che vive della sua Parola, che testimonia agli altri un modo di vivere la vita evangelica, che vive in semplicità e povertà, che si sente mandato con fiducia a tutti i suoi fratelli e sorelle. Una fraternità è la testimonianza del fatto che il mondo non è un luogo di nemici, bensì di fratelli e sorelle in Cristo.

Un ordine laico

Una caratteristica dell’Ordine francescano secolare è data dal ruolo giocato dall’obbedienza. Si tratta di un Ordine laico, che fa parte della struttura della chiesa ed è fedele alla chiesa. Esso perciò ha delle guide. Tuttavia, una certa autonomia di pensiero e di azione è caratteristica dello stile di vita francescano. Lo stesso Francesco ruppe gli schemi del mondo medievale. Ma, nello stesso tempo, Francesco era in contatto con lo Spirito Santo e riconobbe il Santo Padre come la voce di Dio che gli parlava. Nel movimento francescano c’è una sorta di equilibrio fra indipendenza e autorità. E’ un movimento “per la libertà dei figli di Dio”. L’obbedienza è la cooperazione libera e generosa dei francescani secolari con le decisioni dei pastori della chiesa. I figli liberi non sono figli ribelli. E Francesco, subito dopo la sua morte, fu descritto come “uomo pienamente cattolico e apostolico”.

Il consiglio della fraternità

La fraternità francescana secolare raduna persone che si preoccupano le une per le altre, condividono le loro esperienze, pregano insieme e si sostengono a vicenda. Alcuni sono chiamati a essere ministri per servire i loro fratelli e sorelle. La fraternità è retta da un consiglio che viene eletto dai membri stessi, per amministrare le necessità dei fratelli e sorelle. Ogni fraternità ha un assistente spirituale, nominato per provvedere alla cura pastorale dei membri.
L’assistente spirituale mantiene vivo il ricordo di Francesco e del suo modo esclusivo di seguire Gesù. Tale persona esorta, guida e intercede in favore dei membri, e tiene uniti i membri e le varie fraternità. In ogni fraternità ci sono dei membri designati a costituire il gruppo di formazione per l’introduzione di nuovi membri sulla via di Francesco.
I doveri del consiglio della fraternità, che lavora in unione con l’assistente spirituale, sono i seguenti: promuovere la vita evangelica; rafforzare i legami di amore fraterno tra membri e fraternità; portare avanti le opere di carità e l’apostolato; occuparsi dell’amministrazione generale della fraternità.
Entro questo ambito protettivo e fortificante, il francescano secolare si sforza di vivere la vita evangelica e di portare a termine con successo determinati progetti della fraternità. Coloro ai quali la fraternità fa appello per rendere un servizio agli altri non dovrebbero tirarsi indietro, bensì dovrebbero rendersi conto che sono benedetti dal Signore.
Quando veniamo a conoscere Gesù come fece Francesco, in un primo tempo abbiamo bisogno di sostegno. Siamo quindi incoraggiati a cercarlo e a maturare grazie a esso. Ma poi arriva il momento in cui sentiamo il bisogno di uscire da noi stessi per aiutare gli altri. Allora saremo più propensi a pensare a “come posso aiutare?” anziché a “che cosa posso ricavare da questa situazione?”. Gesù e Francesco donarono la propria vita per i loro fratelli e sorelle. Noi non possiamo fare di meno.

+  Domande per la riflessione. – Perché un movimento spirituale deve avere una struttura? Che cos’è una fraternità? Qual è lo scopo del consiglio della fraternità? E dell’assistente spirituale?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Davide e Saul in 1Re, capp. 25-31. Larranaga, Nostro fratello, pp. 254-258.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – E’ possibile per un movimento crescere nel numero di membri e nella varietà del lavoro senza leggi e organizzazione? In che modo possiamo continuare a sostenere i nostri fratelli e sorelle, a condividere con loro la nostra fede e la nostra forza, ad andare verso di loro per aiutarli? Promettete di partecipare a tutte le riunioni della fraternità, di impegnarvi personalmente nella vita e nel lavoro del gruppo, nonché di servire se sarete chiamati a farlo.

+ Preghiera. – Signore, ti rendo grazie per gli amici che mi hai dato lungo la via del mio percorso cristiano. Fa’ che possiamo sostenerci gli uni gli altri lungo il cammino che porta a te. Amen.

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

20. L’Ordine francescano secolare si articola in fraternità a vari livelli: locale, regionale, nazionale e internazionale. Esse hanno la propria personalità morale nella chiesa. Queste fraternità di vario livello sono tra di loro coordinate e collegate a norma di questa Regola e delle costituzioni.

21. Nei diversi livelli, ogni fraternità è animata e guidata da un consiglio e da un ministro (o presidente), che vengono eletti dai membri professi in base alle costituzioni.
Il loro servizio, che è temporaneo, è un impegno di disponibilità e di responsabilità verso i singoli e versoi gruppi.
Le fraternità, al loro interno, si strutturano, a norma delle costituzioni, in modi diversi secondo i vari bisogni dei membri e delle regioni in cui sono situate, e sotto la guida del rispettivo consiglio.

22. La fraternità locale deve essere eretta canonicamente e così diventa la cellula prima di tutto l’Ordine, nonché segno visibile della chiesa, che è comunità di amore. Essa dovrà essere l’ambiente privilegiato per sviluppare il senso ecclesiale e la vocazione francescana, nonché per animare la vita apostolica dei suoi membri.

24. Per incrementare la comunione fra i membri, il consiglio organizzi adunanze periodiche e incontri frequenti, anche con altri gruppi francescani, specialmente giovanili, adottando i mezzi più appropriati per una crescita nella vita francescana ed ecclesiale, stimolando ognuno alla vita di fraternità. Una tale comunione prosegue con i fratelli e le sorelle defunti con l’offerta di suffragi per le loro anime.

25. Per le spese occorrenti alla vita della fraternità e per quelle necessarie alle opere di culto, di apostolato e di carità, tutti i fratelli e sorelle offrano un contributo commisurato alle proprie possibilità. Sia poi cura delle fraternità locali di contribuire alle spese dei consigli delle fraternità di grado superiore.

 

Riflessione 50

Struttura dell’Ordine francescano secolare

In qualunque maniera ti sembri meglio di piacere al Signore Iddio e di seguire i suoi passi e la sua povertà fallo con la benedizione di Dio e la mia obbedienza (San Francesco, Lettera a frate Leone: FF 250)

La fraternità è la cellula prima dell’Ordine francescano secolare. Essa è anche un’unità indipendente in grado di sostenersi da sola. Tuttavia, la necessità della cooperazione tra fraternità ha portato alla formazione di varie strutture in modo tale da favorire l’avvento del regno del Signore.

Regioni

Le fraternità vengono raggruppate come regioni a causa della vicinanza geografica e trovano utile collaborare a vari progetti e conoscersi meglio reciprocamente. Anche ogni regione ha un consiglio con il compito di prestare servizio alle fraternità, allo stesso modo in cui una fraternità ha un consiglio al servizio dei propri membri. Il consiglio regionale stabilisce i propri regolamenti e le procedure sulla base delle sue necessità e di quelle dei membri che tutela. Le procedure e la struttura generali sono stabilite dalla Fraternità nazionale.
Le regioni ricevono assistenza spirituale dalle quattro obbedienze o giurisdizioni: l’Ordine dei frati minori (Ofm), l’Ordine dei frati minori cappuccini (Ofmcap), l’Ordine dei frati minori conventuali (Ofmconv), e infine il Terzo Ordine regolare (Tor), o da altre persone qualificate le quali siano certificate dalla Fraternità nazionale come assistenti spirituali. In precedenza, le rispettive province dei frati erano responsabili dei francescani secolari e le fraternità erano sotto la loro cura. Oggi la Fraternità nazionale dell’Ordine francescano secolare e le regioni che essa rappresenta sono indipendenti dai frati provinciali. Comunque, i francescani secolari stimano grandemente e rispettano l’assistenza spirituale e il carisma francescano che i frati condividono con loro.

Il Consiglio internazionale

Il primo raduno del Consiglio mondiale si tenne nel settembre del 1975. I francescani secolari e i frati di tutte le quattro obbedienze provenienti da tutto il mondo si incontrarono a Roma. In gran parte i lavori riguardano l’opera del Consiglio mondiale, la stesura di una nuova regola e l’istituzione di un segretariato mondiale.
La Fraternità internazionale è guidata da consiglieri provenienti da tutto il mondo con a capo il Ministro generale. Una Conferenza degli assistenti spirituali generali provvede all’assistenza spirituale alla Fraternità internazionale. Dalla fraternità individuale a quella che è oggi la Fraternità internazionale, passando attraverso le federazioni regionali e nazionali, l’Ordine francescano secolare dimostra l’unità del suo scopo: “vivere il Vangelo del Signore Gesù Cristo e testimoniarlo al mondo”.

Alcune questioni pratiche

Allo scopo di mantenere il contatto con i francescani secolari e con le stesse fraternità e per servirli, è necessario fare una “visita” alle diverse fraternità. Questa responsabilità spetta alle province all’interno delle regioni francescane secolari. Lo scopo della visita è quello di offrire  all’assistente provinciale l’opportunità di discutere i problemi della fraternità con gli assistenti e con i ministri della stessa; di indagare se la vita evangelica sia osservata o meno, se il consiglio funzioni in modo adeguato, se la fraternità sia impegnata in opere di apostolato e di carità; se pace, armonia e zelo per la vita evangelica stiano prosperando.
Ogni fraternità dispone di un fondo comune al quale i membri contribuiscono secondo la loro capacità e le necessità dell’Ordine francescano secolare ai vari livelli. Esistono varie pubblicazioni che vengono fatte circolare per permettere alla gente di conoscere l’Ordine francescano secolare; di solito in ogni fraternità esiste una biblioteca più o meno grande; è indispensabile del materiale per l’istruzione dei candidati e dei membri professi. Il fondo fornisce il sostegno per i convegni, le spese di cancelleria, le spese postali e le forniture per ufficio, per il costo degli ospiti occasionali invitati ai convegni, per la carità ai poveri, ai membri bisognosi e ad altri. Inoltre bisogna contribuire anche al sostegno delle attività regionali e nazionali e dei progetti apostolici di ogni genere. Nessun gruppo può funzionare  senza un supporto economico  e quindi vi viene chiesto di sostenere l’Ordine francescano secolare in base alle vostre possibilità e al vostro spirito di generosità.
 + Domande per la riflessione. – Quali sono i vari livelli nella struttura dell’Ordine francescano secolare? Qual è lo scopo dei vari livelli delle fraternità? Qual è lo scopo di una visita fraterna o pastorale? E del fondo comune?

+ Connessioni bibliche e francescane. – 2Re, cap. 1,14. Larranaga, Nostro fratello, pp. 240-243.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – In che modo, oggi, la chiesa può progredire con i cristiani che operano insieme? Qual è la nostra parte di responsabilità nella struttura dell’Ordine francescano secolare per provvedere a fratelli e sorelle? Pregate ogni giorno per l’Ordine francescano secolare, per i suo responsabili, affinché possano servire bene i loro fratelli e sorelle.

+ Preghiera. – Ti lodo, Signore, per la gente di fede che circonda il pianeta Terra. Facci diventare un corpo solo secondo la tua volontà. Amen.

 

Dalla Regola dell’Ordine francescano secolare

26. In segno concreto di comunione e di corresponsabilità, i consigli ai diversi livelli, secondo le costituzioni, chiederanno religiosi idonei per l’assistenza spirituale ai superiori delle quattro famiglie religiose francescane, alle quali da secoli la fraternità secolare è collegata.
Per favorire la fedeltà al carisma e l’osservanza della Regola e per aver maggiori aiuti nella vita di fraternità, il ministro o il presidente, d’accordo con il suo consiglio, sia sollecito nel chiedere periodicamente la visita pastorale ai competenti superiori religiosi e la visita fraterna ai responsabili di livello superiore, secondo le costituzioni.

 

Riflessione 51

Professione/Impegno

Nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma l’Altissimo stesso mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. (San Francesco, Testamento, 16-17: FF 116)

A questo punto siete giunti più o meno alla fine di un anno di studio, attento e fondato sulla preghiera, per capire come deve essere la vita di un francescano secolare. Se state seguendo un programma di formazione in una fraternità francescana secolare, ora potete essere invitati a fare la professione religiosa o di impegno, vale a dire una dichiarazione pubblica, accolta ufficialmente dalla chiesa, mediante la quale promettete di tendere alla santità mediante l’osservanza del santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo secondo la Regola dell’Ordine francescano secolare. In che modo tale vita si può descrivere e sintetizzare? Padre Benet Fonck, Ofm, la descrive con queste parole:

Il francescano secolare è chiamato da Dio, per mezzo dello Spirito Santo, all’osservanza del santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo secondo lo spirito di san Francesco e l’eredità della famiglia francescana nel mondo e in una comunità con una sola mente e un solo cuore attraverso una vita di preghiera (specialmente liturgica), attraverso un costante cambiamento del cuore, e attraverso la povertà evangelica; quindi egli è chiamato a costruire lo spirito dell’amore fraterno fra la gente infiammando il mondo con i valori evangelici, portando pace e carità, instillando giustizia e dignità, mantenendosi sensibile e fedele alla chiesa e testimoniando il Vangelo di Gesù con una professione pubblica. Tutto questo si compie mediante l’esempio e l’aiuto di Maria, Francesco e i santi e nell’imitazione in intima unione di Gesù Cristo, nostro Signore.

 

La professione dovrebbe aver luogo durante l’eucaristia, poiché questa speciale pienezza di vita battesimale che viene suggellata e confermata sottolinea più chiaramente l’impegno di essere testimoni di Gesù più efficacemente nella fraternità, nella chiesa e nel mondo intero. Tale cerimonia è indice del fatto che ora donate voi stessi al Signore Gesù in modo nuovo. Ora siete mandati dallo Spirito per compiere l’opera del Signore in modo nuovo. Mediante la professione entrate in una nuova relazione con gli altri membri della vostra fraternità.

La fraternità

Nell’impegnarvi a percorrere la via di Gesù, vi impegnate anche nei confronti dei fratelli e delle sorelle. Dio non vi chiama come singoli individui, ma come fratelli e sorelle. Apparteniamo a una comunità, a una fraternità. Impariamo a conoscere Gesù in seno alla comunità di fede. Scorgiamo la via di Francesco con l’aiuto dei suoi seguaci.
Ma impegnarci verso il Signore a osservare il Vangelo non è cosa che possiamo fare da soli. Abbiamo bisogno dell’aiuto, del sostegno e delle preghiere dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. Anche se la fraternità non si incontrasse molto spesso, i membri sono chiamati a prendersi cura gli uni degli altri, a pregare, a condividere e a lavorare insieme, perché Gesù vive fra noi.

+ Domande per la riflessione. – Scegliere di seguire per il resto dei vostri giorni lo stile di vita francescano? In che modo la fraternità vi aiuterà a restare fedeli seguaci di Francesco e di Gesù?

+ Connessioni bibliche e francescane. – La rivolta contro Davide e la sua morte in 2Re, capp. 15-24. Continuate la lettura dell’Antico Testamento. Continuate a leggere l’opera di Larranaga e di altri autori segnalati nella bibliografia al termine di questo libro.

+ Applicazione alla vita quotidiana.- Riflettete su come il Signore ha operato nei luoghi in cui siete stati nella vostra vita. Ammettete le vostre debolezze e i vostri errori e confidate nel potere che il Signore ha per cambiarvi. Non temete niente e nessuno. Preparatevi con la preghiera a fare la vostra professione. Cercate di capire bene ciò che state facendo con la scelta di fare la professione. Donatevi a Gesù. Promettete di operare per lui e per il suo regno.

+ Preghiera. – Ora che conosco meglio il tuo fedele Francesco, Signore, da questo momento della mia vita quale cammino devo percorrere? Mostrami la via, Signore. Guidami, Signore. Io ti appartengo. Amen.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riflessione 52

Ricominciamo di nuovo e ancora di nuovo…

Ho fatto il mio dovere; quanto spetta a voi, ve lo insegni Cristo! (Tommaso da Celano, Vita seconda, 214: FF 804)

Una volta fatta la professione nell’Ordine francescano secolare, avete portato a termine un compito e siete entrati in un mondo nuovo, solo per ricominciare di nuovo. La professione è una porta attraverso la quale entrate in una nuova vita, la vita evangelica, la vita delle beatitudini. Comincerete a camminare al fianco del Signore nella sua vita, nella sua via, nella sua verità. Potete aspettarvi di sentirvi a volte scoraggiati, o delusi, o come dice la Bibbia, “nel deserto”, ma dovete credere sempre più fortemente che Gesù sta camminando con voi. Egli dice: “Non temete”. Mentre risponderete alla sua chiamata e camminerete al suo fianco, vi troverete al servizio dei vostri fratelli e delle vostre sorelle. Riuscirete a donare agli altri quello che avete ricevuto.

Conoscendo il Signore

Forse dovremmo fissare l’attenzione su qualcosa che abbiamo letto nel libro di padre Ignacio Larranaga, Nostro fratello di Assisi. Egli descrive bene come Francesco arrivò a conoscere Gesù, e conobbe se stesso per la prima volta. Francesco riconobbe se stesso come il Poverello la cui forza era nel Signore. Egli fece l’esperienza del Signore all’opera nella sua vita. Noi abbiamo bisogno di fare lo stesso.
Sappiate che il Signore sta operando nella vostra vita e nella vostra fraternità. Gesù dice: “Sarò con voi”. Difficoltà, rancori, lotte per il potere e invidie salteranno fuori inaspettati nella vostra vita e in quella dei vostri fratelli e sorelle. Ma Gesù non ci abbandona; egli rimane con noi, confortandoci pazientemente, guidandoci, insegnandoci, ma anche condannandoci per i peccati e le debolezze. Gesù ci infonde l’urgenza del Vangelo: “Non c’è tempo da perdere. La vita che viviamo e il lavoro che compiamo sono importanti per ognuno di noi e per il suo regno”.

Preghiera e servizio

Sforzatevi di sviluppare una vita di profonda preghiera. Continuate a riservare, nella vostra giornata, un momento da dedicare alla preghiera, sia in lode a Dio sia per intercedere per i vostri fratelli e sorelle. Tutti noi abbiamo bisogno della misericordia di Dio. Sforzatevi anche di prestare aiuto a fratelli e sorelle, sia nella fraternità che nelle vostre famiglie e fra i vostri amici. Il Signore ci chiama a essere costruttori di pace, incoraggiandoci a pregare per riparare alla distruzione causata dalla violenza nel mondo. Andate oltre voi stessi, come fece Francesco. Giungete dove giunse Gesù. E per concludere, leggete la parola del Signore ogni giorno, riflettetevi sopra, lasciate che essa “dimori in voi”. Prendete le decisioni quotidiane sulla scia di quanto Gesù disse e operò. Siate convinti che lo Spirito ci riunisce continuamente a formare insieme il corpo di Gesù, oggi.

Invitate gli altri a unirsi a voi

C’è una piccola frase scherzosa  sull’Ordine francescano secolare, la quale dice: “L’Ordine francescano secolare è il segreto meglio mantenuto nella chiesa”. Ma non dobbiamo tenere per noi le cose buone. Condividete con gli altri ciò che il Signore sta facendo per voi. E’cosa del tutto naturale raccontare agli altri di questo nuovo stile di vita che avete accettato e invitarli a unirsi a voi. Quello che il Signore sta facendo per voi, lo può fare anche per loro.

+ Domande per la riflessione. – Che cosa significa professione? Perché fate la vostra promessa in seno a un gruppo di persone chiamato, insieme a voi, fraternità? Quale opera vi sta chiamando a compiere Gesù?

+ Connessioni bibliche e francescane. – Continuate a leggere la Sacra Scrittura; selezionate nuove letture francescane dalla bibliografia posta alla fine del volume.

+ Applicazione alla vita quotidiana. – Cercate di guardare a coloro che vi circondano come a “fratelli e sorelle” che amate e avete cari. Osservate come questo influisce sulla vostra visione del mondo.

+ Preghiera. – Dio d’amore, io ti rendo onore, grazie e lode. Tu mi perdoni quando non riesco a vivere secondo il Vangelo. Mi dai coraggio quando riesco a seguire la tua via. Ti chiedo la fede e il coraggio di ricominciare sempre di nuovo a seguire Gesù, mio Signore e Salvatore. Amen.
APPENDICE

Possa il Signore donarvi una nuova speranza ogni mattina e gioia che vi accompagni per tutta la giornata

 

1. Bibliografia

1  –  Fonti

Fonti Francescane: Scritti e biografie di san Francesco d’Assisi; Cronache e altre testimonianze del primo secolo francescano; Scritti e biografie di santa Chiara, Messaggero, Padova 2000. L’opera è disponibile in edizione maior e minor. Sigla: FF (l’equivalente in lingua inglese delle FF è St. Francis of Assisi. Omnibus of sources, a cura di R. Brown, Chicago 1973, citato come Omnibus).

Francesco d’Assisi, Scritti. Testo latino e traduzione italiana a cura di A. Cabassi, Editrici francescane, Padova 2002. L’edizione critica di questi scritti è stata compiuta da K. Esser in Gli scritti di Francesco d’Assisi, orig. Tedesco Roma 1976, tr. It.,  Messaggero, Padova 1982. Per una edizione economica vedasi Id., Scritti, a cura di Vergilio Gamboso, Messaggero, Padova 1995.

Chiara d’Assisi, Scritti e documenti, a cura di M. Bartoli – G. Zoppetti, Messaggero, Padova 1994.

AA.VV. Dizionario Francescano. Spiritualità, Messaggero, Padova 1995

2 – Biografie e interpretazioni

Aizpurua, F., Il cammino di Francesco d’Assisi. Corso base di francescanesimo: vita, scritti e spiritualità di Francesco, Messaggero, Padova 1992.

Id., Il cammino di Chiara d’Assisi. Corso base di francescanesimo: vita, scritti e spiritualità di Chiara, Messaggero, Padova 1993

Cardini, F., Francesco d’Assisi, Milano 1989

Fortini, A., Nova Vita di san Francesco, Roma 1960

Frank, I. W., Francesco d’Assisi. Domande a una risposta, Messaggero, Padova 1996

Larranaga, I., Nostro fratello di Assisi. Storia di una esperienza di Dio, Messaggero, Padova 1986 (ristampa 2002)

Garrido, J., La forma di vita francescana ieri e oggi, Messaggero, Padova 1987

Hubaut, M., Cristo nostra felicità. Pregare con Francesco e Chiara d’Assisi, Messaggero, Padova 1991

Iammarrone, G., La spiritualità francescana. Anima e contenuti fondamentali, Messaggero, Padova 1993

Leclerc, E., Francesco. Un sogno da Assisi, Messaggero, Padova 2001

Merino, J.A., Manifesto francescano. Costruire un futuro per l’uomo, Messaggero, Padova 1994

Montorsi, G., Francesco d’Assisi, maestro di vita. Il messaggio delle Fonti francescane, Messaggero, Padova 2001 (VI
ristampa)

Montorsi, G., Chiara d’Assisi, maestra di vita. Il messaggio delle Fonti francescane, Messaggero, Padova 1997 (IV ristampa)

Muller. J., Storia di Francesco. Il Santo di Assisi, Messaggero, Padova 2001

Pazzelli, R., San Francesco e il Terzo Ordine. Il movimento penitenziale pre-francescano e francescano, Messaggero, Padova 1983

Pohlmann, C., Francesco uomo nuovo, Messaggero, Padova 1987

Prini, P., Il senso del messaggio francescano, Messaggero, Padova 2000

Rivi, P., Francesco d’Assisi e il laicato del suo tempo. Le origini dell’Ordine francescano secolare, Messaggero, Padova 1989

Scarsato, F., Francesco ovvero delle contraddizioni. L’esperienza dell’eremo, Messaggero, Padova 2002

3 – Videocassette

Due film famosi su san Francesco, uno di Liliana Cavani, l’altro di Franco Zeffirelli, sono disponibili anche in video presso i negozi di noleggio.

4 – Risorse francescane in Internet

http://www.ofs.it/ofs.html/: è il sito ufficiale in italiano dell’Ordine francescano secolare

http://www.sanfrancescoassisi.org/: è il sito ufficiale della Basilica di san Francesco e del Sacro Convento di Assisi

http://www.porziuncola.org/: è il sito della Basilica di Santa Maria degli Angeli alla Porziuncola

http://www.san-francesco.org/: è il sito di due appassionati di san Francesco (Sandra Nichelsen e Raffaele Landolfo); contiene scritti francescani, le regole e le lettere di Francesco, immagini e altre interessanti risorse.

http://www.sinet.it/sfrancesco/italia.html/: è l’Internet Franciscan Fraternity. Nonostante il nome è anche in italiano. E’ la maggior comunità virtuale di francescani e simpatizzanti del santo di Assisi. Il sito si propone come punto d’incontro di tutti gli uomini e donne di  buona volontà che si riconoscono nei valori che san Francesco d’Assisi ha espresso nella sua vita: la fede in Dio, l’amore per l’uomo, la natura, la pace e il dialogo, l’umiltà e l’attenzione verso i più poveri e deboli senza distinzione di razza, lingua, religione, nazionalità.

http://www.francisacn-archive.org/: chi legge almeno un po’ di inglese non può perdersi l’archivio francescano; una vera miniera di testi, documenti e fonti storiche sul francescanesimo, sui santi francescani, la spiritualità e la liturgia.

http://www.messaggerosantantonio.it/: è il sito dell’Editrice Messaggero di S. Antonio presso la Basilica del Santo di Padova

 

 

 

 

 

 

 

2. La Regola dell’Ordine francescano secolare
Approvata da papa Paolo VI il 24 giugno 1978

Chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione dell’Altissimo Padre, e in terra sia ricolmo della benedizione del suo Figlio diletto, insieme con lo Spirito Santo, il Consolatore.(Benedizione di san Francesco, dal Testamento: FF 131)

Prologo. Esortazione di san Francesco ai Fratelli e Sorelle della penitenza

Nel nome del Signore!

Di quelli che fanno la penitenza

Tutti coloro che amano il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima e la mente, con tutte le forze (cf. Marco 12,30), e amano il loro prossimo come se stessi (cf. Matteo 22,39), e hanno in odio i loro corpi con i vizi e peccati, e ricevono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e fanno frutti degni di penitenza.
Oh quanto sono beati e benedetti quelli e quelle che fanno tali cose e perseverano in esse! Infatti riposerà su di loro lo Spirito del Signore (cf. Isaia 11,2) ed egli farà la sua abitazione e dimora in essi (cf. Giovanni 14,23); e sono figli del Padre celeste (cf. Matteo 5,45), del quale compiono le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo (cf. Matteo 12,50).
 Siamo suoi sposi quando l’anima fedele si unisce al Signore nostro Gesù Cristo per virtù di Spirito Santo. Siamo suoi fratelli quando facciamo la volontà del Padre che è nei cieli (cf. Matteo 12,50).
Gli siamo madri quando lo portiamo nel cuore e nel corpo nostro (cf. 1Corinzi 6,20) per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza; e lo generiamo attraverso le opere sante, che devono splendere di esempio agli altri (cf. Matteo 5,16). Oh come è glorioso, santo w grande avere un Padre nei cieli! Com’è santo, consolante, bello e ammirabile avere un tale sposo!
Quanto sacro e caro, piacevole, umile, pacificante e dolce, amabile e desiderabile sopra ogni cosa, avere un tale fratello e un tale figlio: il Signore nostro Gesù Cristo, il quale ha offerto la vita per le sue pecore (cf. Giovanni 10,15) e ha pregato il Padre dicendo:
“Padre santo, custodisci nel tuo nome (cf. Giovanni 17,11) quelli che mi hai dato nel mondo; erano tuoi e li hai dati a me. Le parole che hai dato a me io le ho date a loro; essi le hanno accolte e hanno creduto veramente che sono uscito da te e hanno conosciuto che tu mi hai mandato. Io prego per loro e non per il mondo (cf. Giovanni 17,9). Benedicili e santificali; per loro io consacro me stesso. Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me attraverso la loro parola (cf. Giovanni 17,20), perché siano santificati nell’unità come lo siamo noi (cf. Giovanni 17,11). E voglio, Padre, che dove sono io siano anche loro con me, perché contemplino la mia gloria nel tuo regno. Amen” (cf. Giovanni 17,6-24).

Di coloro che non fanno penitenza

Ma tutti gli uomini e le donne che non fanno penitenza e non ricevono il corpo e il sangue di nostro Signore Gesù Cristo, i quali vivono nei vizi e nel peccato e cedono alla concupiscenza malvagia e ai perversi desideri della carne, e non osservano ciò che hanno promesso al Signore, e sono schiavi del mondo con il proprio corpo, mediante i desideri carnali, le ansie e gli affanni di questa vita (cf. Giovanni 8,41); ebbene, costoro sono ciechi poiché non vedono la vera luce, nostro Signore Gesù Cristo; non possiedono la saggezza spirituale poiché non possiedono il Figlio di Dio che è la vera saggezza del Padre. Riguardo a loro sta scritto: “Tutta la loro perizia sera svanita” (Salmo 106, (107),27) e: “Tu minacci gli orgogliosi; maledetto che devia dai tuoi decreti” ( salmo 118 (119), 21). Essi vedono e riconoscono, sanno e commettono atti malvagi, e consapevolmente distruggono la loro anima.
Vedete, voi che siete ciechi, ingannati dai vostri nemici, il mondo, la carne e il demonio, poiché è piacevole per il corpo peccare ed è amaro metterlo al servizio di Dio perché tutti i vizi e i peccati escono e “procedono dal cuore dell’uomo” come dice il Signore nel Vangelo (cf. Matteo 7,21). E non possedete nulla in questo mondo e neppure nell’altro, mentre credevate che avreste posseduto tutte le vanità di questo mondo per lungo tempo.
Ma siete stati ingannati, poiché verrà il giorno e l’ora a cui ora non pensate, che non conoscete e di cui non sapete nulla. Il corpo diventerà infermo, la morte si avvicinerà, e così esso morirà di morte amara; e non sarà importante dove, come e quando l’uomo muore, in colpa di peccato, senza penitenza né espiazione, sebbene egli possa riparare ma non lo fa. Il demonio strappa l’anima dal corpo con angoscia e sofferenza tali che nessuno può capire eccetto chi le sopporta, e ogni talento, potere, “conoscenza e saggezza” (cf. 2Cronache 1,17) che gli uomini pensavano di avere saranno tolti (cf. Luca 8,18; Marco 4,25), ed essi lasceranno i propri beni a parenti e ad amici, i quali li prenderanno e li divideranno, e in seguito diranno: “Sia maledetta la sua anima, poiché avrebbe potuto darci di più, avrebbe potuto acquisire più ricchezza di quanto abbia fatto”. I vermi divoreranno i corpi, sicché quegli uomini avranno perduto sia corpo che anima in questa breve vita terrena, e andranno all’inferno dove patiranno pene per l’eternità.
A tutti coloro nelle cui mani arriverà questa lettera chiediamo, in carità di Dio (cf. 1Giovanni 4,17), di accettare con prontezza e amore divino le gradite parole di nostro Signore Gesù Cristo sopra citate. E chiediamo che a coloro che non sanno leggere quelle parole siano lette. E possano essi tenerle in mente e metterle in atto, in modo santo fino alla fine, poiché essi sono “spirito e vita” (Giovanni 6,64).
E coloro che non faranno questo dovranno renderne “conto nel giorno del giudizio cf. Matteo 12,36) dinanzi al tribunale di nostro Signore Gesù Cristo (cf. Lettera ai romani 14,10).

Capitolo I

L’Ordine francescano secolare (OFS)

1 – Tra le famiglie spirituali, suscitate dallo Spirito Santo nella chiesa (cf. Lumen gentium, 43), quella francescana riunisce tutti quei membri del popolo di Dio – laici, religiosi e sacerdoti – che si riconoscono chiamati alla sequela di Cristo sulle orme di san Francesco d’Assisi.
In modi e forme diverse, ma in comunione vitale reciproca, essi intendono rendere presente il carisma del loro comune Padre Serafico nella vita e nella missione della chiesa (cf. Apostolicam actuositatem, 4,8).

2 – In seno alla famiglia francescana, ha una specifica collocazione l’Ordine francescano secolare. Questo si configura come una unione organica di tutte le fraternità cattoliche sparse nel mondo e aperte a ogni ceto di fedeli, nelle quali i fratelli e le sorelle, spinti dallo Spirito a raggiungere la perfezione della carità nel proprio stato secolare, con la professione si impegnano a vivere il Vangelo alla maniera di san Francesco e mediante questa Regola autenticata dalla chiesa.

3 – La presente Regola, dopo il “Memoriale Propositi” (1221) e dopo le regole approvate dai sommi pontefici Niccolò IV e Leone XIII, adatta l’Ordine francescano secolare alle esigenze e alle attese della santa chiesa nelle mutate condizioni dei tempi. La sua interpretazione spetta alla Santa Sede, e l’applicazione sarà fatta dalle costituzioni generali e dagli statuti particolari.

Capitolo II

La forma di vita

4 . La regola e la vita dei francescani secolari è questa: osservare il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo secondo l’esempio di san Francesco d’Assisi, il quale del Cristo fece l’ispiratore e il centro della sua vita con Dio e con gli uomini.
Cristo, dono dell’amore del Padre, è la via che conduce a lui, è la verità nella quale lo Spirito Santo ci introduce, è la vita che egli è venuto a donare in sovrabbondanza-
I francescani secolari si impegnino inoltre a un’assidua lettura del Vangelo, passando dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo.

5 – I francescani secolari, perciò, dovrebbero cercare di incontrare Cristo in persona, vivente e attivo, nei loro fratelli e nelle loro sorelle, nella Sacra Scrittura, nella chiesa, e nell’attività liturgica. La fede di san Francesco, il quale spesso diceva: “Non vedo nulla di corporeo, in questo mondo, che appartenga all’altissimo Figlio di Dio tranne il suo santissimo corpo e sangue”, dovrebbe costituire l’ispirazione e l’esempio per la loro vita eucaristica.

6 – Sepolti e risuscitati con Cristo mediante il battesimo che li rende membri vivi della chiesa, e a essa più fortemente vincolati per la professione, si facciano testimoni e strumenti della sua missione fra gli uomini, annunciando Cristo con la vita e con la parola. Ispirati da san Francesco e con lui chiamati a ricostruire la chiesa, si impegnino a vivere in piena comunione con il papa, i vescovi e i sacerdoti, in un fiducioso e aperto dialogo di creatività apostolica.

7 – Quali “Fratelli e Sorelle della penitenza”, in virtù della lro vocazione, sospinti dalla dinamica del Vangelo, conformino il loro modo di pensare e di agire a quello di Cristo mediante un radicale mutamento interiore che il Vangelo stesso designa con il nome di “conversione”, la quale, per l’umana fragilità, deve essere attuata ogni giorno.
In questo cammino di rinnovamento, il sacramento della riconciliazione è segno privilegiato della misericordia del Padre e sorgente di grazia.

8 – Come Gesù fu il vero adoratore del Padre, così i francescani secolari facciano della preghiera e della contemplazione l’anima del proprio essere e del proprio operare.
Partecipino alla vita sacramentale della chiesa, e soprattutto all’eucaristia. Si associano alla preghiera liturgica in una delle forme proposte dalla chiesa, rivivendo così i misteri della vita di Cristo.

9 – La Vergine Maria, umile serva del Signore, disponibile alla sua parola e a tutti i suoi appelli, fu circondata da Francesco di indicibile amore, e fu designata protettrice e avvocata della sua famiglia. . I francescani secolari testimonino a lei il loro ardente amore, conl’imitazione della sua incondizionata disponibilità e nella effusione di una fiduciosa e costante preghiera.

10 – Unendosi all’obbedienza redentrice di Gesù, che depose la sua volontà in quella del Padre, adempiano fedelmente agli impegni propri della condizione di ciascuno nelle diverse circostanze della vita, e seguano Cristo, povero e crocifisso, testimoniandolo anche fra le difficoltà e le persecuzioni

11 – Cristo, fiduciose nel Padre, scelse per sé e per la Madre sua una vita povera e umile, pur nell’apprezzamento attento e amoroso delle realtà create; così i francescani secolari cerchino nel distacco e nell’uso una giusta relazione ai beni terreni, semplificando le proprie materiali esigenze; siano consapevoli, poi, di essere, secondo il Vangelo, amministratori dei beni ricevuti a favore dei figli di Dio.
Così, nello spirito delle “beatitudini”, s’adoperino a purificare il cuore da ogni tendenza e cupidigia di possesso e di dominio, quali “pellegrini e forestieri” in cammino verso la casa del Padre.

12 – Testimoni dei beni futuri e impegnati nella vocazione abbracciata all’acquisto della purità di cuore, si renderanno così liberi all’amore di Dio e dei fratelli.

13 – Come il Padre vede in ogni persona i lineamenti del suo Figlio, primogenito di una moltitudine di fratelli e sorelle, così i francescani secolari accolgono tutti gli uomini con animo umile e cortese, come dono del Signore e immagine di Cristo. Il senso di fraternità li renderà lieti di mettersi alla pari di tutti gli uomini, specialmente dei più piccoli, per i quali si sforzeranno di creare condizioni di vita degne di creature redente da Cristo.

14 – I francescani secolari, insieme con tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati a costruire un mondo più fraterno ed evangelico, per la realizzazione del regno di Dio. Consapevoli che chiunque “segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa egli stesso più uomo”, esercitino con competenza le proprie responsabilità nello spirito cristiano di servizio.

15 – Siano presenti, con la testimonianza della propria vita umana e anche con iniziative coraggiose tanto individuali che comunitarie, nel promuovere la giustizia, e in particolare nel campo della vita pubblica, impegnandosi in scelte concrete e coerenti con la loro fede.

16 – Reputino il lavoro come dono e come partecipazione alla creazione, alla redenzione e al servizio della comunità umana.

17 – Nella loro famiglia vivano lo spirito francescano di pace, fedeltà e rispetto per la vita, sforzandosi di farne il segno di un mondo già rinnovato in Cristo. I coniugi in particolare, vivendo le grazie del matrimonio, testimonino nel mondo l’amore di Cristo per la sua chiesa. Con una educazione cristiana semplice e aperta, attenti alla vocazione di ciascuno, camminino gioiosamente con i propri figli nel loro itinerario umano e spirituale.

18 – Abbino, inoltre, rispetto verso le altre creature, animate e inanimate, che “dell’Altissimo portano significazione”, e si sforzino di passare dalla tentazione di sfruttamento alla concezione francescana di fratellanza universale.

19 – Quali portatori di pace e memori che essa va costruita continuamente, ricerchino le vie dell’unità e delle fraterne intese, attraverso il dialogo, fiduciosi nella presenza del germe divino che è nell’uomo e nella potenza trasformatrice dell’amore e del perdono.
Messaggeri di perfetta letizia in ogni circostanza, si sforzino di portare agli altri la gioia e la speranza.
Innestati nella risurrezione di Cristo, la quale dà il vero significato a sorella morte, tendano con serenità all’incontro definitivo con il Padre.
Capitolo III

La vita in fraternità

20 – L’Ordine francescano secolare si articola in fraternità a vari livelli: locale, regionale, nazionale e internazionale. Esse hanno la propria personalità morale nella chiesa. Queste fraternità di vario livello sono tra di loro coordinate e collegate a norma di questa Regola e delle costituzioni.

21 – Nei diversi livelli, ogni fraternità è animata e guidata da un consiglio e da un ministro (o presidente), che vengono eletti dai membri professi in base alle costituzioni.
Il loro servizio, che è temporaneo, è un impegno di disponibilità e di responsabilità verso i singoli e verso i gruppi.
Le fraternità, al loro interno, si strutturano, a norma delle costituzioni, in modo diversi secondo i vari bisogni dei membri e delle regioni in cui sono situate, e sotto la guida del rispettivo consiglio.

22 – La fraternità locale ha bisogno di essere eretta canonicamente e così diventa la cellula prima di tutto l’Ordine, nonché segno visibile della chiesa, che è comunità di amore. Essa dovrà essere l’ambiente privilegiato per sviluppare il senso ecclesiale e la vocazione francescana, nonché per animare la vita apostolica dei suoi membri.

23 – Le domande di ammissione all’Ordine francescano secolare vengono presentate a una fraternità locale, il cui consiglio decide l’accettazione dei nuovi fratelli e sorelle.
L’inserimento si realizza mediante un tempo di iniziazione, un tempo di formazione di almeno un anno, e la professione della Regola. A tale sequenza di sviluppi è impegnata tutta la fraternità anche nel suo modo di vivere. Riguardo all’età per la professione e al segno distintivo francescano, ci si regoli secondo gli statuti.
La professione è di per sé un impegno perpetuo. I membri che si trovino in difficoltà particolari, cureranno di trattare i loro problemi con il consiglio in un dialogo fraterno. Il ritiro o la definitiva dimissione dall’Ordine, se proprio necessaria, è atto di competenza del consiglio di fraternità, a norma delle costituzioni.

24 – Per incrementare la comunione fra i membri, il consiglio organizzi adunanze periodiche e incontri frequenti, anche con altri gruppi francescani, specialmente giovanili, adottando i mezzi più appropriati per una crescita nella vita francescana ed ecclesiale, stimolando ognuno alla vita di fraternità. Una tale comunione prosegue con i fratelli e le sorelle defunti con l’offerta di suffragi per le loro anime.

25 – Per le spese occorrenti alla vita della fraternità e per quelle necessarie alle opere di culto, di apostolato e di carità, tutti i fratelli e sorelle offrano un contributo commisurato alle proprie possibilità. Sia poi cura delle fraternità locali di contribuire alle spese dei consigli delle fraternità di grado superiore.

26 – In segno concreto di comunione e di corresponsabilità, i consigli ai diversi livelli, secondo le costituzioni, chiederanno religiosi idonei per l’assistenza spirituale ai superiori delle quattro famiglie religiose francescane, alle quali da secoli la fraternità secolare è collegata.
Per favorire la fedeltà al carisma e l’osservanza della Regola e per avere maggiori aiuti nella vita di fraternità, il ministro o il presidente, d’accordo con il suo consiglio, sia sollecito nel chiedere periodicamente la visita pastorale ai competenti superiori religiosi e la visita fraterna ai responsabili di livello superiore, secondo le costituzioni.
 
 

 

 

 

 

 

 

3. Invito

Possa il Signore donarvi la pace.

Francesco d’Assisi, che era chiamato il Poverello, riscoprì il Vangelo come un modo di vivere. Migliaia, anzi milioni di persone, nei tre Ordini da lui fondati, hanno seguito Francesco nella sua riscoperta del Vangelo. La nuova Regola dell’Ordine francescano secolare si presente così: La Regola e la vita dei francescani secolari consiste in questo: osservare il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo seguendo l’esempio di san Francesco d’Assisi, che fece del Cristo il centro e l’ispirazione della sua vita con Dio e con la gente (n. 4).
L’Ordine francescano secolare, precedentemente chiamato il Terzo Ordine di san Francesco, è una comunità di uomini e donne che vivono nel mondo e cercano di conformare la loro vita sull’esempio di san Francesco d’Assisi, e attraverso lui, di Gesù Cristo. Esso esiste da più di 750 anni. Oggi vi fanno parte 700 mila membri in tutto il mondo, di cui 40 mila solamente negli Stati Uniti. Vi Invitiamo a unirvi a noi. Siamo convinti di essere stati chiamati a vivere il Vangelo dallo Spirito Santo, una vocazione che non possiamo adempiere da soli; sappiamo di aver bisogno di altri cristiani, di una comunità o una fraternità che ci aiuti nella preghiera e nel servizio agli altri.
Come san Francesco nella sua vita fece esperienza della conversione, allo stesso modo egli ci guida in un mondo nuovo attraverso l’esperienza della conversione. Ogni membro viene guidato lungo varie tappe: 1) a esaminare la proposta, 2) a provare mediante un programma di preghiera, di studio e di azione, e infine 3) a fare la professione nell’Ordine francescano secolare come scelta di stile di vita.
Non siamo chiamati ad abbandonare il mondo, bensì a trasformarlo. Restiamo nelle nostre famiglie, manteniamo e approfondiamo le nostre amicizie. Ma mentre viviamo la vita, le idee, la preghiera e il nostro stile di vita maturano e si trasformano. Lo Spirito ci dona la luce e la forza per trasformarci e ci libera da tutto ciò che ci impedisce di amare Dio e di amarci gli uni dagli altri. Leggiamo, preghiamo e viviamo il Vangelo per imparare le vie di Gesù. Siamo uniti gli uni agli altri, con Gesù, nell’eucaristia.
Siamo in grado di approfondire la nostra vita di preghiera e la nostra unione con Dio. Abbiamo una sollecitudine particolare per le opere di pace e di riconciliazione. Cerchiamo di vivere in modo semplice, valutiamo le persone al di là di ciò che possiedono, e condividiamo ciò che abbiamo con gli altri. Fortifichiamo la nostra lealtà alla chiesa e ai suoi pastori,come la lealtà al Signore.
Ci sforziamo di aiutare gli ammalati, i poveri e gli oppressi. Siamo in grado di sviluppare la capacità di guidare altre persone, ricevendo i doni del Signore con gratitudine. Riceviamo la forza per superare le difficoltà della vita. Riceviamo guarigione dal Signore e gli uni dagli altri.
La nostra Regola di vita è stata rivista e approvata dal nostro Santo Padre, papa Paolo VI. I francescani secolari condividono la medesima missione della chiesa.

Vi invitiamo a unirvi a noi. Tuttavia, che vi uniate a noi oppure no, noi pregheremo affinché il Signore vi dia pace!.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

INDICE

Presentazione          pag. 01
L’Ordine francescano secolare        pag. 02
Introduzione          pag. 03

Parte prima

Il fondamento

  1 – Ricominciare          pag. 06
  2 – Natura e fine dell’Ordine francescano secolare      pag. 09
  3 – La missione dell’Ordine francescano secolare è vivere la vita evangelica   pag. 11
  4 – La spiritualità francescana        pag. 13
  5 – Dio è amore          pag. 15
  6 – Cristo, il capolavoro progettato dall’eternità      pag. 18
  7 – La grazia di Cristo         pag. 20
  8 – Gesù visibile oggi         pag. 22
  9 – Il Cristo reale          pag. 24
10 – Il dono dello Spirito         pag. 26
11 – Maria, nostra madre e nostro modello       pag. 28

Parte seconda

La conversione

12 – Penitenza: rivolgersi a Dio e allontanarsi dal peccato     pag.  30 
13 – Le conseguenze della penitenza       pag. 32
14 – Il sacramento della riconciliazione       pag. 35
15 – La povertà di Cristo         pag. 37
16 – Povertà per il regno         pag. 39
17 – Alcune applicazioni esteriori della povertà      pag. 41
18 – Umiltà, gemella della povertà        pag. 43
19 – Umiltà verso gli altri         pag. 45
20 – Una vita di castità         pag. 47
21 – Giovani: speranza del futuro        pag. 49
22 – Obbedienza          pag. 51

Parte terza

La preghiera

23 – Lo spirito e la pratica della preghiera       pag. 53
24 – Pregare con la parola di Dio        pag.   55
25 – Un metodo di preghiera        pag. 57
26 – Cristo si unisce a noi nella sua preghiera: la liturgia     pag. 59
27 – Eucaristia: contemplare il mistero       pag. 60
28 – La liturgia delle Ore         pag. 62
29 – Pregare in gruppo         pag. 64
30 – Chiara, luce che abbaglia        pag. 66

 

Parte quarta

L’apostolato

31 – La vita familiare: santità al proprio posto      pag. 68
32 – Carità: amare tutta la gente        pag. 71
33 – Il perdono di Cristo         pag. 73
34 – Essere Cristo per gli altri        pag. 75
35 – Vedere Cristo negli altri        pag. 77
36 – Giustizia: il primo requisito della carità       pag. 79
37 – Giustizia: portare il Vangelo nel mondo      pag. 81
38 – Giustizia: nuovi problemi sociali       pag. 83
39 – La pratica della giustizia        pag. 86
40 – L’apostolato della pace        pag. 89
41 – Aver cura del creato         pag. 90
42 – Lavoro: un progetto comune del creato      pag. 91
43 – Carità verso i sofferenti        pag.  93
44 – L’apostolato: “Ripara la mia chiesa”       pag. 96
45 – L’apostolato che tutti possono essere uno      pag. 98
46 – L’apostolato del buon esempio       pag. 100
47 – La perfetta letizia         pag. 101

Parte quinta

La struttura dell’Ordine francescano secolare

48 – Una comunità fraterna        pag. 103
49 – Organizzazione dell’Ordine francescano secolare     pag. 105
50 – Struttura dell’Ordine francescano secolare      pag. 107
51 – Professione/Impegno        pag. 108
52 – Ricominciamo di nuovo e ancora di nuovo      pag. 110

Appendice

  1 – Bibliografia          pag. 111
  2 – La Regola dell’Ordine francescano secolare      pag. 113
  3 – Invito          pag.  117